Amilcare Ponchielli (1834–1886)
La Gioconda (1876)
Melodramma in quattro atti
Libretto di Tobia Gorrio (Arrigo Boito) dal dramma « Angelo, tyran de Padoue », di Victor Hugo
Primla a Milano, Teatro alla Scala l' 8 aprile 1876`

Direttore | Pinchas Steinberg
Regia | Romain Gilbert
Scene | Etienne Pluss
Costumi | Christian Lacroix ♭
Luci | Valerio Tiberi
Coreografie | Vincent Chaillet♭

La Gioconda | Anna Netrebko
Laura Adorno | Eve Maud Hubeaux
Alvise Badoèro | Alexander Köpeczi ♭
La Cieca | Kseniia Nikolaieva ♭
Enzo Grimaldo | Jonas Kaufmann
Barnaba | Ludovic Tézier
Zuàne / Un cantore / Un pilota | Lorenzo Mazzucchelli
Isèpo | Roberto Covatta
Un barnabotto | Giuseppe Todisco♮

♭ debutto al Teatro di San Carlo
♮ Artista del Coro

Orchestra, Coro e Balletto del Teatro di San Carlo
con la partecipazione del Coro di Voci Bianche del Teatro di San Carlo
Direttore del Coro | Fabrizio Cassi
Direttore del Coro di Voci Bianche | Stefania Rinaldi

Nuova Produzione del Teatro di San Carlo in coproduzione con il Gran Teatre del Liceu di Barcellona

Napoli, Teatro di San Carlo, mercoledi 10 aprile 2024, Ore 20

La programmazione di teatri e festival va spesso a cicli e quest'anno diverse istituzioni hanno inserito La Gioconda di Ponchielli nel loro programma, tra cui la Deutsche Oper di Berlino e i Salzburger Osterfestspiele, con l'Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia e Antonio Pappano. Seguendo le orme di Salisburgo, il Teatro di San Carlo di Napoli ha offerto una serie di rappresentazioni in due cast, il primo dei quali presentava essenzialmente gli stessi protagonisti (Anna Netrebko, Jonas Kaufmann, Eve-Maud Hubeaux), diretti da Pinchas Steinberg, con un’allestimento firmato da Romain Gilbert, le scene di Etienne Pluss e i costumi di Christian Lacroix.

L'opera di Ponchielli, il cui libretto è di Tobia Gorrio (anagramma di Arrigo Boito), è basata sul dramma di Victor Hugo Angelo Tyran de Padoue, e trasuda quindi l'eccessivo, sgargiante e frenetico dramma romantico alla Hugo. Altri due compositori, Saverio Mercadante con Il Giuramento e il russo César Cui con Angelo, presero come base la pièce di Hugo. Ma Gioconda avrà un destino completamente diverso, perché, sebbene l'opera sia stata creata in un momento un po' meno creativo in Italia, è pure l'anno del primo Ring wagneriano a Bayreuth, e quegli anni sono anche un periodo di effervescenza creativa in Russia (il 1876 è l'anno della prima del Lago dei cigni di Čajkovskij, mentre i Quadri di un'esposizione di Moussorgskij sono stati presentati nel 1874), e in Francia, Carmen è stata creata nel 1875.

È importante mettere in prospettiva questi anni perché Boito (che scrisse il libretto sotto pseudonimo) era uno dei fari culturali dell'epoca, profondamente impregnato di cultura europea, e che pochi mesi prima aveva trionfato a Bologna con la seconda versione del suo Mefistofele, che la Fenice aveva presentato un mese dopo la prima di Gioconda alla Scala. Boito era un profondo conoscitore della letteratura francese e un ammiratore di Wagner (il cui Lohengrin fu la prima opera ad essere rappresentata in Italia, a Bologna, nel 1871). Mentre Verdi non stava creando nulla di nuovo in quegli anni (però c’è la Messa di Requiem che non è poco), era attivamente impegnato a far vivere le sue opere in tutta Italia e in Europa.

