L'Equivoco stravagante è un'opera precoce di Rossini, essendo il suo terzo titolo dopo Demetrio e Polibio (composta nel 1806 ma rappresentata per la prima volta nel 1812) e La cambiale di matrimonio (1810). Si tratta infatti del primo Dramma giocoso in grande stile, la cui carriera fu interrotta dalla censura di un libretto particolarmente originale di Gaetano Gasbarri. Ma i tempi cambiano e ciò che poteva scandalizzare i censori bolognesi nel 1811 oggi va di moda (giochi di parole scanzonati o l'argomento stesso, che tratta di questioni di genere – un castrato che si nasconderebbe sotto i panni di una donna). Così oggi il libretto suona particolarmente vivace, ironico e volutamente roboante, uno dei libretti più divertenti di Rossini.
Ricordiamo per dovere di cronaca la storia : Gamberotto, un ricco contadino, vuole dare in sposa la figlia Ernestina a Buralicchio, un giovane ricco e sciocco, ma lei preferisce Ermanno, un giovane povero che si è introdotto in casa come precettore con la complicità di due valletti, Frontino e Rosalia. A ben vedere, non c'è nulla di nuovo sotto il sole : è il solito schema della commedia media fin dall'antichità (Terenzio), un padre ottuso che impedisce ai giovani innamorati di sposarsi e poi fa un'altra scelta ridicola.
Più inedito è il personaggio di Ernestina, una giovane autodidatta immersa nei libri, una “dotta” che non ha ancora digerito bene il suo sapere e che quindi “logicamente” preferisce i discorsi del precettore a quelli del promesso, un Buralicchio un po' rozzo e più interessato ad attività meno “intellettuali” e più tattili con la giovane. Ma ancora più inedito è lo stratagemma utilizzato per liberarsi dello sposo : Il valletto Frontino ha l'idea di far passare Ernestina per un castrato mascherato, che potrà così sfuggire alla leva (napoleonica), in un'epoca in cui i castrati erano passati di moda (dopo aver costituito gran parte dell'opera settecentesca), ed erano appena stati messi al bando da Napoleone nel 1810 nel Regno d'Italia, ma erano ancora ammessi nello Stato Pontificio, di cui fa parte la città di Bologna, dove l'opera viene rappresentata per la prima volta. Si trattava quindi di un argomento delicato, che toccava la situazione politica dell'Italia, divisa tra il regno napoleonico post-rivoluzionario e lo Stato Pontificio, che ospitava ancora un solido vecchio regime.
Il meccanismo comico si mette in moto, con Buralicchio che ci casca e fa arrestare la giovane Ernestina come castrato travestito. Viene salvata e liberata da Ermanno e alla fine tutto è bene quel che finisce bene.
Si tratta di un soggetto quasi unico nella produzione rossiniana per la sua originalità (la sua “stravaganza”), e fu proprio questo a determinare l'arresto della carriera dell'opera, anche se Rossini, come spesso accade, ne utilizzò alcune parti in altre opere (ad esempio La pietra del Paragone).
L'allestimento di Patrice Caurier e Moshe Leiser punta sulla meccanica comica, con personaggi che sono “figure” (il cui effetto è accentuato dagli ingegnosi costumi di Agostino Cavalca), nell'ambientazione fissa di un appartamento dalle linee spezzate (abile scenografia di Christian Fenouillat), fatto di tramezzi che nascondono mobili o letti, con un quadro bucolico di mucche alla parete (Gamberotto è un contadino) che si anima alla fine quando la giovane Ernestina viene liberata. Ogni personaggio ha il suo lato ridicolo : Buralicchio, naturalmente, un campanilista idiota, ma anche Ernestina, che ha letto troppo e digerito male le sue letture, e l'ineffabile Gamberotto, il padrone di casa che finisce per perdere il controllo di tutto.
Quelli che mettono a moto il famoso “equivoco stravagante” sono i due valletti, Frontino e Rosalia, che, tra due colpi di piumino, si danno al carnal piacere contro la carta da parati fiorita della casa a sipario appena alzato, per metterci nel mood dell'opera, che è piuttosto scanzonata.
È tutto vivace, ben ritmato, senza un intoppo o un momento di esitazione, con tutto ciò che esce dal nulla, porte che sbattono, personaggi che appaiono e scompaiono : la meccanica della risata è all'opera.
