Cominciò con un telefonata. Più che una telefonata, un SOS. La richiesta di sostituire la violoncellista titolare, ammalatasi a soli due giorni dal concerto, in un quartetto con pianoforte per una serata importante, a Bologna. E così, su indicazione altrui perché non si conoscevano, lui ha cercato lei. La tipica emergenza, con tutte le ansie immaginabili a corredo. Silvia Chiesa, violoncellista, e Maurizio Baglini, pianista, si sono incontrati così, dandosi sussiegosamente del Lei. Era il marzo 2006, e da lì in poi è nata una collaborazione artistica che li ha visti suonare moltissime volte in duo, senza contare gli insiemi più ampi. E ne è sbocciata anche una coppia nella vita, una relazione sentimentale resa via via più solida dalla condivisione dell’importante impresa, l’Amiata Piano Festival. Baglini aveva fondato il festival l’anno prima, nel 2005, con le esecuzioni ospitate in un garage di Castel del Piano, sempre sulle pendici del Monte Amiata. Dall’anno successivo, l’impegno è stato vissuto fianco a fianco dai due, con lo spostamento della manifestazione nel territorio del Comune di Cinigiano, su invito della famiglia Tipa Bertarelli, e l’allestimento dei concerti in sedi diverse.

Finché, proprio grazie alla sponsorizzazione e al mecenatismo della Fondazione Bertarelli, nel 2015 è stato inaugurato il meraviglioso auditorium denominato appunto Forum Fondazione Bertarelli. Un’opera, questa, di architettura moderna ed ecologica, nella quale il suono incontra condizioni ideali di diffusione e ascolto. E un progetto musicale, il festival, che l’instancabile impegno dei due promotori, nonché responsabili organizzativi e artistici, ha fatto diventare sede di appuntamenti non soltanto pianistici, ma da camera in senso lato, e talvolta anche orchestrali. Nel frattempo, anche l’Amiata Piano Festival è diventato maggiorenne, toccando in questo 2023 la diciottesima edizione. E guarda caso, proprio in questa circostanza, Chiesa e Baglini hanno raggiunto il trecentesimo concerto in duo. Sicché hanno regalato a se stessi, ma soprattutto al pubblico che li ha avvolti con l’affetto più caldo e amicale, una serata esclusiva.

Il programma ? A sorpresa, data la circostanza.. Proprio partendo dalla ricostruzione della famosa telefonata. A seguire – tra aneddoti e diapositive di momenti memorabili, come la posa della prima pietra del Forum o la vicinanza creativa di Azio Corghi e altri illustri musicisti – una serata di ricordi e di pezzi di musica ad alto livello, che hanno segnato la storia del duo, strettamente intrecciata a quella del festival. Via via, la scaletta ha impegnato Chiesa e Baglini in una carrellata di episodi significativi, attinti dalle sonate per violoncello e pianoforte di Debussy, Saint-Saëns, Brahms. E poi anche di Cilea, Beethoven, Rachmaninov, pagina quest’ultima che, hanno riportato i due artisti, gli ha posto problemi particolari nella concertazione, data la tendenziale preponderanza del pianoforte nell’animo dell’autore russo. Una carrellata seducente, perché in ogni episodio la stoffa interpretativa dei due musicisti, la loro intelligenza cameristica ha offerto esecuzioni di pregnante significato. A suggello dell’insolita panoramica, una proposta anch’essa singolare : la Rapsodia in blu di Gershwin, ma in una trascrizione per violoncello e pianoforte di Thierry Huillet, affermato pianista e compositore francese. Trascrizione che subito sorprende, affidando il glissato di apertura al cello, e che si rivela ben calibrata, persuasiva, condotta con mano sapiente nell’equilibrio tra i due strumenti. Per gli interpreti, festeggiamenti finali degni della loro bravura.

Programma molto diverso, e altrettanto accattivante, nella serata successiva, ultima del ciclo Euterpe. Protagonisti, Marcello Panni e un manipolo di strumentisti, impegnati nell’esecuzione di Popsongs, lavoro dello stesso Panni. I Popsongs sono stati composti da Marcello Panni nel periodo della sua direzione artistica, nonché musicale, dell’Orchestra Sinfonica di Lecce, anni 2011–2014. E sono nati da un’esigenza concreta. Avendo egli inserito nel cartellone di un’annata l’Histoire du soldat, di Igor Stravinskij, si è posta la necessità di accoppiarla a un altro titolo, all’incirca della stessa durata e con lo stesso organico di sette diversi solisti attinti all’Orchestra, in modo da fare serata. Sicché Panni stesso, che è anche apprezzato compositore, si è divertito a scrivere sedici pezzi. Pezzi che nascono come libere trascrizioni – o meglio rielaborazioni, o meglio ancora vere e proprie ri-creazioni – di notissime arie d’opera, canzoni napoletane, e musiche attinte al nutrito folklore del Salento, che è la provincia pugliese di cui Lecce è capoluogo. Da lì in poi, questi Popsongs hanno conosciuto una loro fortuna esecutiva, sia associati all’Histoire sia in veste indipendente, come all’Amiata Piano Festival. E funzionano a meraviglia, sapidi e di forte presa come appaiono.

Già dalle prime note dell’aria di Händel, che ovviamente concede estese fioriture alla tromba, emergono diffuse finezze strumentali. E così nei titoli successivi, disegnati con gusto elegante su scelte inusuali, che via via lasciano spazio ai diversi strumenti. Le soluzioni appaiono sempre idiomatiche, in linea con la situazione drammaturgica ed espressiva. Sicché, ad esempio, in Rossini emerge il clarinetto, nella pira del Trovatore si segnala il trombone, opzione coraggiosa che ci sta benissimo. O ancora, in Marechiare è il fagotto a tracciare il tema, e Torna a Surriento si apre citando spiritosamente il celebre glissato iniziale di Rapsodia in Blu, affidato al clarinetto, inutile dirlo. Tutto procede con scorrevole incisività, anche nelle pregnanti melodie salentine. Ed è stato un piacere ascoltare questo caleidoscopio di colori e suggestioni così raffinate e creative. Piacere condiviso dal pubblico, alla fine, con lunghe acclamazioni. L’Amiata Piano Festival tornerà presto con i quattro programmi del ciclo Dionisus, dal 24 al 27 agosto.