Quanto a Ponchielli, è considerato il più grande compositore del momento, avendo trionfato pochi anni prima alla Scala con I promessi Sposi, tratto dal romanzo di Manzoni. Ponchielli-Boito fu un vento di novità e di modernità, e Ponchielli è per noi ancora più famoso per essere stato il maestro di Puccini. Quanto a Boito, soffierà ancora il vento del genio lavorando con Verdi a una nuova versione di Simon Boccanegra, poi a Otello e a Falstaff.

È questo che rende Gioconda così unica, un'opera al crocevia di culture e mode, un ponte tra il melodramma italiano di metà Ottocento e quello di fine secolo, che si tratti dell'ultimo Verdi o del primo Puccini.

Ma artisticamente e musicalmente Gioconda è una di quelle opere che poggia innanzitutto sul ruolo della protagonista, segnato dalle più grandi stelle del canto, in particolare Maria Callas, ed è proprio la più grande star della lirica di oggi, Anna Netrebko, a illuminare le rappresentazioni napoletane, circondata dai già citati Kaufmann e Hubeaux, ma anche dal nuovo arrivato che rompe gli schemi, Ludovic Tézier, che canta l'orribile Barnaba.

La messa in scena di Romain Gilbert, piuttosto tradizionale, è un allestimento sontuoso che ha riscosso un enorme successo di pubblico, e il direttore Pinchas Steinberg è uno dei grandi specialisti di questo repertorio. 

Il risultato ? Storico, naturalmente, nel più storico dei teatri per il più italiano dei melodrammi. In breve : la quintessenza.

La Gioconda, l'emblema del melodramma

La Gioconda è l'epitome di tutto ciò che il genere melodrammatico ha da offrire : l'adultera (Laura), la non amata (Gioconda), il marito geloso e perverso (Alvise), l'eroe amato (un fuorilegge) che forse non lo merita del tutto (Enzo), il cattivo (Barnaba), che in questo caso è un cattivo dei cattivi accanto al quale Iago è un angelo del cielo, Per finire, c'è una vecchia, La Cieca, madre di Gioconda, accusata ingiustamente di stregoneria, che viene liberata ma finisce annegata in un canale.

L'altro dato essenziale è che ognuno di questi ruoli deve essere interpretato da una voce eccezionale, con una Gioconda straordinaria che, dal grave all'acuto e dalle note filate alla stratosfera, deve esibire uno strumento puro, omogeneo, con una base ampia e un'espressività immediatamente percepibile fin dal primo ingresso in scena.
Questo per quanto riguarda i dati di base.

La trama ? L'ennesima storia di una donna sacrificata.
Siamo a Venezia nel Seicento
Barnaba ama Gioconda, che ama Enzo, che non la ama.
Enzo ama Laura, moglie di Alvise, il capo degli inquisitori.
Laura salva la madre di Gioconda, La Cieca, dall'esecuzione e in cambio le regala un rosario, che è il motivo musicale centrale dell'opera (aria : a te questo rosario).
Questi sono i dettagli iniziali.

Barnaba, che sa tutto, rivela a Gioconda l'amore di Enzo e Laura e denuncia l'adulterio alle autorità per mezzo della Bocca del Leone, la scatola delle denunce. Gioconda vuole vendicarsi di Laura. Ma quando vede il rosario di sua madre tra le mani della giovane donna, capisce di aver salvato sua madre e, contro ogni previsione, decide di aiutare gli amanti.
Salva Laura dalle grinfie del marito e aiuta gli amanti a fuggire offrendosi a Barnaba come Tosca a Scarpia, ma come Tosca si suicida per prima, ignara del fatto che Barnaba ha annegato sua madre…

Venezia, i suoi fantasmi e le sue fantasie 

Vale la pena aggiungere qualche elemento di contesto.
A Venezia è il periodo del carnevale, quindi la gente, il divertimento e le danze sono importanti. Gioconda era una popolare cantante di strada con una profonda fede cattolica.  Questo spiega perché ha solo un soprannome, come sua madre : sono personaggi della gente e della strada, e spiega anche perché la maggior parte dell’opera si svolge in strada, lungo i canali. L'unico spazio privato è l'appartamento di Alvise nella Ca' d'Oro, dove regola i conti con la moglie.

