Georges Bizet (1838–1875)
Carmen (1875)

Opéra-comique in quattro atti
Libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy dalla novella omonima di Prosper Mérimée
Prima assoluta il 3 marzo 1875 all’Opéra-Comique, Paris

Direttore Donato Renzetti
Regia Daniele Menghini
Drammaturgia Davide Carnevali
Drammaturgia dell’immagine Martin Verdross
Scene Davide Signorini
Costumi Nika Campisi
Coreografie Virginia Spallarossa
Luci Gianni Bertoli
Assistente alla regiaAndrea Piazza
Assistente alle scene Chiara Previato
Assistente ai costumiAnastasia Crippa

Don José Ragaa Eldin
Escamillo Fabrizio Beggi
Le Dancaire Armando Gabba
Le Remendado Saverio Fiore
Moralès Paolo Ingrasciotta
Zuniga Andrea Concetti
Carmen Ketevan Kemoklidze
Micaela Roberta Mantegna
Frasquita Francesca Benitez
Mercédès Alessandra Della Croce
Un bohémien Andrea Pistolesi
Une marchande Tina Chikvinidze
Attrice Valentina Picello

FORM – Orchestra Filarmonica Marchigiana

Coro lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini”
Maestro del coro Martino Faggiani

Pueri Cantores “D. Zamberletti”
Maestro del coro Gian Luca Paolucci

Banda Salvadei

Nuovo allestimento dell’Associazione Arena Sferisterio

Macerata, Arena Sferisterio, venerdì 28 luglio 2023 ore 21

Una nuova Carmen a Macerata, dove la scenografia riprende i particolari dello Sferisterio e si vuol creare un parallelo tra Arlecchino e Carmen, entrambe figure libere che si ribellano all’ordine costituito, ma il risultato lascia qualche dubbio.

Carmen ? Arlecchino ?

Ha debuttato allo Sferisterio una nuova Carmen in apertura del Macerata Opera Festival 2023 (gli altri titoli sono Traviata e Lucia di Lammermoor) nella versione senza dialoghi parlati, stante il grande spazio all’aperto. Il regista Daniele Menghini, coadiuvato dal drammaturgo Davide Carnevali, pone una serie di questioni, nell’affrontare Carmen. La prima. Cosa spinge il pubblico della corrida a riempire le arene per assistere al massacro di un toro ? E poi cosa significa oggi per il pubblico trovarsi intorno al cadavere di Carmen ? Il pubblico sa che entrambi moriranno, eppure si assiepa sugli spalti per guardare, in silenzio ; evidentemente non è lì per vedere come finirà ma per cercare di decifrare paure più profonde. Carmen è ribellione, istinto, vitalità, ciò che sfugge, ciò che non si allinea : dunque rappresenta ciò che viene ucciso dai “rappresentanti dell’ordine”, quella libertà agognata ma sempre in pericolo di essere soffocata. La seconda. In origine Arlecchino era un diavolo dai tratti comici con un unico corno in mezzo alla fronte e solo nel Cinquecento diventa la maschera nota. Un personaggio che fa il doppio a Carmen, entrambe figure scomode, di rottura di un ordine imposto o precostituito. Arlecchino in scena è la possibilità di Carmen di guardarsi in uno specchio e affrontare la sua parte demoniaca e ludica, affrontarla però con coraggio e lucidità, a occhi aperti. Perché solo guardando le nostre paure negli occhi riusciamo ad affrontarle. La terza. Tutti noi indossiamo una maschera, vuoi per proteggerci dagli altri, vuoi per nascondere anche a noi stessi quelle parti di noi che meno ci piacciono, o che ci fanno paura, o che non sono favorevolmente accettate dalla società. Anche le parole sono una maschera e rappresentano lo stesso scopo, nasconderci e (forse) difenderci, dagli altri e da noi stessi. L’amore non ha volto né nome, per questo ha bisogno di una maschera. Ma ha anche bisogno, al tempo stesso, di incarnarsi nel vivente, di farsi corpo e vita. Mascherarsi e giocare a essere quello che non si è risulta necessario per avere il coraggio di accettare e affrontare la realtà. E, come prima, bisogna farlo a occhi aperti, non chiusi davanti a ciò che fa paura. La paura fugge via se la si guarda negli occhi. La quarta.“Avevo una ferita in fondo al cuore”, canticchia Arlecchino all’inizio richiamando le note di una vecchia canzone, perché l’amore è una tragedia oppure in tragedia finisce. Non ci sono altre alternative.

