Lucia di Lammermoor ha un animo tormentato che il regista Jean-Louis Grinda suggerisce con le immagini di un mare in tempesta, il cui suono (non troppo cupo, a dire la verità, ma quasi a cullare gli spettatori) lega i diversi quadri musicali e consente agli attrezzisti i cambi scena. Un mare tempestoso che si placa solo con la morte della protagonista, quando una luna argentea si riverbera su una superficie quasi immobile, appena increspata dal vento che soffia davvero nell’arena maceratese. La regia resta tradizionalissima, regolando le entrate e le uscite dei protagonisti e del coro e soprattutto evidenziando, con una studiata e curata gestualità, le azioni dei cantanti.
Lo spettacolo resta affidato per la maggior parte alla scenografia di Rudy Sabounghi : il lungo muro dello Sferisterio, che l’architetto settempedano Ireneo Aleandri progettò per il gioco della palla al bracciale, da decenni viene utilizzato per proiezioni di varia tipologia, ma questa volta il videomapping, disegnato da Etienne Guiol e realizzato da Malo Lacroix, è particolarmente realistico nel ricreare gli ambienti voluti dal libretto e, al tempo stesso, nel suggerire gli stati d’animo dei protagonisti (l’effetto è molto suggestivo soprattutto perché le immagini si estendono dal muro di fondo al palcoscenico, quasi avvolgendo i cantanti).
Ecco allora il mare tempestoso e poi placato di cui si è detto, la cascata fra le rocce con il biancheggiante fantasma, l’interno del castello con un piastrellato marrone fra azulejos e tappeto persiano, un rudere medioevale in ombra. Gli splendidi costumi di Jorge Jara situano l’azione a metà Ottocento circa, senza particolari forzature, anzi contribuendo in modo importante alla riuscita dello spettacolo, la cui parte scenotecnica ha affascinato gli spettatori. Le luci perfette e suggestive di Laurent Castaingt preferiscono il taglio laterale.
Jordi Bernàcer ha mano sicura e garantisce un ottimo raccordo tra buca e palco, cosa non da poco : le opere di belcanto necessitano di un equilibrio perfetto se rappresentate all’aperto. Il Maestro ha offerto una direzione attenta a restituire il dramma romantico (accentuato peraltro dai costumi e dalle proiezioni video) e i suoi colori, mantenendo il rispetto delle ragioni del canto : il marcato passo teatrale nella direzione orchestrale ha però dato meno risalto ai momenti di indugio lirico ma, come si diceva, vanno tenute presenti le dinamiche ambientali di un teatro all’aperto qual è lo Sferisterio. L’Orchestra Filarmonica Marchigiana si conferma una buona compagine e così anche la Banda Salvadei.
A partire dalla Lucia di Ruth Iniesta, la compagnia di canto ha riservato gradite sorprese. Il soprano domina il ruolo per il controllo dei fiati e le agilità ed entusiasma il pubblico anche dal punto di vista attoriale, acquisendo nel corso dello spettacolo sempre maggiore pregnanza scenica e culminando nella lunga scena della pazzia per la capacità di alternare scatti di stupore per il crimine commesso a trasporto elegiaco. Dmitry Korchak ha mostrato qualche limite tecnico nelle salite all’acuto ma il canto è vibrante e pieno di temperamento, rendendo il personaggio di Edgardo credibile e appassionato con una recitazione immediata che restituisce, oltre che lo slancio dell’innamorato romantico, anche l’amarezza del “vinto”.
Davide Luciano è un Enrico autorevole e dolcemente protervo che ha conquistato il pubblico per il declamato scolpito, la varietà d’accento e soprattutto la bellezza della voce brunita e morbida. Mirco Palazzi è un Raimondo dalla voce corposa e scurissima. Apprezzabile per correttezza stilistica e rigore gestuale la Alisa di Natalia Gavrilan, corretto l’Arturo di Paolo Antognetti, meno a fuoco il Normanno di Gianluca Sorrentino. Molto buona la prova del Coro Lirico Marchigiano preparato da Martino Faggiani.
Un pubblico caloroso e partecipe ha applaudito ripetutamente durante il corso della recita e nel finale con autentico entusiasmo.