Questa Venezia è la Venezia nera delle avventure e dei delitti, una Venezia che respira un po' delle Cronache italiane di Stendhal, una Venezia di maschere, ombre e vicoli, di passi sonori nella notte nebbiosa, una Venezia dove il crimine può pagare. Una Venezia attraversata dalle denunce organizzate dalle autorità, con la Bocca del Leone, la bocca della delazione dove si può denunciare chiunque si voglia al terribile Consiglio dei Dieci…

Vale la pena ricordare che l'americana Donna Leon ha fatto fortuna con romanzi polizieschi contemporanei, tutti ambientati a Venezia, come se il crimine fosse il “guilty pleasure” della laguna dal passato al presente.

Dietro le maschere c'è il crimine e la morte. E la maschera è uno dei simboli (turistici) della Venezia di oggi.

In ogni caso, la morte è ovunque : è dietro la maschera, presumibilmente indossata dai fantasmi che si aggirano tra i vivi, ed è profondamente legata al Carnevale, la festa degli eccessi che precede la Quaresima, quando si va a ingannare la morte.
La città è costruita in una laguna, su isole fangose, attraversata da canali dove a volte venivano gettati i cadaveri per farli sparire, e inserita in un paesaggio fisso che attraversa i secoli, Venezia è una sorta di fantasma emerso per così dire dal passato.

Il Seicento, quando si svolgono i fatti, è anche il secolo dell'inizio della decadenza : la potente Venezia è ormai tagliata fuori dalle grandi scoperte d'oltreoceano per la sua posizione geografica, ma è talmente ricca da poter spendere il suo denaro ancora per due secoli ; infine, il Seicento è anche il secolo della peste, che costa a Venezia quasi 50.000 morti, un terzo della popolazione, e porta alla costruzione di Santa Maria della Salute, che dura tutto il secolo dal 1631 all'alba degli anni 1680.

Questo per quanto riguarda il contesto storico e le circostanze.

La messa in scena 

La Venezia di Etienne Pluss e di Romain Gilbert

L'allestimento di Romain Gilbert si ispira a tutto questo, ma si allontana da una Venezia da cartolina con una maestosa scenografia fissa di Etienne Pluss (già autore delle scenografie del Don Carlo di Claus Guth nello stesso teatro) fatta di alte pareti grigie e, all'apertura del sipario, di una scala che ricorda la Scala dei Giganti nel cortile di Palazzo Ducale, quadro del primo atto. In questo modo, la scenografia permette agli spettatori che conoscono il paesaggio veneziano di utilizzare il gioco di colori (pareti grigie, scala di marmo bianco) per evocare immagini o ricordi non necessariamente precisi, ma piuttosto d'atmosfera.

Così Romain Gilbert gioca con l'idea che abbiamo di Venezia, non in modo pittoresco, ma con altri mezzi. Ad esempio, fa di Isèpo (lo scrittore pubblico) come un'ombra che segue Barnaba, vestito da Pulcinella (maschera di origine napoletana), mescolando il mondo della Commedia dell'Arte, quello tipico delle maschere, con l'evoluzione dell'opera (questo sarà anche il tema della famosa Danza delle Ore, sapientemente coreografata da Vincent Chaillet in stile Commedia dell'arte, basata su una trama in cui Arlecchino e Colombina sono inseguiti dal Diavolo tutto vestito di rosso, come Alvise con Pantalone e Pulcinella), perché il genere è legato a Venezia, che ha visto i suoi più grandi autori dal Cinquecento(Ruzzante) al Settecento (Carlo Gozzi, Carlo Goldoni). Quanto ad Arlecchino (il cui nome si dice significhi “re dell'inferno” – sempre di morte si tratta), è nato a Bergamo, la città più occidentale della Repubblica di Venezia, ai confini del Ducato di Milano. Il legame tra il mondo della Commedia dell'arte e Venezia è davvero strutturale.

