Molti hanno ironizzato sulle scelte di allestimento della Scala per la stagione 2023–2024, inattaccabile dal punto di vista musicale, ma che vede produzioni – e non di poco conto – affidate a figli o figlie d’arte, con risultati piuttosto contrastanti. Un Simon Boccanegra affidato a Daniele Abbado quando il padre Claudio fece di quest'opera una delle punte di diamante del repertorio verdiano, e il cui allestimento in loco di Giorgio Strehler (1971) non è mai stato detronizzato. Basta guardare la pietosa collezione di mediocrità viste qua e là (anche alla Scala) da allora.
Un Guillaume Tell affidato a Chiara Muti, il cui padre Riccardo illuminò la ripresa nel 1988 e la cui figlia l'ha completamente spenta, come lo suggerisce Francesco Rapaccioni nella sua recente recensione.
E poi c'è La Rondine, affidata a Irina Brook, figlia di Peter Brook, uno dei grandi rivoluzionari della regia teatrale degli ultimi cinquant'anni, autore di un'opera teorica fondamentale, “The Empty Space” (1968), e che non ha mantenuto un rapporto altrimenti convincente con l'opera. Dominique Meyer ha già affidato a Irina Brook il Don Pasquale di Donizetti e il Sogno di una notte di mezza estate di Britten a Vienna, e alla Scala una produzione di Kurt Weill/Bertolt Brecht, Die Sieben Todsünden e Mahagonny-Songspiel, vittima del Covid nel 2021, e la produzione de Il Matrimonio Segreto di Cimarosa nel 2022 per l'Accademia del Teatro alla Scala.
La Rondine è una delle produzioni di punta dell'anno, attesissima data la rarità dell'opera, e Irina Brook ha creato un allestimento che, rispetto al Guillaume Tell visto il giorno prima, sembra inizialmente al pubblico un'oasi di rinnovata luce e pace.
Ma le numerose e appassionate discussioni sull'opera, sulla sua natura ibrida e sulla sua singolarità hanno reso questa produzione un emblema di possibili fraintendimenti, tanto che, nonostante l'apparenza del tutto innocua, l'allestimento di Irina Brook solleva una serie di problemi.
La rondine è un uccello migratore che torna ogni anno (in primavera…) e generalmente ritorna nel luogo in cui ha nidificato l'anno precedente ; è un simbolo di libertà che non ama le gabbie. Così è Magda, la protagonista de La Rondine, così chiamata fin dalla prima scena da Prunier, uno dei quattro protagonisti che, leggendole le linee della mano, le rivela :
Forse, come la rondine
*migrerete oltre il mare
Verso un chiaro paese
di sogno… verso l'Amore
.……e forse…
Questa, in sintesi, è la storia de La Rondine, commedia lirica in tre atti. Una commedia, il che non significa necessariamente che finisca bene, ma che non finisce male, almeno senza la morte dell'eroina.
La storia di Traviata è stata giustamente paragonata a quella di Rondine. In entrambi i casi, una donna della “Parigi gioiosa”, mantenuta da un signore anziano (in questo caso si chiama Rambaldo), trova l'occasione di sperimentare l'amore vero e sincero con un giovane provinciale arrivato a Parigi, Ruggero, il cui sogno è una vita borghese di amore stabile e sistemato. Dopo aver rotto con il suo protettore, parte con lui per la Costa Azzurra, per vivere una vita tranquilla. Ma Ruggero vuole regolarizzare la relazione e sposarsi, per ufficializzare la situazione con i genitori (e ritrovare la stabilità finanziaria…). Di fronte a tale prospettiva, che da un lato la costringe a rivelare a Ruggero il suo passato di “grisette” e dall'altro a vivere una vita ordinata con una suocera probabilmente invadente adosso, Magda decide di rompere gli indugi e tornare alla sua “vecchia” vita, come la rondine che torna all'ovile dopo la migrazione, lasciando Ruggero nella disperazione.
L'interesse dell'opera risiede innanzitutto in questo quadro di una donna, dalla psicologia complessa e dall'amore per la libertà, che, come vediamo, non ha nulla a che vedere con una Violetta colpita da una malattia mortale, che vuole vivere finalmente un amore vero, lontano dalla solitudine parigina e dalla vana mondanità. Vuole semplicemente amare sinceramente ed esercitare il suo libero arbitrio.
