Giuseppe Verdi (1813–1901)
Luisa Miller (1849)

Melodramma tragico in tre atti

Libretto di Salvadore Cammarano, tratto dalla tragedia Kabale und Liebe (Intrigo e amore) di Fredrich Schiller
Prima rappresentazione assoluta a Napoli, Teatro di San Carlo, l’8 dicembre 1849

Direttore, Michele Mariotti
Regia, Damiano Michieletto (ripresa da Andrea Bernard)
Scene, Paolo Fantin
Costumi, Carla Teti
Disegno luci, Alessandro Carletti
Movimenti mimici, Carlo Diego Massari
Maestro del coro, Roberto Gabbiani

Il Conte di Walter               Michele Pertusi
Rodolfo                                  Antonio Poli
Federica                                Daniela Barcellona
Wurm                                    Marco Spotti
Miller                                     Amartuvshin Enkhbat
Luisa                                      Roberta Mantegna
Laura                                      Irene Savignano
Un contadino                        Rodrigo Ortiz

Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera in Roma
Allestimento Opernhaus Zürich

 

 

Roma, Teatro Costanzi, martedì 15 febbraio 2022, Ore 20

Dopo molti anni di assenza, Luisa Miller è riapparsa sul palcoscenico del Teatro Costanzi in un allestimento di alta qualità. Michele Mariotti, il direttore d’orchestra, ha offerto una lettura raffinata e attentamente curata in ogni dettaglio, tenendo in pugno con sicurezza la difficile partitura e guidando l’insieme a un convinto successo. Merito anche della messa in scena di Damiano Michieletto, come sempre creativo nel realizzare la sua particolare interpretazione dell’opera. E l’impeccabile, omogeneo rendimento dell’intera compagnia di canto ha procurato a quest’edizione molti e unanimi applausi.

Roberta Mantegna (Luisa), Amartuvshun Enkhbat (Miller)

Esito impeccabile in ogni aspetto : direzione e concertazione, compagnia di canto, orchestra e coro, progetto scenico. Dopo molti anni, Luisa Miller è riapparsa al Teatro dell’Opera, in un’edizione di egregia qualità, che ha segnato il debutto di Michele Mariotti, sul podio del Costanzi, nella nuova veste di direttore musicale. Debutto felice, nel quale Mariotti ha mostrato piena padronanza di una partitura difficile perché prismatica, sia nell’alternanza di stilemi tradizionali e innovativi, sia nella concatenazione drammaturgico-musicale. Apice e insieme suggello del periodo giovanile di Verdi, come si sa, Luisa Miller si conferma titolo di evidente eterogeneità concettuale. Un connotato, questo, affiorante nel Verdi del primo periodo, che rischia di far apparire questa e altre opere come collage di situazioni musicali diverse. E invece la sicurezza esibita dal direttore pesarese  – che ha guidato Orchestra e Coro (istruito da Roberto Gabbiani) dell’Opera a un risultato decisamente lusinghiero –  conferma la sua profonda conoscenza di questo particolare repertorio verdiano, da lui già frequentato in altri lavori. Sicché, proprio dalla compresenza di fattori differenti il direttore d’orchestra ha saputo trarre una sintesi di alta temperatura espressiva, e di persistente tensione : come, ad esempio, nello stupefacente quartetto vocale a cappella del secondo atto, Un sogno di letizia. Nessun bisogno di clangori, quindi, o di stacchi precipitosi, per garantirsi successo. Ma, anzi, un’attenzione sistematica alle sfumature e ai colori, pastellati con cura, come ad esempio in alcuni interventi di strumenti a fiato.

L'impianto scenico

L’impianto scenico viene dall’Opernhaus di Zurigo, dov’era apparso nel 2010, con la firma di Damiano Michieletto per la regia (a Roma ripresa da Andrea Bernard) e della sua collaudata équipe : Paolo Fantin per le scene, Carla Teti per i costumi, Alessandro Carletti al disegno luci, Carlo Diego Massari per i movimenti mimici. I fianchi e il fondo della scena presentano alte pareti, tagliate orizzontalmente a metà da una striscia luminosa. Nella parte alta è simboleggiata la dimora nobiliare del Conte di Walter, padre del giovane innamorato Rodolfo, con porte stucchi e lampade eleganti, e sedie signorili sospese alle pareti. Nella parte inferiore, la semplice casa Miller, vissuta da padre e figlia, con poca luce e seggiole dimesse, sospese a testa in giù. Soprattutto, al centro è un grande cubo, attraversato dall’azione, e con quattro pareti che si aprono o chiudono secondo i momenti, pareti sulle quali sono fissati due tavoli e due letti, di aspetto ben diverso a distinguere i due ambienti sociali, di volta in volta. Il tutto ruota su una piattaforma che gira in base allo sviluppo della vicenda e delle situazioni.