Romain Gilbert ha voluto sottolineare il mondo melodrammatico che pervade Gioconda accentuando alcuni elementi fino alla caricatura. Ad esempio, nel modo in cui tratta Alvise Badoero.

È uno dei tre inquisitori di Stato del Consiglio dei Dieci, cioè uno dei capi della polizia di Stato, e l'abito rosso che indossa in questa produzione indica che è il capo, l'inquisitore rosso. È a capo di una rete di spie, tra cui Barnaba, una sorta di anima dannata, che scopre che Enzo Grimaldo è in realtà un principe genovese, bandito da Venezia, e che ha una relazione “colpevole” con Laura, la moglie di Alvise. Così detta una denuncia a Isèpo, che la infila nella Bocca del Leone.

Alvise viene così a conoscenza del tradimento della moglie.

"Concertato": Ludovic Tézier (Barnaba), Anna Netrebko (Giconda), Kseniia Nikolaieva (La Cieca), Alexander Köpeczi (Alvise), Joans Kaufmann (Enzo)

Alvise non era apparso così terribile nel primo atto. La Cieca, accusata ingiustamente da Barnaba che aizza la folla come Iago aizza Cassio nel primo atto di Otello di Verdi, viene salvata da Laura seguita da Alvise che libera la vecchia. Come sottolinea Romain Gilbert, il personaggio di Alvise diventa orribile solo nel secondo atto.

Boito, che conosce bene Shakespeare (lo dimostrerà con Verdi qualche anno dopo), trae da Romeo e Giulietta lo stratagemma che salverà Laura.

Alvise non ucciderà Laura, ma la costringerà a bere un veleno, una sorta di morte romana in cui chi detiene il potere costringe la vittima designata a suicidarsi, un modo per non sporcarsi le mani e affermare il proprio potere. Ancora una volta, una tradizione attestata dagli storici.

Ma è a questo punto che il teatro shakespeariano s’infila nel melodramma : proprio mentre Laura sta per bere il veleno, Gioconda appare da chissà dove e, come Frate Lorenzo in Romeo e Giulietta, dà a Laura la stessa fiala, ma contenente un potente narcotico che imita gli effetti della morte al posto del veleno fatale.

Un'altra caratteristica dell'opera è che in tutta la laguna e nelle calli veneziane i personaggi appaiono come dal nulla per perseguire i loro piani, neri o meno, come spinti da una forza oscura. Gioconda, ad esempio, appare in qualche modo nel palazzo di Alvise, per salvare Laura : a meno che non abbia entrate proprie, da vecchia amante di Alvise, come la Tisbé di Victor Hugo in Angelo Tyran de Padoue. Un miracolo del melodramma e del teatro. E, come spesso accade a teatro, le implausibilità sembrano plausibili : non c'è bisogno di giustificarle o spiegarle.

E Romain Gilbert sfrutta al meglio queste situazioni, giocando il gioco melodrammatico e teatrale fino in fondo, senza ulteriori “grattacapi”. Profila i personaggi, a volte con ironia dimostrativa : Alvise, come sempre, è inizialmente piuttosto simpatico quando salva Cieca, ma diventa un pervertito nel terzo atto quando trama la sua vendetta e va a cercare sotto il pavimento dei suoi appartamenti (!) uno scheletro da cui prende un teschio, come Amleto… confermando così che a Venezia ci sono cadaveri in ogni armadio e sotto ogni pavimento. Il mostro sadico è poi facilmente visibile con la moglie, che costringe rapidamente a ingoiare il veleno. Lei ingoia il narcotico e non il veleno, ma sprofonda anche lei nel terreno come se fosse morta, aggiungendosi ai cadaveri che compongono gli strati del sotterraneo, ma è viva…