Nel complesso, uno spettacolo perfettamente oliato che funziona come un orologio. Impeccabile.
Come abbiamo già accennato, i partecipanti alla ripresa sono stati completamente rinnovati, non solo l'orchestra, il coro e i solisti, ma anche il teatro stesso, dal momento che il Teatro Rossini, riaperto quest'anno dopo i lavori di consolidamento, è una cornice ideale per questo tipo di opera, che era stata presentata nel 2019 nella troppo vasta navata della Vitrifrigo Arena. Affronteremo anche l'assillante questione dei luoghi di rappresentazione a Pesaro in occasione della presentazione di Bianca e Falliero.
A dirigere il tutto in senso letterale e figurato, è Michele Spotti, che conferisce allo spettacolo un ritmo e un respiro perfettamente adeguati, con un tempo fluido e agile, in perfetta sintonia con la messa in scena, e conferisce al tutto una leggerezza che non manca mai di stupire. Le variazioni, le rotture ritmiche e le articolazioni sono perfettamente eseguite, e il gioco dei volumi e dei contrasti dinamici dimostra già una bella comprensione di ciò che dovrebbe essere un direttore rossiniano, ma che sa anche far sentire certi echi chiaramente mozartiani della partitura. Spotti sa risparmiare gli effetti, lavorare su un crescendo con un forte ed esemplare senso del dramma, e soprattutto lavorare con grande precisione per accompagnare il testo, i sillabati, ad esempio, ma anche nel modo in cui sottolinea certe espressioni o giochi di parole, che sono numerosi nell'opera.
Ciò è tanto più lodevole se si considera che non ha a disposizione, come era il caso cinque anni fa, l'orchestra della RAI, ma la ben più modesta Filarmonica Gioachino Rossini, che ha iniziato la serata molto male con una disastrosa serie di debolezze nei corni e più in generale negli ottoni. Gli archi sono stati migliori, e Spotti è riuscito gradualmente a portare a un livello piuttosto apprezzabile un'orchestra pur al di sotto di quanto richiesto per il primo Festival italiano.
Più appropriato il coro del Teatro della Fortuna di Fano, un coro tutto al maschile preparato da Mirca Rosciani, con una positiva prestazione vocale e scenica nei panni dei servi di casa e poi dei soldati napoleonici.
Per quanto riguarda i solisti, la differenza tra il 2019 e il 2024 è che nel 2019 i tre ruoli principali erano equilibrati (Paolo Bordogna, Teresa Iervolino, Davide Luciano) ma nel 2024 la presenza e l'aura di Nicola Alaimo hanno totalmente sovrastato un cast altrimenti rispettabile ma non eccezionale.
I due valletti, Matteo Macchioni (Frontino) e Patricia Calvache (Rosalia), che sono il motore della farsa, sono stati innanzitutto particolarmente attenti e impegnati nella messa in scena, ma anche musicalmente molto a posto nelle rispettive arie, Matteo Macchioni per il ritmo e il senso del testo e degli accenti, mentre Patricia Calvache, giovane soprano spagnolo, ha dato il meglio di sé in Quel furbarel d'amore, la sua aria del primo atto.
Carles Pachón, promettente baritono catalano, subentra nel ruolo di Buralicchio a Davide Luciano, che aveva segnato il ruolo con incredibile disinvoltura ed è attualmente Don Giovanni a Salisburgo (sic transit…). È entrato nel personaggio con la stessa disinvoltura, molto espressivo nei gesti e negli accenti, e si è contrapposto sia all'Ermanno di Pietro Adaini sia all'esuberante baritono di Alaimo. Il timbro manca un po' di seduzione, ma l'espressività è particolarmente raffinata, con una bella varietà di accenti e colori nelle varie situazioni e soprattutto nell'esilarante duetto con Ernestina, che egli crede essere il castrato Ernesto.
Pietro Adaini è un personaggio più schivo, come si addice di fronte a un Buralicchio tutta prepotenza, e la sua voce è ben calibrata con un timbro piacevole. Se gli acuti sembrano a volte un po' sforzati, la buona tecnica e l'impegno di questo specialista degli amanti dell'opera buffa fanno sì che gestisca il ruolo con vera eleganza, senza mai strafare, ma sempre presente e giusto.
