Ultima tragedia di Friedrich Schiller, il Wilhelm Tell venne rappresentato per la prima volta nel 1804, in un momento decisivo per le sorti politiche dell'Europa e soprattutto per le speranze e gli ideali di quanti si erano aspettati dalla rivoluzione francese una generale rinascita. La tragedia, da subito diffusa e popolarissima, celebra romanticamente il popolo (svizzero) e, in particolare, un eroe del popolo, proponendo temi di bruciante attualità negli inizi dell'Ottocento. Il Guillaume Tell di Gioachino Rossini andò in scena, attesissimo, a Parigi nel 1829 e rappresentò la punta estrema dell'adeguamento del pesarese al “nuovo”. Grand-opéra in quattro atti, il Tell rossiniano accoglie alcune istanze centrali del romanticismo : il tema patriottico, la viva presenza della natura, il senso del destino e dell'ineluttabilità, l'impossibilità nella vicenda amorosa. Al debutto l'opera fu accolta con stima ma senza eccessivo entusiasmo, tuttavia finì per costituire un “testo sacro” per il teatro musicale successivo (in particolare il pubblico era rimasto deluso per l'assenza delle caratteristiche tipiche dell'opera rossiniana, cioè i “crescendo” musicali e i pezzi di bravura vocale, ma musicisti e critici ne avvertirono la novità e la grandezza dell'architettura). Ancora giovane e al colmo della gloria, Rossini dopo il Tell abbandonò il teatro, forse per l'impossibilità di andare oltre sulla strada dell'assimilazione delle nuove istanze. Il capolavoro ha una partitura monumentale, quattro ore di musica ballo compreso : la Scala l'ha proposto in lingua originale e nella versione integrale in una nuova produzione.
Chiara Muti riduce le istanze e le suggestioni del libretto alla lotta tra Bene e Male, tra luce e tenebre, tra buoni e cattivi. L’ambientazione, fuori dal tempo ma vicina alla contemporaneità, si ispira alle architetture del film Metropolis di Fritz Lang : Alessandro Camera ha immaginato alti palazzoni uniformi con finestre simmetriche e prigioni al piano terra, moduli che ruotano e si spostano a comporre diverse ambientazioni, che però restano sostanzialmente simili tra loro. Il senso oppressivo di prigionia è confermato dai costumi di Ursula Patzak, grigie divise come fossero tutti prigionieri, praticamente uguali al punto che risulta quasi arduo distinguere i solisti dal coro. Le luci di Vincent Longuemare conferiscono a quel buio una profondità che lascia senza respiro lo spettatore, che tuttavia segue con poca attrattiva lo spettacolo. La regia, infatti, mantiene un tono piatto per la lunga durata della rappresentazione ; nelle atmosfere prevalenti cupe e notturne la vicenda scorre in modo troppo uniforme ; gli stessi simboli hanno poca attrattiva e comprensibilità : ad esempio Melchtal è mostrato come un profeta, poi crocifisso alla presenza di tre spose che all’inizio erano state stuprate ;
oppure i tablet luminosi che tutti hanno al collo e guardano spesso, forse il contemporaneo interesse per il social invece che per il reale e l’essere “piegati” sugli schermi invece che guardarsi davanti e intorno ? Il finale si apre su un fondo di cascate spumeggianti e su una luce dal fondo che “risveglia” tutti, mostrati con le braccia alzate, liberati dai vestiti grigi. Non aiutano a sviluppare spunti ulteriori le coreografie di Silvia Giordano, sonoramente fischiate a scena aperta.
Michele Mariotti si conferma perfettamente a suo agio nello spartito e dirige in modo impeccabile, creando un tessuto sonoro che rimanda a quella natura tanto evocata e presente nella partitura, quanto purtroppo invece assente nello spettacolo, mediante suoni di una bellezza struggente. Mariotti ha bene inteso la partitura, che non è né un dramma romantico né un epigono della Restaurazione, ma il risultato dell’equilibrio tra entrambe le componenti. Il Maestro riesce a fare emergere una forza musicale notevole (ma sorvegliatissima) che trae propulsione dalla vitalità popolare, in armonica fusione con l’elemento naturale. Infatti bene sono evidenziate le citazioni dalla musica popolare e tutte le finezze nel descrivere la natura che sono particolarmente pregnanti, in quanto rappresentano il vagheggiamento totalmente romantico della libertà perduta da riconquistare e il senso identitario del popolo. Tutto ciò senza tralasciare gli altri temi musicali : lo strazio dell'amore infelice, l'anelito di libertà, la cupezza dell'oppressione in senso civile e risorgimentale. Insomma un modo eccellente di rendere una prodigiosa architettura musicale con i colori e i tempi appropriati, a partire dall'ouverture, un miracolo : l'orchestra della Scala in stato di grazia e il pubblico rapito.
I cori abbondano, finemente differenziati per spirito e forma e il coro, nell'economia dello spettacolo, è un “personaggio” a livello dei protagonisti ; qui, posizionato a diverse altezze nelle architetture della scenografia, rende perfettamente le grandi novità rossiniane nella scrittura corale ed è stato ottimamente preparato da Alberto Malazzi.
Michele Pertusi è un perfetto Guglielmo Tell sia nell’appeal che nella recitazione che vocalmente, esprimendo in modo efficace la forza nobile dell'eroe virtuoso romantico in simbiosi con il suo popolo e la sua Terra, un’interpretazione intensa e di grande espressività in un ruolo sicuramente non di immediata presa sul pubblico.
Difficilissima vocalmente la scrittura per il tenore, che richiede doti straordinarie di tecnica e di estensione vocale e un notevole talento di interprete, ruolo qui affrontato con sicurezza e successo da Dmitry Korchak, un Arnold memorabile. Salome Jicia è una Mathilde intensa, pur con qualche sbavatura vocale. Avevamo già ammirato Luca Tittoto in Gesler e qui confermiamo il giudizio molto positivo : adeguato vocalmente ed eccellente dal punto di vista attoriale come perfido dittatore vestito con un lungo mantello rosso, che ricorda la morte in un noto film di Bergman, circondato da sette donne a impersonare i sette peccati capitali (dato di non immediata comprensione, lo si deduce solo dalle note di regia nel programma di sala). Convincenti la Hedwige di Géraldine Chauvet e il Jemmy di Catherine Trottmann. Evgeny Stavinsky è uno ieratico Melcthal, a metà via tra un santone e un predicatore. Nahuel Di Pierro è un tonante Walter. Giusti nei ruoli gli altri interpreti : Dave Monaco (Ruodi), Brayan Avila Martinez (Rodolphe), Paul Grant (Leuthold) e Huanhong Li (un cacciatore), quest’ultimo allievo dell’Accademia di perfezionamento per cantanti lirici del Teatro alla Scala. A completare la locandina gli allievi della Scuola di ballo dell’Accademia Teatro alla Scala.