Pëtr Il'ič Čajkovskij (1840–1893)
La Dama di Picche (1890)
Opera in tre atti e sette scene
Libretto di Modest Il'ič Čajkovskij e del compositore dall'omonimo racconto (1834) di Aleksandr Sergeevič Puškin
Prima assoluta il 19 dicembre 1890 al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo
Materiali musicali della produzione storica del Teatro Mariinskij della Dama di Picche (1984) forniti per gentile concessione del Teatro Accademico Statale Mariinsky di San Pietroburgo, Russia
Direttore Valery Gergiev
Regia Matthias Hartmann
Scene Volker Hintermeier
Costumi Malte Lübben
Luci Mathias Märker
Drammaturgo Michael Küster
Coreografo Paul Blackman

Hermann Najmiddin Mavlyanov
Il conte Tomskij Roman Burdenko
Il principe Eleckij Alexey Markov
Čekalinskij Yevgeny Akimov
Surin Alexei Botnarciuc
Čaplickij Sergey Radchenko
Narumov Matías Moncada
Il maestro di cerimonie Brayan Ávila Martínez
Contessa Julia Gertseva
Liza Asmik Grigorian
Polina Elena Maximova
La governante Olga Savova
Maša/Prilepa Maria Nazarova
Milovzor Olga Syniakova

Coro di Voci Bianche dell’Accademia Teatro alla Scala
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Maestro del coro : Alberto Malazzi

Nuova produzione Teatro alla Scala

Milano, Teatro alla Scala, mercoledi 23 febbraio 2022, Ore 20

È stata una serata sfortunata quella del 23 febbraio, dedicata all'eterna Russia che amiamo, alla meravigliosa musica di Tchaikovsky e alla sua opera di riferimento La Dama di picche diretta da un ispirato Valery Gergiev. La notte successiva, l'altra Russia, che speriamo sia tutt'altro che eterna, ha invaso l'Ucraina. Alcune persone all'ingresso (in orario…) del direttore lo hanno buato ricordando i suoi noti legami con Vladimir Putin. Ne è valsa la pena ? Il sindaco di Milano e il Sovrintendente Dominique Meyer hanno poi chiesto a Gergiev di rilasciare una dichiarazione sugli eventi che scuotono l'Europa.  Non ha risposto…
Quando un teatro lo invita, sa chi è, e sa cosa rappresenta (e del resto la crisi durava da diverse settimane, abbastanza per pensarci), e per di più questa prima è arrivata nel peggior momento possibile – senza che si possa fare nulla.
Resta il fatto che, al di là delle circostanze, Gergiev ha dato una prestazione superba, ed è soprattutto di questo che parleremo, visto che eravamo lì, come altri 2000 spettatori, per ascoltare (di sicuro per l'ultima volta prima di tempi lunghi) il direttore d'orchestra di statura in Čajkovskij e non nella sua veste di amico di Putin. Ma stando così la situazione, non importa se Gergiev viene bandito dall'Occidente nel prossimo futuro, perché la posta in gioco è ormai molto diversa e coinvolge la nostra visione del mondo in modo molto più urgente.

