C’era molta attesa per la nuova produzione di Salome, che ha mandato in soffitta dopo cinquant’anni l’edizione “klimtiana” di Boleslaw Barlog. E l’attesa non è stata delusa, anzi.. Cyril Teste, con l’apporto drammaturgico di Sergio Morabito e la collaborazione artistica di Céline Gaudier, situa la vicenda in epoca contemporanea (come i costumi di Marie La Rocca lasciano ben intuire), un’elegante ambientazione che contribuisce a rendere un perbenismo di facciata, dietro a cui spesso si annida una situazione morbosa, quando un adulto molesta un minore. La scena quasi fissa di Valérie Grall è un salone aperto su un giardino desertico : al centro un lungo tavolo, sul fondo tre ampie arcate a separare dall’esterno, ai lati alte finestre. Al banchetto, che si protrae praticamente per l’intera durata dell’opera, partecipano militari, diplomatici, signore eleganti, si mangia e si beve usando cristallerie e argenterie. Basta che il fondale con le tre arcate salga dal fondo e scenda in proscenio per rovesciare la prospettiva dello spettatore con effetto assai teatrale e funzionale dal punto di vista narrativo. Dunque si suppone essere in un qualche palazzo del potere in Medio Oriente, come il plot peraltro esige. E proprio qui, come dicevo, si annida il male, dietro la facciata di rispettabilità e benessere. Erode ha una passione sfrenata per la figliastra Salomè, sotto lo sguardo indifferente di Erodiade. Fin da quando Salomè era bambina Erode l’ha insidiata e ciò ha minato la fragile psicologia della principessa : Salomè è insicura, ha paura di tutto, è abituata a ottenere tutto quello che vuole, fatica a rapportarsi con gli altri. L’atmosfera è di tensione drammatica, accentuata dalle tende alle finestre che fluttuano in continuazione mosse dal vento e dalla luna sul fondo che diviene sempre più grande, incombente, rossa.
Nell’economia dello spettacolo hanno una rilevanza fondamentale i video (curati da Mehdi Toutain-Lopez e Rémy Nguyen), riprese live proiettate sul fondale che consentono allo spettatore di notare ogni piccolo particolare della scena e dell’espressività dei cantanti ma, al tempo stesso, rivelano lo sguardo voyeuristico e morboso di Erode, al punto che lo spettatore si sente quasi a disagio nel parteciparvi, una sensazione di crescente inquietudine che il regista sapientemente mantiene per le quasi due ore della rappresentazione e che impongono allo spettatore di uscire dalla propria “comfort zone”.
Nella scena della danza Salomè si vede ragazzina, sottoposta alle attenzioni morbose e ripugnanti del tetrarca (il tutto è solo accennato, con grande raffinatezza e un’efficacia ancora maggiore): lo sdoppiamento con due bambine vestite come lei offre spunti di lettura assai interessanti. Così anche la testa di Giovanni Battista, qui maschera indossata dal boia e poi appoggiata su un vassoio e concupita da Salomè, il volto desiderato del predicatore irraggiungibile che diventa volto di altri uomini senza volto. Uno spettacolo molto bello e assai significativo e soprattutto capace di creare una altissima tensione teatrale e musicale.
Splendida la direzione orchestrale di Philippe Jordan, tesa e vibrante, attentissima a sottolineare le varietà timbriche della partitura e la differenza di spessori sonori con un’orchestra enorme e un suono travolgente. Direttore musicale dell’orchestra della Staatsoper, Jordan ha mostrato un perfetto affiatamento con i professori : la narrazione musicale è condotta in senso fortemente espressionista, i tempi sono serrati (ma comunque tali da consentire al canto di dispiegarsi ottimamente), i blocchi sonori sono scolpiti con esattezza estrema ed è sottolineata la straordinaria ricchezza di chiaroscuri nella timbrica strumentale, che crea un’atmosfera quasi allucinata, tanto più efficace quanto “nascosta” dietro la facciata apparente della buona società espressa nella casa di Erode.
Malin Bystroem è Salomè dall’inizio alla fine della rappresentazione : raramente si è assistito a una tale immedesimazione tra cantante e ruolo, sia nel senso della fisicità che della vocalità ; il soprano svedese è risultato incredibilmente intenso sul piano scenico e ha sostenuto senza alcuna esitazione la terribile tessitura con emissione omogenea e capacità di piegarsi al mutevole fraseggio straussiano, in perfetta fusione e ideale bilanciamento con l’importante volume orchestrale ; il ruolo pensato dal regista le richiede non ossessione, non sensualità (se non una velata femminilità accentuata dal bellissimo abito), ma insicurezza, insoddisfazione e paura che sfociano in rabbia.
Wolfgang Koch è uno Jochanaan solido, tonante e dalla vocalità scolpita, di estrema dolcezza pur nei toni più severi ; per il ruolo il regista non ha pensato a sottolinearne il carisma erotico quanto piuttosto la caratteristica di predicatore laico e rivoluzionario e dunque seduce Salomè soprattutto per l’aspetto così diverso dall’ambiente “di casa” e per l’integerrimo rifiuto delle avance della giovane principessa.
L’Erode di Gerhard Siegel è incisivo, autoritario (ma represso), suadente, viscido, vocalmente vario nel fraseggio : instabile, allucinato, insinuante dietro l’apparente normalità e dunque pericolosissimo.
Altrettanto perfetta l’Erodiade di Michaela Schuster, indifferente davanti agli abusi commessi sulla figlia ma indignata dai discorsi del profeta, una donna spregiudicata che non esita a usare la figlia per i propri scopi e interessi : mantenere il potere accanto al tetrarca ed eliminare il profeta scomodo, una Erodiade carismatica e al tempo stesso caricaturale come si addice a un “mostro”, che alterna un placido compiacimento a scatti quasi ferini. Intenso, lirico e ricco di squarci di dolcezza in Narraboth di Daniel Jenz. Sensibile e partecipe il Paggio di Patricia Nolz, qui una rigida e professionale segretaria fasciata in tailleur aderente. Tutte perfettamente risolte le numerose parti di fianco.