Gli uomini, Alvise e Barnaba, sono mostri, le donne vittime : Laura di Alvise, Gioconda e La Cieca di Barnaba, che la usa per vendicarsi del rifiuto di Gioconda, e poi c'è Enzo, che in realtà è piuttosto fortunato. Amato da due donne, viene salvato da quella che non ama e riesce a fuggire con quella che ama, senza sapere bene perché e come. In un certo senso, tutto gli cade addosso dal Cielo senza che movesse un dito.

L'incendio della nave di Enzo

Un eroe ? Anche se dà fuoco alla sua nave per ingannare il nemico (una scena spettacolare!) e anche se sfida Alvise rivelandosi in pubblico e condannandosi così a morte, non ne dà l'impressione, soprattutto perché il pubblico sa che ha un angelo custode, Gioconda, che ha salvato Laura e che lo salverà dalle grinfie di Alvise promettendo a Barnaba di concedersi a lui se libererà Enzo, in una sorta di gesto da Tosca.

La scena del ricongiungimento con Laura e della fuga degli amanti, che lascia Gioconda al suo destino, è quindi piuttosto mediocre… e poco eroica.

Il lavoro di Romain Gilbert è tradizionale, ma pulito, e lavora bene sui personaggi, accentuandoli (con l'eccezione di Enzo, che appare insipido) e sui movimenti della folla, che è spesso presente, ma anche dei personaggi, aiutati dalle capacità dimostrative di Tézier e della Netrebko, che rotola ai piedi di uno, si nasconde da altri, protegge la madre, e così via, Kseniia Nikolaieva è una Cieca al tempo stesso melodrammatica e spettrale, tanto che la sua apparizione alla fine come fantasma di fronte a Barnaba non sorprende e fa parte del gioco, tanto che il grido finale di Barnaba, “Ah ! “che dovrebbe essere rivolto al cadavere di Gioconda, è in realtà rivolto al fantasma di Cieca, come se lui stesse per impazzire.

Romain Gilbert è aiutato nel suo compito dall'intelligente gestione della singolare scenografia di Etienne Pluss, che viene modificata da cambiamenti piuttosto lievi, ma che mantiene così una reale coerenza, terminando nel quarto atto in un'immagine di rovina e distruzione, e dalle luci e dai chiaroscuri molto belli di Valerio Tiberi.

Atto quarto : paesaggio distrutto. Anna Netrebko (Gioconda) canta "Suicidio"

Infine, i costumi di Christian Lacroix sono sontuosi ma mai m'as-tu vu (l'abito di Gioconda, che appare un po' logoro, ha l'aspetto di un passato sontuoso e invecchiato, in contrasto con i colori accesi dei costumi di Alvise e Laura), rendendo l'intera produzione uno spettacolo molto dignitoso, classico senza essere dimostrativo, che cerca di sottolineare la natura scomposta del dramma facendo ciò che è necessario per essere giusto senza essere appariscente o vistoso. Certo, i lettori sanno che i miei gusti vanno verso un altro tipo di teatro, ma questo tipo di teatro si adatta perfettamente a quest'opera e quindi a me, soprattutto perché è un bello spettacolo, che rende giustizia a un'opera il cui aspetto spettacolare la destina all'Arena di Verona, ma che qui trova il giusto, equilibrato tono.

È un super melodramma e Romain Gilbert ne fa un super melodramma, ma con finezza e intelligenza, il che non è un ossimoro.

