È in platea che inizia lo spettacolo : un giovane si aggira fra le poltrone, poi arriva sul palcoscenico e si trova dentro un laboratorio di falegnameria ; tra i trucioli di legno e gli attrezzi del mestiere vede alcuni burattini, tra cui quello di una bella ragazza. Allora il giovane si addormenta e sogna di essere anche lui un burattino, sogna che i burattini prendano vita.. e una storia ha inizio, quella narrata da Felice Romani nel libretto, qui non fedelmente seguita. Questo il filo conduttore del nuovo allestimento del Regio di Parma nella regia di Daniele Menghini, bene ambientata nelle scene di Davide Signorini, con i giusti costumi di Nika Campisi e le luci crepuscolari di Gianni Bertoli e, soprattutto, con l’ausilio dei burattini dei parmensi Ferrari che costituiscono la cifra dello spettacolo. Uno spettacolo affascinante, che ha più spunti di interpretazione e di riflessione ma che, tuttavia, nel finale lascia in sospeso la vicenda fra persone reali e burattini : Nemorino resta nel mondo dei burattini o forse Adina in carne e ossa vive con l’amato ? Poco importa, il pubblico si diverte e applaude con convinzione.
Il vero evento delle recite è il Nemorino di Francesco Meli, ideale da tutti i punti di vista ma soprattutto, dopo aver egli esteso il repertorio a diversi ruoli anche verdiani, per la cura del canto. La voce estesa e caratterizzata da un timbro solare è sempre ampia, trascinante e ricca di comunicativa ; gestita con maturità e consapevolezza, quella voce ora ha completa consapevolezza di interprete, si piega alle sfumature, si assottiglia per trovare accenti raccolti in sintonia con la nota patetica del contadino innamorato, senza che mai vengano meno simpatia e passione ; insomma un canto variegato e ricco di senso che rende il personaggio interessante e nuovo (Nemorino è ben più di “Una furtiva lagrima”, qui bissata), senza che mai emerga l’esuberanza guascona un po’ sopra le righe, talvolta connaturata con il ruolo. Non altrettanto la Adina di Nina Minasyan, giovane e promettente, ma dalla voce ancora un po’ piccola, che però trova giusta varietà e leggerezza.
Nonostante la giovane età, Lodovico Filippo Ravizza risolve il ruolo di Belcore senza alcun problema di intonazione ed evitando genericità interpretative, rivelando una materia vocale interessante.
Veterano del ruolo e perfetto da ogni punto di vista, Roberto De Candia è Dulcamara. Appropriata la Giannetta di Yulia Tkachenko. Il coro del teatro è preparato alla perfezione da Martino Faggiani.
Sesto Quatrini coglie le novità della partitura rispetto alle istanze rossiniane e fornisce una concertazione vivace e dinamica, infondendo la giusta disciplina ai cantanti (impegnati in una non facile impresa attoriale tra i burattini) e dirigendo con giusti tempi l’orchestra del Comunale di Bologna.