L'Ernestina di Maria Barakova mi è sembrata più irregolare rispetto alla Teresa Iervolino di qualche anno fa e, soprattutto, meno impegnata nel testo con i suoi doppi sensi e giochi, anche se ne è uscita comunque bene. La voce è sicura, ben proiettata, con deliberate agilità, in particolare nel rondò Se per te lieta ritorna. Senza avere un timbro particolarmente seducente, è riuscita a imporre il suo personaggio ed è stato un vero successo, anche se per i miei gusti gli acuti, troppo forti e ampi, hanno sbilanciato la linea e l'omogeneità.
Ma, per quanto valoroso, questo cast impallidisce quando arriva in scena Nicola Alaimo, che si impone con il suo fisico, la sua voce, il suo canto e la sua eleganza. Ricordo Paolo Bordogna, davvero eccellente nella versione del 2019, ma qui abbiamo un personaggio che riempie il palco appena entra. Lo stesso vale per alcuni cantanti che attirano l'attenzione non appena appaiono in scena. Nicola Alaimo è uno di questi, qualunque sia il ruolo, buffo o meno. Il suo Nottingham in Roberto Devereux, che si trasformava da bravo ragazzo a vendicatore, era emblematico e impressionante.
Qui è tutto un colore vocale, che cambia a seconda dell'interlocutore : dolce con lo stupido Buralicchio, indifferente con Ermanno, autorevole (e anche sconcertato) a volte con Ernestina, è questo personaggio sfaccettato e unico, una sorta di caleidoscopio teatrale che affascina. Nicola Alaimo sale sul palco a voce piena, a corpo pieno, ed è una performance straordinaria.
La voce è incredibile nella sua duttilità, fluidità, colori mutevoli e potenza. Gli acuti arrivano con facilità, la gamma è ampia e la linea è sempre impeccabile e controllata sotto l'apparenza della facilità. Pochi cantanti sono capaci di un “sillabare” così naturale e quasi innato. Con Alaimo c'è una vera e propria cultura del testo e delle parole che sono sempre chiare, sempre ovvie, sempre a ricordarci che cantare è prima di tutto dire bene un testo, ed è qui che i grandi si fanno valere. Nicola Alaimo è uno spettacolo in sé, perché è l'alleanza di un corpo e di una voce, ciascuno con una mobilità sorprendente. Il corpo completa la voce e viceversa, l'uno non può esistere senza l'altra. Questo è evidente in Rossini e nell’opera buffa rossiniana, ma lo è anche in altri ruoli. Ascoltandolo con questa sicurezza, con questa bonarietà, con questa grandezza, mi sono detto (sognando un po') che se avesse il tedesco in bocca come l'italiano, sarebbe il più grande Hans Sachs possibile, di cui ha il formato, la sensibilità e il senso poetico della parola. I grandi Sachs, come Michael Volle, sono anche alle prese con Falstaff, l'equivalente italiano in un certo senso… Molto raramente il contrario… In ogni caso, Nicola Alaimo ha quella semplice grandezza (una qualità che pochi cantanti hanno) che lo predispone a questo tipo di ruolo. Ed è affascinante da guardare e ascoltare.
La versione 2024 de L'Equivoco stravagante ha dunque i punti di forza attesi, un allestimento eccezionale dovuto al lavoro di Caurier e Leiser particolarmente adatto al luogo, e punti di forza nuovi, in primo luogo Michele Spotti, direttore che fa soffiare un vento di giovinezza, ritmo e vigore ma anche di innegabile autorevolezza e che è atteso a dirigere altre opere rossiniane a Pesaro, dove in precedenza ha diretto (molto bene) solo Il Signor Bruschino in condizioni speciali Covid, e poi Nicola Alaimo, l’altro punto di forza. Tra loro, tengono insieme lo spettacolo e trascinano l'intero cast – meritevole e valoroso – nel ritmo e nell'agilità caleidoscopica di Rossini. Sono le due colonne d'Ercole della serata, che contribuiscono a confermare senza ombra di dubbio quanto Rossini fosse un genio, già così virtuoso all'età di 19 anni. Allora ci chiediamo : come può un'opera così fresca e allegra, così vicina alle preoccupazioni di oggi, essere ancora appannaggio del solo Festival di Pesaro ? È tempo che i teatri la prendano in considerazione per la loro stagione e amplino l'offerta di opere di Rossini, generalmente molto povera rispetto al ruolo e all'importanza del compositore nella storia della musica lirica dell'Ottocento.