Atto secondo, primo quadro

Altra coincidenza : ho sentito Gergiev due volte nella Dama di picche nell'arco di un mese, la prima volta a Vienna, e meno di un mese dopo a Milano con un altro cast e con forze locali preparate in due modi diversi, poiché il sistema „stagione“ (quello che regola la Scala) revede prove orchestrali più lunghe. L'ultima Dama di picche alla Scala fu nel 1990 con Ozawa, Freni e Atlantov nella produzione di Andrei Konchalovsky e quindi una nuova produzione era pienamente giustificata. Alla luce della pietosa regia di Matthias Hartmann, forse si sarebbe potuto riproporre semmai la produzione di Konchalovsky, che almeno aveva il sapore della storia e non era mediocre.
La chiamata di Valery Gergiev, al di là della polemica attuale, era anche giustificata nella misura in cui tutte le sue (numerose) apparizioni nella buca della Scala sono state grandi trionfi. Dal 1996, tournée del Mariinskij o no, ha diretto Il giocatore, Chovanščina, Boris Godunov, Guerra e pace, La forza del destino, Turandot, Macbeth e ancora Chovanščina nell'ultima produzione di Mario Martone, di cui abbiamo parlato in questo sito.
Era quindi quasi "naturale" che fosse chiamato da Dominique Meyer a dirigere la Dama di picche. Ma come al solito, il direttore d'orchestra non ha gestito le prove ed è venuto solo per dirigere la prova generale. I teatri e i festival hanno sempre permesso a Gergiev queste piccole licenze che sono proibite ad altri. Persino il Festival di Bayreuth, che è come una statua del Commendatore per esigenze di presenza alle prove, lo lasciò arrivare alle prove del Tannhäuser con lunghi ritardi e tempestività elastica e il risultato finale non fu molto brillante.
Chi lo invita conosce le sue qualità e i suoi difetti. Mi diverto spesso a ripetere che il pubblico dell'Opera di Parigi, me compreso, lo ha aspettato 45 minuti prima che apparisse in una rappresentazione di Lohengrin nel 2007, cosa che si è ripetuta e ha portato allora Gerard Mortier a rompere il suo contratto. È così il personaggio… o si accetta o non si accetta…

Alla Scala, ho sentito la sua Chovanščina nel 1998 (e il suo Boris Godunov nel 2002) che davvero non mi ha entusiasmato, a differenza di quella che ha diretto nel 2019. Ho anche ascoltato il suo Macbeth nel 2013 e ho scritto nel “Blog du Wanderer”: "È chiaro che non c’è nulla di eccezionale in questo Macbeth, non c’è nemmeno nulla di scandaloso…".

Alti e bassi, ma Valery Gergiev non è nel mio Pantheon personale di direttori d'orchestra, anche se ho sentito alcune buone performance da lui, comprese queste due esecuzioni della Dama di Picche a Vienna e Milano. Se a Vienna avevo notato – come in altre serate, del resto – che dopo aver preso in mano l'orchestra, a poco a poco la direzione si era affermata, a Milano il suono era diverso, più rotondo, più sicuro fin dall'inizio. È stata la magia della presenza del direttore d'orchestra sul podio a far scendere “lo Spirito” nella buca ? O è stato l'eccellente lavoro dell'assistente durante le prove a preparare il letto del direttore d'orchestra durante le recite ? Questo è il problema.
Lo è, soprattutto perché mi sa che l'assistente che ha diretto le prove era piuttosto bravo, Timur Zangiev, che ho sentito in Sadko al Bolshoi e che mi ha davvero stupito. Questo è ciò che ho scritto di lui nella recensione della recita : “La sua direzione è particolarmente sensibile, dando a questa musica la brillantezza e la luminosità che possiede, ma anche dirigendo con grande sensibilità le parti più liriche, più vibranti e accompagnando perfettamente i cantanti senza mai coprirli. Ecco un direttore d'orchestra che non conoscevamo, e che conferma la qualità delle forze musicali russe, anche nelle giovani generazioni (…). È un nome da ricordare e che senza dubbio sarà rapidamente esportato”.

(Abbiamo appena saputo che sostituisce Gergiev sul podio per il resto delle recite, ed è una notizia buona)

Najmiddin Mavlyanov (Hermann) Asmik Grigorian (Liza)