 

Roberta Mantegna (Luisa)

È un’idea funzionale alla trama, uno spazio onnicomprensivo, che ospita anche i movimenti contenuti del coro, e si caratterizza via via, senza pause per l’azione. Un impianto che quindi non offre le spettacolari sorprese delle messe in scena più recenti di Michieletto, ma traduce incisivamente l’idea portante del regista veneziano. Cioè quella per cui in quest’opera non va letta tanto la giustapposizione fra classi sociali, o tra buoni e cattivi, quanto piuttosto il problematico, simmetrico sviluppo del rapporto tra i padri e i figli. L’ottica che rende avvincente la regia di Michieletto vede quindi come fulcro della vicenda non tanto l’amore tra i due giovani, Luisa e Rodolfo, quanto invece lo stretto, parallelo, legame tra i due padri e i due figli. Entrambi i genitori trasferiscono le loro aspettative sui rispettivi figli, e cercano di condizionarne le scelte. È questo il cardine della lettura di Michieletto. A chiarirlo meglio, in tutta l’opera trovano spazio le controscene di due bambini figuranti e dei loro giochi ; soluzione che, da un lato, rievoca l’infanzia e la purezza di sentimenti dei due innamorati, e, dall’altro, sottolinea il gap generazionale che il regista pone al cuore della storia. In conclusione, un progetto scenico efficace e convincente.

Roberta Mantegna (Luisa), Irene Savignano (Laura), Amartuvshun Enkhbat (Miller)

Molto pregevole la compagnia di canto, che come protagonista ha offerto una Roberta Mantegna in pieno controllo della parte. Una parte, la sua, che riflette la fase di transizione in cui quest’opera si colloca. Il personaggio di Luisa, infatti, per un verso prevede una scrittura ancora intessuta di agilità, sulla scia della tradizione belcantistica, e per altro verso mostra l’innovativa tendenza a una vocalità di sapore romantico, appassionato. Sicché il giovane soprano ha saputo, da un lato, disegnare le fioriture previste con gusto e temperamento, senza affettazioni, e dall’altro ha reso con accorto dosaggio l’itinerario emotivo della fanciulla, dai teneri palpiti dell’avvio alla sventurata conclusione che travolge lei e l’amato. Pienezza dei mezzi vocali, misurati con criterio dai pianissimo agli acuti, e attenta cura di ogni sfumatura hanno guadagnato alla cantante siciliana il convinto favore del pubblico.

Roberta Mantegna (Luisa), Antonio Poli (Rodolfo)

Gran bella prova ha esibito Antonio Poli nei panni di Rodolfo, imponendo la sua stoffa di tenore verdiano per squillo, accento, fraseggio. Connotati che sono emersi limpidamente nella grande aria del secondo atto, Quando le sere al placido, grazie anche al perspicace accompagnamento intessuto da Mariotti.

Daniele Barcellona (Federica) Roberta Mantegna (Luisa)

Egualmente pregevoli il duetto con Federica, e i concitati scambi con Walter, il padre ; un filo di affaticamento nel tragico duetto conclusivo, con Luisa, nulla toglie a una sfida molto ben risolta. E come riferire il compiaciuto stupore destato in sala da Miller padre, il baritono mongolo Amartuvshin Enkhbat ? Una voce d’altri tempi, verrebbe da dire, per volume, rotondità, morbidezza, calore, con timbro sempre omogeneo da un registro all’altro. Un fiume di suono pastoso, e molto ben governato nel fraseggio, come nella dizione ; è il lato attoriale piuttosto, quello della recitazione, che appare carente e impacciato : auguriamoci che un lavoro ad hoc, sul movimento scenico, aiuti questo cantante a vincere la sua rigidità.

Roberta Mantegna (Luisa), Amartuvshin Enkhbat (Millier) Michele Pertusi (Il conte Walter) Antonio Poli (Rodolfo) Marco Spotti (Wurm)

Di alto livello anche gli altri nomi del cast. Michele Pertusi è stato un Conte di Walter ineccepibile sul piano della vocalità, sempre solida e compatta, come su quello dell’interpretazione, pienamente attendibile negli accenti e nelle sfaccettature del suo personaggio. La figura di Federica ha uno spazio circoscritto, ma l’averla affidata a un’artista come Daniela Barcellona ha garantito una presenza interpretativa e un risultato musicale i migliori possibili, come ha dimostrato il duetto con il tenore. Con un repertorio di tic e manìe da incallito malvagio, e con adeguata resa vocale, Marco Spotti ha restituito credibilmente la subdola cattiveria di Wurm, cortigiano di Walter. Meritano di essere ricordati, nei ruoli comprimari, anche Irene Savignano, che si è disimpegnata benissimo come Laura, e Rodrigo Ortiz nei panni di un contadino : entrambi provenienti dal progetto “Fabbrica” del Teatro dell’Opera.

Avatar photo
Francesco Arturo Saponaro
Francesco Arturo Saponaro ha esercitato a lungo l’attività di docente in Storia della musica, e di direttore in Conservatorio. Da sempre mantiene un’attenta presenza nel campo del giornalismo musicale. Scrive su Amadeus, su Classic Voice, sui giornali on line Wanderer Site e Succede Oggi. Ha scritto anche per altre testate : Il Giornale della Musica, Liberal, Reporter, Syrinx, I Fiati. Ha collaborato per molti anni con la RAI per le tre reti radiofoniche, conducendo innumerevoli programmi musicali, nonché in televisione per RaiUno e TG1 in rubriche musicali.

Autres articles

LAISSER UN COMMENTAIRE

S'il vous plaît entrez votre commentaire !
S'il vous plaît entrez votre nom ici