 

Le voci

Quando in un cartellone compaiono insieme Kaufmann, Netrebko, Tézier e Hubeaux, è chiaro che il pubblico non viene per la messa in scena, alla quale non chiede nulla se non di non essere “disturbante”. Inoltre, il pubblico italiano non è ancora molto tollerante nei confronti dei grandi registi di oggi, che si stanno diffondendo sui palcoscenici europei e che in Italia, a Roma e a Napoli in particolare, cominciano appena a farsi vedere. E Gioconda non è opera che un manager astuto come Stéphane Lissner affiderà a un Tcherniakov o a un Warlikowski (anche se sarà sempre ringraziato per aver offerto Traviata alla Scala a Tcherniakov, che gli imbecilli patentati del luogo hanno tolto dal circuito).

Quello che ci si aspetta da Gioconda sono voci, lacrime, emozioni forti e una musica che non è poi così brutta come alcuni puristi vorrebbero far credere : quello che ci si aspetta è un'efficacia immediata, e la visibile soddisfazione del pubblico quando il team produttivo è venuto a salutare ha dimostrato che tutto questo era ben pensato e ben mirato.

Abbiamo quindi messo insieme un cast ovviamente efficace, al di là delle star. Le stelle devono essere circondate in modo dignitoso se si vuole che l'ensemble vocale sia un successo completo. Un cast omogeneo in tutti i suoi componenti è garanzia di successo. Da questo punto di vista, i pochi ruoli complementari sono davvero ben tenuti, da Giuseppe Todisco, membro del coro, (un barnabotto) all'ottimo Isèpo di Roberto Covatta, un tenore chiaro con una voce ben proiettata, e al basso Lorenzo Mazzuchelli, che è a sua volta Zuàne il gondoliere, cantante e pilota, sempre impeccabile.

La Cieca di Kseniia Nikolaieva ha una bella voce di contralto, particolarmente drammatica, e la messa in scena la rende un personaggio quasi inquietante, una figura da morte-vica come appare nell'ultima scena. Appare sufficientemente vestita in modo eccessivo da giustificare l'accusa di stregoneria all'inizio. La sua voce è potente ed espressiva, ma sa anche ammorbidirsi (in A te questo rosario). È dotata di una vera presenza scenica e vocale, necessaria in questo ruolo che, nella trama, serve solo a giustificare il ribaltamento di Gioconda quando scopre che Laura l'ha salvata, e che è solo uno strumento o un “fioretto” per evidenziare la crudeltà di Barnaba e la fondamentale generosità di Gioconda.

Avevamo notato Alexander Köpeczi nell'Aida di Monaco, che cantava Ramfis con un bel fraseggio. La sua interpretazione di Alvise Badoero è ancora una volta di altissima qualità. Il bel timbro di basso è vellutato, il canto è espressivo, la voce è ben proiettata e sonora, e il personaggio è molto ben definito nella sua crudeltà e oscurità. Un'interpretazione convincente da parte di questo giovane cantante che si prospetta per un futuro brillante.

Eve-Maud Hubeaux (Laura)

Eve-Maud Hubeaux è stata Laura a Salisburgo, e a Napoli ha sostituito Anita Rashvelishvili, le cui cancellazioni sono ormai, ahimè, innumerevoli. Tutti conosciamo le qualità espressive della cantante, la sua presenza scenica, la sua forza di convinzione e anche la sua voce ben proiettata, capace di riempire un teatro di medie o piccole dimensioni. La voce manca di una base più ampia nel registro centrale e di questa ampiezza in tutto lo spettro, soprattutto in relazione al formato degli altri protagonisti, per potersi affermare davvero in questa vasta sala. Tuttavia, il duetto con Gioconda nel secondo atto, L'amo come il fulgor del creato, è uno dei grandi momenti della serata, il più drammatico che esista, e la sua voce funziona bene con quella della Netrebko.