È evidente che l'orchestra, di cui si sente il suono, la resa, la rotondità, la finezza, ha lavorato molto durante le prove e conferma che si tratta di un’orchestra eccezionale, se non la migliore : non una sola scoria, pianissimi da sogno, strumenti solisti formidabili (i magnifici fiati), un'esecuzione da vero “suono Čajkovskij”  che non è sempre dato da altre orchestre, altrettanto prestigiose se non di più. Con una tale preparazione, Gergiev stava ovviamente suonando come a casa.
Ma non essere ingiusti : le leggi della direzione sono fatte di tecnica, ma anche di carisma, presenza e relazione con il gruppo. Al di là della preparazione tecnica, c'è quel "je ne sais quoi" che rende le esecuzioni magnifiche, per presenza, sguardo, alchimia fisica (ricordate Abbado, tanto criticato nelle prove, e miracoloso in concerto) e Valery Gergiev, che è senza dubbio un po' dilettante, non è un dilettante quando si tratta di scegliere i suoi collaboratori e cantanti e sa perfettamente come "improvvisare senza improvvisare".
Chiunque sia stato al Mariinskij rimane stupito dall'organizzazione, dall'alta qualità media del "prodotto" e dal livello più che invidiabile delle forze artistiche. E il metodo Gergiev significa arrivare alla fine quando tutte le persone di fiducia che ha piazzato e conosce hanno preparato il lavoro per lui in modo che, con un minimo di prove (o senza), arrivi al risultato desiderato. Sapersi circondare di persone è una delle qualità necessarie di un capo. In altri contesti, questo non è sempre possibile (Bayreuth, Münchner Philharmoniker) e allora la mancanza di lavoro risulta evidente, spesso con esiti problematici.

I direttori d'orchestra sono come gli chef : se le brigate sono buone e ben addestrate, il tocco dello chef arriva alla fine e trasforma tutto in oro. Ma ci sono anche chef "artigianali", che sono gelosi di ogni dettaglio della preparazione. Questo è il caso di un certo Kirill Petrenko :  inutile commentare.

Ma lo spettatore, come il cliente del ristorante a tre stelle, non deve conoscere i segreti della cucina. E per lo spettatore che è venuto a sentire una Dama di Picche diretta da Valery Gergiev, è stata senza ombra di dubbio una grande serata, musicalmente eccezionale per l'orchestra e il coro (diretto da Alberto Malazzi), grazie al lavoro delle forze del teatro, che sanno essere al top quando il momento lo richiede. C'è in questa interpretazione sia una straordinaria poesia dei momenti lirici, un calore e una rotondità che non sentivamo da molto tempo a questo grado di intensità in Čajkovskij (sì, forse nel lavoro di Petrenko o di Jansons…), e anche una tensione drammatica che non molla. C'è sia la brillantezza e il luccichio (il secondo atto e la festa), l'ironia leggera (la scena nella sala giochi prima dell'arrivo di Hermann), e anche il dramma smorzato, che suona con gli accenti vicini alla Patetica (l'attesa di Liza).

La scena dello spettro (Atto terzo)

Tutto questo dà una profusione di colori, sensazioni ed emozioni che rendono questa performance eccezionale, musicalmente anche superiore a quella che avevamo sentito a Vienna poche settimane prima.

Dal punto di vista del cast, quello di Vienna era un apice difficile da superare, e non abbiamo trovato quell'omogeneità e intelligenza di interpretazione che ci aveva tanto colpito allora. Certo, c'è Asmik Grigorian, la cui sola presenza illumina il palcoscenico, ma dal punto di vista dell'insieme, che è comunque onorevole, siamo una tacca sotto, soprattutto per quanto riguarda i protagonisti maschili. C'era un equilibrio di colore nel cast di Vienna che non si trova qui. So quanto possa essere problematico fare paragoni, ma nella misura in cui con lo stesso direttore d'orchestra abbiamo avuto due cast ampiamente idiomatici, mi concedo questa libertà.
Come spesso accade alla Scala e nei grandi teatri, i "piccoli" ruoli sono interpretati molto bene. Spesso accade infatti che un "piccolo" ruolo sbagliato sia sufficiente a rompere il fragile equilibrio dello spettacolo. Citiamo quindi innanzitutto due allievi dell'Accademia del Teatro alla Scala che, come sappiamo, completano il cast, Matias Moncada (Narumov) e il maestro di cerimonie Brayan Ávila Martinez, l'elegante Maria Nazarova (Maja/Prilepa) che, come ricordiamo, ha cantato la voce del Gallo d'oro nell'omonima produzione a Lione e Aix en Provence la scorsa stagione, e i ruoli minori ricoperti da voci consolidate come Olga Savova (la governante)

 

Elena Maximova (Polina)

o il bel mezzosoprano di Elena Maximova (Polina), che negli ultimi vent'anni ha condotto una bella carriera come mezzosoprano, e che qui canta una Polina poetica e impegnata, anche commovente.