L'entourage di Magda comprende Rambaldo e Ruggero, oltre a Prunier e Lisette. Prunier è il poeta scanzonato e mondano, il sensale, l'opposto di Ruggero. Lisette è la cameriera di Magda, le cui ambizioni teatrali sono un po' aleatorie (incoraggiate da Prunier), e che si cimenta con il palcoscenico senza successo.
Alla fine, tutto torna all'ordine del primo atto : Lisette torna da Magda come cameriera, Prunier esorta Magda a ritornare a Rambaldo pronto a riprendersela e cosi Magda torna alla sua vita precedente : la parentesi (incantata?) è chiusa.
C'è abbastanza in questa trama per fare un'operetta agrodolce nello stile di Franz Lehár, ingannevolmente leggera e in realtà piuttosto pudica. Tutto questo potrebbe essere oggetto di una vera e propria produzione che analizzi il funzionamento psicologico di questo singolare personaggio.
Ma sembra che Irina Brook abbia scelto l'evanescenza e l'insignificante superficialità, preferendo lavorare su qualcosa di molto diverso e sul gioco delle apparenze sociali, forse, ma soprattutto teatrali.
Il concetto di teatro nel teatro di Irina Brook si ispira molto al mondo dei Musical americani che hanno alimentato i sogni della sua giovinezza, a suo dire popolati da Fred Astaire, Ginger Rodgers, Rita Hayworth e Gene Kelly.
Lavora nello stile di “facciamo di questa storia un Musical” non tanto di Hollywood (se non altro) ma di un casinò da città termale. Così inventa un doppio di Magda (e soprattutto della stessa Irina), una regista, Anna (interpretata dalla ballerina e coreografa Anna Olkhovaya) che inizialmente dirige le operazioni nel primo atto, ma dal secondo atto in poi i personaggi e gli attori sfuggono al suo controllo, e alla fine assiste impotente allo svolgersi della trama.
Insomma, un teatro nel teatro che sfugge al suo creatore e, come La Rondine/L'hirondelle, prende il volo da solo per vivere la sua vita teatrale. Tanto che, alla fine, non ci si interroga più sul teatro nel teatro, che è diventato semplicemente una sorta di sogno di messa in scena, una proiezione di un immaginario che, alla fine, è più quello di Irina Brook che di Magda.
Ma non è così chiaro, e quindi non è così ben fatto, goffo e alla fine del tutto inutile, come se per andare da Milano a Viareggio, fossimo passati per Cairo o Nairobi. Molto rumore per nulla, da cui la nostra impressione di un'opera innocua. Con le scenografie leggere come rondini di Patrick Kinmonth (che ha disegnato anche i coloratissimi costumi da Musical), che evocano i colonnati delle città termali piuttosto che i salotti parigini, in bella vista prima dell'inizio che rivela un palcoscenico visto dalle quinte con il sipario semiaperto e il retroscena, Nel secondo atto, la stessa struttura rivela il Bal Bullier come palcoscenico allestito e giocato con centinaia di luci, creando una scena di cabaret un po' m'as-tu vu, una “Revue” senza piume ma con una Wanda Osiris in fondo (però belle le luci di Marco Filibeck).
Per quanto riguarda l'ultimo atto, esso rivela una poesia di cartapesta, con una scenografia di mari agitati e barche che sembra uscita da una visione alla Ronconi nel migliore dei casi, o alla ex-Folies Bergère nel peggiore.
Naturalmente, Irina Brook gioca con l'apparenza di rappresentare Rondine, concludendo con l'eroina che “esce di scena” attraverso una porta con la scritta EXIT, lasciando il giovane Ruggero solo con la sua disperazione, il che ci farebbe dire : dov'è la vita ? Dov'è il teatro ?
L’insieme è carino, costruisce dei bei tableaux, che devono sembrare veri-falsi, ma tutto sommato è abbastanza vuoto perché ci si chiede che senso abbia il doppio di Irina, questa Anna che alla fine si lascia andare, in una commedia pirandelliana (sto esagerando visto il risultato) dove gli attori escono dalla loro cornice per vivere la loro vita.
