Ogni appassionato di cultura dovrebbe leggere o rileggere “Il mondo di ieri, memorie di un europeo” di Stefan Zweig, perché questo testo, scritto nel 1941 alla vigilia del suo suicidio, sembra così contemporaneo, evocando il passaggio da un mondo che sembrava essere di pace eterna e sicurezza garantita a un mondo di violenza e ferocia. Questo testo visionario dovrebbe suonare l'allarme e scuoterci dall'apatia di fronte al mondo selvaggio che minaccia l’Europa.
Sono tempi duri per le società europee, e quindi anche per la cultura. È vero che tra le catastrofi attuali e quelle che si temono o si annunciano, la questione culturale appare ad alcuni secondaria… Del resto, il mondo politico nel suo complesso – e il discorso che lo circonda lo dimostra ogni giorno – da tempo non ne parla nemmeno. Abbiamo sentito uno solo dei nostri gerarchi affrontare la questione o avere una visione in merito ? Una strategia ?
In un'Europa che dovrebbe essere europea, e non un aggregato di nazioni che credono di avere interessi divergenti, o che affermano nazionalismi che sanno di stantio e di rancido, che sanno di passato (un passato selvaggio che ha già fallito, lasciando dietro di sé milioni di morti) come se fosse un rifugio, come se le ansie del futuro avessero un'unica soluzione, il ritorno alla propria piccola casa, che è in realtà il modo migliore per cadere preda degli orchi, della Cina, della Russia o degli Stati Uniti.
L'Europa dovrebbe essere la volta che si innalza verso il cielo, di cui ogni nazione è un mattone e non un peso che ognuno sembra portare come un insopportabile male necessario, e in questa Europa la cultura è un bene comune perché tutti i Paesi europei hanno un modo comune, più o meno importante, di esporre una politica culturale e di finanziare istituzioni, teatri, opere e musei. Ciò deriva dalla tradizione illuminista condivisa da tutti i Paesi europei, direttamente o attraverso un effetto di trascinamento.
Stefan Zweig ricorda che nella Vienna imperiale prima della prima guerra mondiale gli artisti erano un bene comune, gli attori e i cantanti, che si andasse o meno a teatro o all'opera, erano monumenti condivisi, un patrimonio comune che faceva cultura, e questa Vienna affascinava tutti noi europei per tutto ciò che ha prodotto fino all'arrivo dei barbari nazisti, strutturalmente ladri e distruttivi, strutturalmente mafiosi come tutti i fascismi, passati e presenti.
La barbarie che ci minaccia è la legge del più forte, una deviazione deleteria dal liberalismo, un solco scavato da Reagan e Thatcher, e che (senza dimenticare Berlusconi, a meta strada tra Shakespeare e Fellini) oggi porta a Trump e Musk, un solco che, peraltro, ha sempre diffidato di un'Europa che si stava unendo… Ci sarà un motivo…
Contro questa legge, segno dello « stato selvaggio » che si sta avvicinando, si è levata tutta la filosofia dell'Illuminismo, universale, tollerante, aperta e disponibile. Correre da Trump o da Musk e segno di accettazione dello “stato selvaggio” del mondo e non di civiltà.
E la difesa di un approccio europeo alla cultura è un baluardo. Brahms, Verdi, Hugo, Wagner, Beethoven, Mozart, Cechov, Shakespeare e Dante, ma anche Pablo Picasso, Federico Fellini, Peter Brook non sono “beni nazionali”, come non lo sono Omero o Virgilio. Fanno parte del patrimonio comune europeo con cui dobbiamo convivere, in un'Europa in cui le idee circolano con incredibile velocità fin dal Medioevo. Chi, se non i ciechi e i piccoli cervelli, vorrebbero farci credere che, perché siamo italiani, francesi o tedeschi, possiamo farcela da soli ? François Mitterrand disse una volta : “Il nazionalismo è guerra”, e purtroppo è anche stupidità. È perché siamo europei, cioè e italiani e francesi e tedeschi e… e… che abbiamo costruito la nostra cultura, che è un risultato della storia anche a dispetto delle guerre e dei massacri, e non un dono del cielo. Non esiste un genio “nazionale” esiste un genio “umano” quello che costruiamo insieme sulla nostra unica patria, la Terra.