Ludovic Tézier (Barnaba)

Cosa si può dire di Ludovic Tézier nel ruolo di Barnaba se non, come già detto, che è uno miracolo che rompe gli sxchemi.  Già le prime parole colpiscono, con gli accenti giusti, l'omogeneità, il timbro sonoro che ricorda tanto Cappuccilli, e poi Monumento, l'aria che preannuncia il “credo” di Iago nell'Otello verdiano, dove la voce esplode in tutti i registri, con un'espressività assolutamente controllata e una dizione impeccabile, senza mai scadere nella volgarità, mantenendo sempre la volontà di scolpire la parola e di conservare una certa eleganza. Sarebbe facile in Barnaba abbaiare, e altri lo fanno. Tézier canta, esprime e disegna un personaggio con una facilità senza precedenti sul palcoscenico : abbiamo visto in Hamlet di Ambroise Thomas a Parigi il personaggio che è riuscito a creare. Lo aspettiamo come Wotan nella Tetralogia wagneriana, in particolare nel secondo atto della Valchiria. Qui è questo principe delle tenebre che, attraverso il suo timbro e la scienza del minimo accento, del minimo cesello della parola, riesce a imporre il suo personaggio, senza mai essere un istrione, perché anche in questo ruolo di bastardo dei bastardi, il suo canto rimane nobile, il che lo rende ancora più odioso e terribile. L'innata eleganza del suo canto gli permette di giocare con i pianissimi e le variazioni di colore con una maestria sconcertante. Insieme alla Netrebko, è senza dubbio il trionfatore della serata e per me, più in generale, il baritono assoluto in questo repertorio. Ci si aspetta sempre al meglio da parte sua, e però si rimane sempre stupiti dalla perfezione del canto. Semplicemente meraviglioso.

Jonas Kaufmann (Enzo Grimaldo)

A differenza di Tézier, Jonas Kaufmann non ha il timbro e la tecnica italiana che gli consentirebbero di affrontare ruoli italiani come un tenore tradizionale, come le stelle del repertorio italiano nella luce solare di Enzo in Cielo e mar.
Non c'è nulla di solare nel timbro di Kaufmann ; la sua voce è stata costruita pazientemente, con un'intelligenza non comune che fa sì che, qualsiasi cosa canti, a un certo punto sia sempre sorprendente. Arriva a quel punto della sua carriera in cui iniziano le ombre in un oceano di luce, e quindi è un po' più irregolare. Ci sono serate con e serate senza. Questa è stata una serata di mezzi toni, in cui è riuscito ad spingere e a tenere gli acuti con relativa difficoltà, e il suo respiro è stato confuso da suoni rauchi, discreti ma reali. Non era al suo meglio e mi è stato detto che altre serate hanno avuto più successo. Certo, se la cava sempre con i suoi pianissimi, la sua scienza del fraseggio e la sua intelligenza quasi unica del testo e della parola, ma c'erano comunque dei difetti e non ha avuto il successo che ci si poteva aspettare. Resta il fatto che Kaufmann è un artista immenso, e anche quando il gioco si fa duro, mantiene sempre una presenza scenica incredibile perché è un cantante che ha testa, anche in questo ruolo dove non ha un rilievo particolare come può avere in altri ruoli italiani come Alvaro nella Forza del Destino, che canterà per l'apertura della stagione il 7 dicembre 2024 alla Scala e dove, in dialogo con Tézier e Anja Harteros, fu sublime a Monaco nel 2014. Sono passati dieci anni, l'artista resta, ma forse i mezzi non corrispondono più a certi ruoli. Resta il fatto che è sempre affascinante ascoltarlo, anche in circostanze difficili. Questa è la forza dei grandi.