Il giorno prima abbiamo avuto le idee sovraccariche di Chiara Muti nel Guglielmo Tell, che soffocavano la Svizzera sotto Fritz Lang e tutti quanti, e stasera abbiamo le afflizioni fantasmagoriche di Irina Brook, che in fondo non sa come districarsi da una trama di cui attenua la complessità per cedere alla falsa superficialità, lasciandoci credere che dietro ci sia qualcosa di più pesante che non arriva mai, cercando di mantenere una sorta di riposante leggerezza eterea a un lavoro che meriterebbe di essere più dettagliato e intrigante.
È un peccato, perché avevamo l'opportunità di approfondire l'unica eroina pucciniana che non sia una vittima (certo, una visione più femminista alla Lydia Steier potrebbe fare di Magda una vittima consenziente di un sistema che strumentalizza la donna e la trasforma in un giocattolo per l'uomo, ma Lydia Steier non è una regista ancora nell'agenda del Teatro alla Scala, per il bene dei malati di cuore) e che conduce una vita propria. Il fatto che Magda debba confessare il suo passato all'amato è più un pretesto che un dovere morale : ciò che la terrorizza è essere legata per sempre al vincolo del matrimonio, alla vita “borghese” di una donna ben ordinata, perché con Ruggero ha forse sperimentato la “sicurezza affettiva” ma anche la noia. Preferisce l'altra vita. Da qui il suo sguardo insistente su una gabbietta a terra, che dovrebbe racchiudere la rondine, metafora della sua situazione (un'idea, una!).
Nulla di traumatico, ma una vera e propria scelta, quella di vivere una vita non ordinata, assertiva, autonoma, un'eroina del nostro tempo : la vera morale se ne frega della morale.
In questo senso, La Rondine si spinge oltre Il Trittico e Turandot, e potrebbe prendere posto tra quelle opere degli anni 1920 che hanno rotto i codici e si sono spinte molto più in là di molte opere successive.Rimane quindi una galleria di personaggi, ovvero il pittoresco, la caricatura del mondo dei salotti parigini e la caricatura del mondo del teatro e del suo fermento prima della rappresentazione : abbiamo già parlato di Anna la regista, che si agita nel primo atto e si calma negli atti successivi, vediamo una folla di persone che si muovono in tutte le direzioni, le grisettes, gli attori che si preparano, e poi spicca Rambaldo, il protettore di Magda, elegante e maturo (Pietro Spagnoli), Lisette la cameriera, scatenata come le cameriere del vaudeville e « gestita » da Prunier, che Irina Brook trasforma nella caricatura di un effeminato animale da salotto, in evidente e voluto contrasto con il timido e prestante Ruggero di Matteo Lippi, più “maschio” ma anche fisicamente molto diverso, e poi al centro c'è Magda, elegante e libera allo stesso tempo, mai volgare ma non così ben tratteggiata, come se fosse difficile da classificare… I tre più profilati sono Lisette, Prunier e Ruggero, perfettamente identificabili, come personaggi che ruotano intorno all'eroina, che rimane un po' più “nebbiosa”.
È un lavoro poco ambizioso e superficiale, che manca il punto, ma che, attraverso i colori, le luci, i costumi e l'apparente leggerezza, sembra fatto per “piacere”, per passare il tempo all'opera prima di cena o anche prima di andare giocare al casinò, con l’idea di divertimento da città termale ancora dentro di me, non so perché. Mi sono infatti tornate in mente le immagini della messa in scena di Jean Claude Penchenat e Myriam Tanant dell'opera “La station Thermale” di Fabio Vacchi (1993) a Lione e altrove (anche alla Scala). E guarda a caso, l’Opera di Monte Carlo, dove è stata rappresentata per la prima volta La Rondine, è un tutt'uno con l'edificio del casinò : ci sono strane coincidenze…
Musica di incredibile raffinatezza
Diverso è il discorso dal punto di vista musicale, grazie innanzitutto all'approccio di Riccardo Chailly, che come di consueto presenta l'opera secondo lo stato più recente della ricerca musicologica, in questo caso l'edizione critica di Ditlev Rindom del 2023, basata su una partitura autografa antecedente alla prima, che ha rivelato 87 nuove battute e dettagli strumentali che dimostrano quanto Puccini fosse consapevole del suo tempo : lo sapevamo, ma ne abbiamo ancora una conferma. Chailly[1] sottolinea che La Rondine è un omaggio al Rosenkavalier di Strauss (1911), che si sente in particolare attraverso l'uso di ritmi di valzer (una dozzina di volte), ma anche attraverso la particolare strumentazione della comparsa del valzer nel secondo atto, con un colpo di piatti che richiama fortemente il capolavoro di Strauss. L'uso del valzer rimanda anche al Fledermaus (di Johann Strauss) e ci ricorda che l'opera era originariamente destinata al Carlstheater, che era un teatro di operetta, anche se Puccini non ha mai avuto intenzione di scrivere un'operetta.