Julia Gertseva (La Contessa)

Doveva essere Olga Borodina come a Vienna, poi Violeta Urmana, ed è stato Julia Gertseva ad assumere il ruolo della Contessa, com’è noto di importanza notevole nel cast, anche se il ruolo stesso non è così lungo : chi considera il cast della Dama di Picche guarda prima chi canta la Contessa. La Gertseva ha un bel profilo, ma da un lato la messa in scena le fa fare molti movimenti inutili che non servono né a lei né al personaggio (in particolare questo gioco con la sua maschera bianca che si toglie…, tornando al suo volto giovanile), dall'altro, se ha la voce e gli accenti, è una contessa piuttosto giovane per il ruolo, e non ha l'autorità "mitica" che le darebbe un'età più avanzata. Manca qualcosa : una contessa dovrebbe essere un mito prima di essere un personaggio. Lei è solo un personaggio.

Gioco con la maschera

Buona la performance del tenore Sergey Radchenko nel ruolo di Čaplickij, e anche della coppia Surin (Alexei Botnarciuc)/Čekalinskij(Evgeny Akimov), entrambi espressivi e come sempre eccellenti, per gli accenti e i colori dati al loro canto, attraversano quasi spettralmente la messa in scena, come ombre maligne intorno a Hermann.

Alexey Markov (Eleckij) e in secondo piano Evgheny Akimov (Čekalinskij)

Alexey Markov è il principe Eleckij. Nella produzione viennese era un Tomski notevole. È un eccellente Eleckij perché è semplicemente uno dei migliori baritoni della sua generazione. Non si possono non ricordare le sue qualità di dizione, fraseggio, delicatezza ed eleganza del canto, ma anche il suo senso del colore, e anche un profilo maturo.
Così il suo Eleckij ha tutte le qualità musicali giuste e non c'è dubbio che sia uno dei punti forti di questo cast : ovviamente ha lo stile che si vuole e la voce è una delle più affidabili che ci siano.
Tuttavia, avendolo sentito precedentemente in Tomski, penso che sia un Eleckij un po' troppo "maturo", senza l'ardore che il personaggio può avere (soprattutto nell'ultima scena). Nella mia visione dell'opera, Eleckij è più giovane di Tomski, che è un po' più cinico e distante. Questa distanza gli si addice. E il ruolo del fidanzato di Lisa gli si addice meno. Ripeto che il canto è impeccabile, ma manca l'emozione giovanile di Boris Pinkasovich a Vienna.

Roman Burdenko (Tomski) e Najmiddin Mavlyanov (Hermann)

Tomski è Roman Burdenko, uno dei cantanti che si vede in molti teatri europei ed è uno dei baritoni molto bravi sulla scena russa di oggi. È anche un Eleckij, non solo un Tomski, anche se per me questi due ruoli vocalmente correlati non sono intercambiabili. In Tomski, mostra un'autorità naturale, una presenza reale, con quel tocco di distanza che il personaggio richiede, è una performance molto giusta.

Najmiddin Mavlyanov (Hermann)

L'Hermann di Najmiddin Mavlyanov ha tutte le note, bei acuti, la proiezione, ma è un Hermann troppo "verista", troppo vicino a certi ruoli italiani. È molto convincente nelle ultime scene, soprattutto nel finale, ma il suo personaggio non è abbastanza profondo, non è abbastanza "pushkiniano", per così dire. Hermann è un personaggio complesso, che gli altri guardano con distanza o pietà. Lui stesso è un solitario, e non è chiaro se sia veramente innamorato, se sia completamente consumato dall'invidia e dalla frustrazione. Questo Hermann, invece, è tutto di un pezzo, senza grandi problemi vocali, ma senza molto interesse ne lavoro approfondito sul personaggio. Non è proprio un'incarnazione, e la totale assenza di regia sui personaggi lascia i cantanti a ruota libera, il che ovviamente non aiuta. In breve, non ci fa mai sentire "la verità" di Hermann, e questo è un gran peccato.