Anna Netrebko (Gioconda)

Anna Netrebko si stava riprendendo da una febbre passeggera e pare avesse quasi annullato. Vista la performance, ci si chiede cosa avrebbe potuto dare di più se fosse stata in piena salute. Per Gioconda ci vuole una star, e lei si afferma come tale fin dal suo ingresso. La Netrebko è un'artista che dà il massimo, rispetta il suo pubblico e lavora sui suoi ruoli : c'è la Netrebko di instagram, a volte un po' esotica e glamour, e c'è la cantante, imponente, sorprendente, che ci lascia senza parole. Qui, a parte la qualità della voce, sempre omogenea nella sua ampiezza, nella sua regolarità in tutti i registri e in particolare in un registro basso abissale che pochi soprani hanno a questo livello, un registro basso sonoro, profondo, controllato, espressivo, che mette i brividi, soprattutto in un immenso, favoloso Suicidio ! Ma il registro acuto è ancora sorprendentemente luminoso, come nel si bemolle celeste di Enzo adorato.

Lei che era un'eccezionale cantante di bel canto è forse meno notevole nei pianissimi, che tiene senza problemi ma che ci sembrano un po' al limite, la tecnica e l'espressione fanno il resto, con gli acuti che restano incredibili.

E poi ci sono ruoli in cui sembra più se stessa di altri : mi sembra più Gioconda che Elisabetta nel Don Carlo dello scorso dicembre alla Scala, più preoccupata, più impegnata, anche più sfrenata. Raramente l'ho vista così vibrante sul palcoscenico, così presente, così sensuale come se si sentisse nel suo elemento, pienamente se stessa, e poi sprigiona una forza emotiva incredibile, travolgente, grazie a una forza di convinzione e a una facilità nel registro centrale che la rendono impareggiabile, con cambi di ritmo e di accento tanto brutali quanto espressivi, come se si fosse immedesimata nella psicologia dell'eroina, che è piuttosto complessa. Diciamolo : è prodigiosa a ogni livello. Un monumento.

 

Le forze del teatro, galvanizzate

Sospinte da un simile palcoscenico, le forze del teatro hanno superato se stesse, sia il coro diretto da Fabnzio Fassi, che in pochi anni ha fatto passi da gigante, sia il coro di voci bianche, ottimamente preparato da Stefano Rinaldi. Il coro, che ha un ruolo decisivo in quest'opera, ha dato una prestazione esemplare con un suono potente e particolarmente chiaro, una bella dizione e attacchi incisivi. Proprio adatto al momento.

E non dimentichiamo i solisti del balletto Vittoria Bruno (Colombina), Salvatore Manzo (Arlecchino), Giuseppe Ciccarelli (Il diavolo), Alessandro Staiano (Pantalone) e Raffaele Vittozzi (Pulcinella).

Lo stesso si può dire dell'orchestra, diretta da un grande professionista di questo repertorio, Pinchas Steinberg, quasi ottantenne, che non è un grande inventore di suoni ma una garanzia assoluta per un'orchestra e un palcoscenico. Padroneggia tutte le forze, dirige con rigore e precisione, non copre mai le voci e rimane molto attento alla coesione : lo si sente nei grandi concertati o nel finale degli atti, lo si sente anche nella leggerezza della Danza delle Ore, e lo si sente anche nel modo in cui la pasta orchestrale sa rendere suoni carnosi, ma anche i momenti più lirici. L'orchestra si sente sicura in queste mani, e il risultato è un'esecuzione di altissima qualità, che Pinchas Steinberg sa valorizzare e far suonare senza mai scadere nell'eccesso o nella volgarità, cercando sempre il giusto equilibrio sonoro e sottolineando anche la raffinatezza. L'uomo giusto al posto giusto.

Quindi, a tutti i livelli, è stata resa giustizia a questa musica, questo melodramma dei melodrammi che ci travolge nella pura vertigine vocale dell'opera italiana come non accadeva da tempo. Queste vertiginose delizie vocali, che fanno venire i brividi, fanno venire le lacrime agli occhi e che sono la quintessenza dell'opera, sono così rare che siamo dannatamente felici di essere trasportati, di assecondarle, di raggomitolarci in esse fino a non volerne più uscire. Gioconda adorata !

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