Come sappiamo, Puccini era incuriosito da tutta la musica del suo tempo, Mahler, Zemlinski, ma anche Ravel (Valses nobles et sentimentales), e amico di Schönberg, il che rende le sue partiture campi complessi in cui sovrappone o sperimenta tecniche, suoni e ritmi, mascherandoli sotto una sorta di tessuto melodico apparentemente semplice ma in realtà particolarmente elaborato.
Il ritrovamento di questo manoscritto autografo, oggetto dell'edizione critica (di fatto l'unica oggi disponibile, perché il manoscritto autografo della prima edizione andò perduto in un bombardamento durante la Seconda Guerra Mondiale), è affascinante per il modo in cui vengono utilizzate le percussioni e i tromboni (nel terzo atto), oltre che per la combinazione arpa-celesta-Glockenspiel. Questo è il tipo di scrittura che ha portato direttori del calibro di De Sabata a descriverla come la partitura più elegante e raffinata di Puccini.
È anche una partitura che, per il fatto di chiamarsi commedia lirica, non ha dialoghi parlati, ma lavora sulla “conversazione in musica” che è anche il carattere di molte opere di Strauss e di altri all’epoca, il che significa adattare la partitura allo stile libero della conversazione, e caratterizzare musicalmente i personaggi, nel ritmo, nell'emissione, nell'eloquio : ad esempio, Lisette deve avere una dizione impeccabile e le due voci tenorili di Prunier e Ruggero devono essere perfettamente differenziate, nell'emissione, nel colore e nel volume.
Il lavoro di Riccardo Chailly sull'accompagnamento musicale è quindi particolarmente attento, nel cesellare ogni frase, nel modo di accompagnare le voci, ma anche nel riprendere il controllo di alcuni momenti spettacolari (l'incredibile concertato del secondo atto, le delicate inflessioni del terzo, più aspro, più drammatico, il roteante primo atto), questa è senza dubbio una delle esecuzioni più magistrali della serie di opere pucciniane che Riccardo Chailly ha diretto alla Scala.
Tre atmosfere molto diverse convivono nell'opera, un primo atto da salotto colloquiale con i suoi numerosi personaggi, il suo ritmo accelerato, i suoi molteplici colori, e i suoi respiri come il momento di Chi il bel sogno di Doretta (la presenza del pianoforte non è rara nell'opera del Novecento, Puccini la utilizza qui, dimostrando ancora una volta il suo gusto per l'innovazione), ma anche i suoi ritmi di danza, che ritroviamo, con un'orchestra più piena, più imponente e meno colloquiale, nel secondo atto.
Oltre al valzer, Chailly cita altre quattro danze : il quick step, il tango (legato in particolare a Prunier), la polka e lo slow fox, alcune delle quali sicuramente ispirate dal suo soggiorno negli Stati Uniti durante l’elaborazione de La Fanciulla del West. Le danze non sono mai momenti a sé stanti, ma sono intricate in un tessuto, legate a un personaggio o a una situazione, perché ciò che domina la direzione di Chailly è anche una preoccupazione per la fluidità, per una vita apparente e sotterranea che dà a questa musica un respiro incredibile, persino inaspettato. C'è un luccichio di riferimenti e di echi, anche interni (si sentono citazioni dalle sue opere (il concertato del secondo atto È il mio sogno che s'avvera ! è ancora più spettacolare di quello di Bohème, o echi del futuro, Gianni Schicchi, Turandot).