Asmik Grigorian (Liza)

Questa mancanza di lavoro approfondito sui personaggi da parte del regista si avverte persino nel trionfo della serata, Asmik Grigorian nel ruolo di Liza : eppure, dal momento in cui appare in scena, fin dalle prime note, siamo presi da questa voce che porta il destino drammatico del personaggio, questo colore vocale di un essere che è abbastanza tosto da scegliere di abbandonare Eleckij e impegnarsi con Hermann, ma che porta anche delle fragilità. Abbiamo scritto altrove di come Liza sia stata cantata da voci molto diverse, una sorta di Mimì e di Norma insieme… Qui è una via di mezzo : sentiamo questo turbamento interiore, che la porta, spinta dal suo amore nascente, ad abbandonarsi subito, la voce è decisa, le note chiare, la presenza incredibile. Eppure si vede dai gesti che fa, che accompagnano il suo canto, che anche lei è stata lasciata senza direzione scenica. Essendo un'attrice e avendo una presenza intrinseca, le cose passano, ma, ben diretta, avrebbe raggiunto il sublime. È comunque senza dubbio la Liza del momento.

Come possiamo vedere, non ci sono problemi importanti in questo cast, ma pur essendo perfettamente a posto, raramente (solo con Grigorian) raggiunge l'eccezionale. Musicalmente, la serata è un concerto per Grigorian e Gergiev.

Immagine della scena finale (Hermann sul tavolo al neon)

In effetti, sul piano scenico, il lavoro di Matthias Hartmann non ha nessun interesse, in un'estetica falsamente contemporanea e appariscente (luci al neon e violente, scenografie astratte di Volker Hintermeier), e un universo che è tutt'altro che onirico anche se vuole esserlo, a volte al limite del noioso, se non fosse per la meravigliosa musica di Čajkovskij. Quando si pensa che avrebbe dovuto mettere in scena Pelléas et Mélisande in questo teatro se Covid non avesse colpito, si rabbrividisce un po', e anche alla prospettiva della sua Ariadne auf Naxos a Firenze. Ciò che colpisce è anche la mancanza di chiarezza nella gestione delle masse, per esempio nell'illeggibile scena della festa del secondo atto, compresa la coreografia della Pastorale, che è più o meno intesa come parte della festa, ma che rimane confusa, anche un po' ridicola.

Apparizione della contessa al posto di Caterina II (Atto II, Primo quadro)

Altrove, come ex-direttore del Burgtheater di Vienna, ricorda forse la regia di Vera Nemirova che deve aver visto alla Staatsoper, quando nel secondo atto fa apparire la contessa al posto di Caterina II, o quando nel terzo atto la fa stare nel suo catafalco. E poi far accompagnare sistematicamente la contessa da un'ombra (servo ? conte di Saint Germain ? spirito maligno?) a cui viene affidato il compito di sostituire all'ultimo momento l'asso con la Dama di picche nel gioco di Hermann sull'enorme e luminoso tavolo da gioco che soffoca l'ultima scena è un po' debole, e anche qui non di cristallina chiarezza. Nessuna grande idea, nessuna recitazione, nessun ritmo. Da dimenticare.

Come al solito, forti buh hanno salutato il team di regia al sipario finale e per una volta, anche se non mi piacciono i fischi, il pubblico scaligero non aveva tutti torti.

Tutto sommato, una bella serata musicale, forse l'ultima diretta da Valery Gergiev per molto tempo (in due giorni tutti i suoi contratti sono stati annullati, ovunque nel mondo "occidentale") ma bisogna dargli credito per un Čajkovskij come si deve, e per una evocazione musicalmente forte della Russia che amiamo, quella dei suoi grandi artisti e musicisti, senza dimenticare Pushkin, quel genio dei geni. Luci autentiche che le ombre di oggi, sinistre e selvagge, non potranno spegnere.

Immagine finale

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