Scena d'insieme

La scena di Davide Signorini prende lo spunto dallo Sferisterio stesso, considerando che l’arena maceratese ha ospitato in epoca pontificia spettacoli con tori e altri animali e in epoca fascista vere e proprie corride. Dunquela scenografia è uno specchio dello Sferisterio ma abbandonato, cadente, in rovina, circondato da sabbia ed erbacce con qualche papavero sparuto, fra ponteggi arrugginiti e teloni di plastica. Al centro Arlecchino sorveglia la carcassa di un toro e, essendo Arlecchino l’alter ego di Carmen, fin dall’inizio compaiono in scena le due vittime di una società ossessionata dall’ordine e che ha dimenticato il senso della vita e dell’amore, sfogando le sue frustrazioni nella brutalità e nella violenza.E come Carmen viene alla fine fatta a pezzi dallo sguardo voyeuristico degli spettatori (silenziosi e immobili dinanzi alla tragedia, dunque complici), così il toro, da carcassa iniziale, viene smembrato e mangiato nel secondo atto, le ossa bruciate nel terzo con il cuore manipolato da Carmen in una sorta di rito ancestrale.

Carmen (Ketevan Kemoklidze)

I bellissimi e fantasiosi costumi di Nika Campisi rendono concreti i due mondi voluti dal regista : il mondo degli zingari e dei contrabbandieri è il mondo del disordine e dell’istintuale, il mondo dei soldati è quello dell’ordine. I soldati sono in divisa, mentre tutti gli altri sono in maschera, scacchi arlecchineschi declinati in vario modo per i protagonisti e maschere di ogni epoca,genere e provenienza geografica. All’inizio sono proprio le maschere a essere imprigionate in gabbie dai soldati e nel finale, in una sorta di cerchio che si chiude, sono ancora le maschere che assistono silenziose dagli spalti all’uccisione di Carmen.

Vista d'insieme

Le coreografie di Virginia Spallarossa completano una messa in scena che si nutre di rimandi a varie epoche storiche e contesti antropologici e geografici, insieme alle luci efficaci di Gianni Bertoli.

I numerosi spunti si presterebbero a stimolanti chiavi di lettura, ma di tali interessanti intuizioni e intenzioni registiche invero lo spettatore coglie una minima parte, perché prevalgono la poca immediatezza e la non agevole comprensibilità di richiami e simboli. Per citarne uno : Escamillo entra in scena a cavallo, con il braccio destro rivestito di armatura e, con una lunga lancia, trafigge un dragone cinese che però non muore e continua a girare per il palcoscenico… nelle note di regia leggiamo chesi vorrebbecosì recuperare il ruolo originario di Escamillo nella novella di Mérimée, picador e non toreador, il che sembra più un esercizio di ricercatezza che una scelta funzionale alla narrazione ; in questo caso egli (Escamillo alias San Giorgio) sarebbe l’uomo che libera la città dall’assedio di una forza demoniaca paragonabile a Carmen : però, nei fatti, non sarà lui a uccidere Carmen ma un altro uomo, che lo farà non certo per liberare una città da una forza demoniaca che ne minaccia l’ordine… Insomma, ungioco di accostamenti e rimandi che, tuttavia, coglie un poco impreparato lo spettatore e non convince del tutto.