Insomma, grazie a Chailly e alla sua direzione precisa, affettuosa e mai distaccata (abbiamo in contrasto trovato il suo Don Carlo un po' freddo), si percepisce qui una volontà di difendere questa musica e di imporla, un impegno reale che è insieme esplosivo e poetico. Una scoperta : la scoperta di un capolavoro.
E ancora una volta il Coro della Scala diretto da Alberto Malazzi è all'altezza della sfida, particolarmente vibrante, imponente, quasi carnale, insomma esaltante e grandioso, che ci lascia a bocca aperta nel secondo atto.
Voci di bel livello
Piuttosto che di voci grandi e spettacolari, La Rondine ha bisogno di voci duttili, flessibili, adattabili, con stile e intelligenza adeguati. Si cercherebbero invano effetti glottali e gole gonfie. Ci sono alcuni bei momenti, ma fondamentalmente poche arie in senso tradizionale, ed è più un'atmosfera, un colore, uno stile che dovremmo cercare. Un soprano non esploderà sui palcoscenici internazionali con La Rondine, ma come spesso accade, il diavolo è nei dettagli, e questa è un'opera fatta di migliaia di piccoli dettagli che forse le nuoce.
Innanzitutto, ci sono molti personaggi che intervengono in una frase, un'eco, un tocco, che non sono nemmeno tutti in scena e che devono comunque formare un “corpo”. Non dimentichiamo il numero di personaggi del Rosenkavalier e i tanti interventi singolari di un profilo o di un altro. La situazione è in qualche modo simile in questo caso, per cui sono stati mobilitati alcuni artisti del coro e giovani dell'Accademia del Teatro alla Scala, che contribuiscono alla coerenza e alla riuscita dell'insieme e che meritano di essere citati : Renis Hyka, Cristina Injeong Hwang, Serena Pasquini, Silvia Spruzzola, Luca Di Gioia, Giordano Rossini, Andrea Semeraro, Michele Mauro, Corrado Cappitta, Sarah Park, Alessandra Fratelli e Vittoria Vimercati, tutti membri del coro, e William Allione, Pierluigi D'Aloia e Wonjun Jo, membri dell'Accademia.
Gli amici di Magda, Aleksandrina Mihaylova (Yvette), Martina Russomanno (Bianca) e Andrea Niño (Suzy), sono molto efficaci e naturali, e lasciano il segno sulla scena con la loro presenza vocale, contribuendo a dare tono a un primo atto vorticoso.
Per quanto riguarda i protagonisti, ce ne sono cinque, tutti in grado di svolgere con garbo il proprio ruolo in misura diversa. Siamo felici di trovare Pietro Spagnoli, noto e molto amato basso-baritono rossiniano, nel ruolo di Rambaldo, perfetto nel suo ruolo di protettore elegante e relativamente discreto, senza mai diventare una caricatura nel suo modo di parlare e fraseggiare il testo.
Gli altri quattro cantanti – due soprani, due tenori – devono comporre una sorta di antologia di colori vocali diversi, persino opposti : Una Magda che può mostrare sia un carattere abbastanza duro (fa due scelte decisive – e opposte – in tre atti) sia la poesia, Lisette è una cameriera dal carattere assertivo, che deve avere una voce che si distingue nettamente e una dizione impeccabile con un ritmo vertiginoso (se dovessimo riassumere crudamente diremmo in modo grossolano un'opposizione Mimì/Musetta), Prunier è un tenore più leggero tendente alla caricatura, e Ruggero più lirico tendente allo spinto. Un quartetto differenziato e colorato, un vero quadro impressionista.
La Lisette di Rosalia Cid è straordinariamente presente ed efficace sul palcoscenico, imponendo immediatamente il suo personaggio grazie a un'emissione vocale impeccabile, a un volume notevole, a un senso della conversazione e del ritmo incredibilmente preciso e a una dizione perfetta. Una Lisette di peso, non priva di brillantezza, perfettamente adatta all'opera colloquiale di cui sopra. Ha ottenuto un grande e meritato successo.
Di fronte a lei, Giovanni Sala, ormai spesso presente nei cast mozartiani internazionali, è un Prunier incredibilmente efficace sul palcoscenico, dotato di una naturalezza di gesti, di una flessuosità e di una disinvoltura che lo impongono immediatamente nel ruolo del dandy manierato e vagamente caricaturale voluto dalla messa in scena. Vocalmente è un po' più deludente. La sua voce è piccola, ha difficoltà ad elevarsi al di sopra dell'orchestra e manca di proiezione. Ci ha abituato a molto meglio. Resta il fatto che stilisticamente mostra un senso del ritmo e del colore abbastanza notevole, che sa adattare alla conversazione. Tuttavia, gli manca una linea, una presenza vocale più decisa. Ma l'artista difende il ruolo con grinta, umorismo e intelligenza.
Matteo Lippi è una scoperta per me, ed è un artista con un futuro, mi sembra ; la sua voce è ben appoggiata, il suo timbro chiaro, dorato, solare, e ha una base ampia. Sa ritrarre questo personaggio, che è l'opposto di Prunier, introverso, lontano dalla mondanità, con una voce espressiva molto ben proiettata, che si afferma con uno spiccato senso delle sfumature e una padronanza del volume. Sa vibrare e far vibrare, cosa essenziale per questo tipo di voce e di ruolo. Un tenore solido con un ricco futuro davanti a sé.
Infine, Mariangela Sicilia, che abbiamo visto, ascoltato e apprezzato negli ultimi anni, ad esempio in Giulietta di Capuleti e Montecchi a Roma sotto la direzione di Daniele Gatti, in Elvira di Don Giovanni a Palermo sotto la direzione di Riccardo Muti, e persino nella Petite messe solennelle di Rossini a Pesaro. Finalmente è arrivata in un ruolo importante alla Scala. Non ha nulla della grisette, ma gioca piuttosto sull'eleganza di un canto magnificamente controllato, con acuti spumeggianti, bei pianissimi mai fragili, ma sicuri, ben tenuti sul fiato, e un bel modo di cesellare le parole con i colori e gli accenti necessari. Sentiamo la cantante che si è dilettata nel belcanto e che si affida a una tecnica raffinata. Sebbene il suo bel sogno di Doretta sia piacevole, non fa necessariamente impressione come la sua interpretazione del secondo atto e del terzo atto, molto sentito e sensibile. Forse le mancano le basi nel registro mediobasso, e una voce un po' più ampia, per essere una Magda compiuta e definitiva. Ma è un vero e proprio successo di pubblico e ha tutto il tempo per maturare una voce che è già particolarmente completa. Senza dubbio ha un ampio margine di sviluppo.
Nel complesso, La Rondine è un'innegabile scoperta musicale, una partitura incredibilmente interessante : grazie alla direzione di Chailly, riscopriamo, se ce ne fosse bisogno, la profondità di Puccini e la sua capacità di comporre tra modernità e classicismo, di giocare sull'essere e sull'apparire lavorando costantemente su innovazioni musicali sorprendenti, persino radicali, oltre alle sue brillanti scoperte melodiche. Puccini è sempre sorprendente perché alcuni lo vedono come un compositore “popolare” e quindi “facile”, mentre la sua musica pullula di scoperte, curiosità ed esperimenti strumentali, e rimane molto difficile da esaltare al meglio. I direttori d'orchestra veramente pucciniani sono stati pochi negli ultimi cinquant'anni, ma tutti immensi : Karajan, Maazel, Mehta, Chailly, Petrenko… un bel gruppo.
La produzione rende giustizia a questa musica grazie a un cast solido e particolarmente adatto a questo stile, ma purtroppo la messa in scena non è all'altezza e offre solo un approccio superficiale.
Due serate alla Scala e due serate tanto eccezionali e magnifiche dal punto di vista musicale quanto deludenti (per usare un eufemismo) dal punto di vista scenico. Ci sarebbe un problema con le regie alla Scala ?
[1] In un’intervista molto interessante con Elisabetta Fava che si può leggere sul sito della Scala (seguire questo link : Rivista del Teatro)