Il regista è bravo nel muovere masse e singoli : Micaela, unica vestita in costume ottocentesco (forse per simboleggiare un ordine nella tradizione, nella storia e in un generico passato?), porta a José una bottiglia di latte ; Carmen tira la corda per “irretire” José ; le sigaraie salgono da una botola fumosa, accaldate e sporche ; la scritta luminosa “Karnem” nella taverna di Lillas Pastia (una crasi tra Carmen e carne ? La sigaraia come carne da macello in specularità al toro?).Non entusiasma infine il mescolare tanti spunti etnografici (la Madonna, il drago cinese, gli sbandieratori, i Santi) e, in fondo, l’identificazione di Carmen con una parte della società, per cui dal tutto prevale un certo senso di confusione e la poca chiarezza in uno spettacolo, comunque, visivamente assai ricco e piacevole.

L’Orchestra Filarmonica Marchigiana è affidata all’esperta bacchetta di Donato Renzetti che ben trasmette il senso del racconto ed è riuscito nell’intento di sostenere il canto senza coprire le voci ; forse ci si aspettava un maggior peso della componente sinfonica, che è sempre protagonista per sensualità e ricchezza di colori e dunque il cogliere in modo più pregnante le dinamiche della partitura per rendere quell’autentica vitalità che ne costituisce la cifra. Buona la prestazione della Banda Salvadei.

Ragaa Eldin (Don José) , Ketevan Kemoklidze (Carmen)

Carmen è interpretata da Ketevan Kemoklidze con una buona resa del personaggio, sia per la carica sensuale e magnetica, sia per la voce ben proiettata e di colore ideale, con la capacità di modulare il canto in base alle prescrizioni ritmiche : una Carmen leggera e potente al tempo stesso, incisiva e piena di nuances e leggerezza in Habanera e Seguidilla, ma capace di sorprendere per i drammatici affondi nel grave. Ragaa Eldin crea un Don Josè titubante e insicuro, travolto dagli eventi, quasi impacciato, e l’interpretazione vocale risente di qualche forzatura.

Roberta Mantegna (Micaela)

La Micaela di Roberta Mantegna ha riscosso unanimi consensi, incantando per la voce luminosa e piena e una linea sicura che le consente di risolvere con naturalezza i passaggi più scomodi : dietro il riserbo, traspaiono sprazzi di delusione, gelosia, disperazione (pur non aiutata dai costumi che la “ingabbiano” in vestiti ottocenteschi con ampie gonne e crinoline). F

Fabrizio Beggi (Escamillo)

Fabrizio Beggi è Escamillo, un ruolo che vorrebbe maggiore esuberanza, per cui il suo torero rimane un po’ sfocato. Apprezzabili la Frasquita di Francesca Benitez e la Mercédès di Alessandra Della Croce, insieme ai contrabbandieri Armando Gabba e Saverio Fiore, rispettivamente Le Dancaire e Le Remendado. Spicca per incisività e naturalezza il brigadiere Morales di Paolo Ingrasciotta. Bene anche lo Zuniga di Andrea Concetti. A completare il cast il Bohémien di Andrea Pistolesi e la Marchande di Tina Chikvinidze. Notevole la prestazione dell’attrice Valentina Picello. Significativa la presenza del Coro lirico marchigiano ben preparato da Martino Faggiani, un plauso per la prestazione sia vocale che attoriale ai Pueri Cantores affidati a Gian Luca Paolucci.

Vista d'insieme
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Francesco Rapaccioni
Giornalista pubblicista dal 1996, segue con grande passione il teatro in genere e prosa e lirica in particolare, recensendo spettacoli e concerti sia in Italia che all'estero per testate nazionali e locali. Da anni conduce trasmissioni radiofoniche culturali su circuiti nazionali e regionali. Legge e viaggia in modo compulsivo e, al tempo stesso, dirige un piccolo teatro a San Severino Marche, in provincia di Macerata. Dopo alcuni anni negli Stati Uniti, vive oggi stabilimente in Italia, nelle Marche, dove si occupa anche di promozione culturale e turistica del territorio. Ma sempre con uno sguardo attento e curioso a ciò che accade nel mondo.

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