Fin dall’ouverture, una lettura di misurata compostezza. E da qui si dispiega un itinerario interpretativo mirato a una dimensione sonora limpida e raffinata, che evita bruschi scarti dinamici, e segue invece nitide parabole espressive. La direzione d’orchestra di Fabio Luisi, che dal podio del Festival della Valle d’Itria ha inaugurato con Norma la 50esima edizione, ha impresso un significativo indirizzo al capolavoro di Vincenzo Bellini. E ha sottolineato come i fremiti protoromantici di Norma siano ancora sfiorati da una sensibilità classicheggiante. Infatti Luisi distende la partitura nel solco di una cantabilità sobria, temperante, ma è attento a mettere in evidenza il succedersi di ripiegamenti lirici e incalzanti accensioni. Ecco quindi scelte dinamiche centellinate con efficacia impalpabile nei pianissimo, e mai eccessive nei momenti turbinosi. Lodevole l’Orchestra del Teatro Petruzzelli di Bari, che asseconda il direttore genovese con levigata lucentezza nelle oasi liriche, e colori febbrili nei frangenti più drammatici.
Su questa sua traiettoria interpretativa, Fabio Luisi ha dunque ben sostenuto il canto, e illuminato il profilo melodico dell’opera, avvolgendolo di toccante soavità, senza peraltro trascurare la cura dei recitativi, da lui calibrati in chiaroscuri che hanno efficacemente riverberato angosce e turbamenti dei personaggi. È stato quindi degnamente onorato il ricordo della Norma del 1977, quando Rodolfo Celletti, mitico cofondatore e direttore artistico del Valle d’Itria, recuperò l’originaria attribuzione vocale scelta da Bellini, affidando a due soprani i ruoli femminili. Esattamente come si è fatto in questa produzione. In più, è stata adottata la nuova edizione critica dell’opera, allestita da Roger Parker.
Nel ruolo del titolo, il soprano statunitense Jacquelyn Wagner ha offerto una prova decisamente positiva. La sua vocalità è omogenea, ferma, di bel velluto pieno, il timbro è luminoso, gli acuti precisi anche se, proprio nella scena principale della nostra replica, in un paio di passaggi i suoi acuti sono apparsi un po’ schiacciati. Si fa ammirare nelle mezze voci e nel morbido legato, e in quell’accento di accorata amarezza che l’animo le suggerisce in altri snodi importanti, come i duetti con Adalgisa, nei quali la Wagner vive la sua disillusione con controllata sacralità. Venendo proprio ad Adalgisa, occorre sottolineare che la sua interprete, Valentina Farcas, con un’esecuzione impeccabile ha motivato in pieno il recupero della scelta di affidare il personaggio a un soprano. Lucente, angelica la voce, palpitante il suo accento, la Farcas ha esibito un contegno espressivo intenso e trasparente.
Il tenore canario Airam Hernández, Pollione, è andato in crescendo : dapprima un po’ teso e non del tutto convincente, ha poi trovato nel seguito la sicurezza dell’emissione e una bella proprietà di fraseggio. Incerto all’avvio, il basso Goran Jurič ha poi conferito al suo Oroveso peso timbrico e voce marcata, ma il suo accento è rimasto superficiale. Nelle parti di contorno si sono disimpegnati a dovere Saori Sugiyama, Clotilde, e abbastanza bene Zachary McCullock, Flavio. Il Coro del Teatro Petruzzelli, preparato da Marco Medved, ha prodotto nell’insieme una buona prova ; tuttavia, complice forse la collocazione separata nei due spazi simmetrici ai lati del palcoscenico, peraltro in uso da anni, e in più, nel finale, quand’è stato piazzato in fondo alla platea, ha attraversato qualche sfasatura.
In linea con la sobrietà della lettura scelta da Luisi, il progetto scenico è apparso egualmente contenuto, in omaggio alla visione dell’antichità circolante tra Sette e Ottocento. La scena di Leila Fteita, che ha firmato anche i bei costumi classicheggianti, consisteva in una semplice, lunga parete di fondo, mossa da una leggera onda, con due varchi per entrate e uscite. Rosso pompeiano il colore dominante, segnato dai graffiti del tempo, contro un pavimento colorato da un mosaico geometrico. Sulla parete sono stati proiettati la quercia rievocante la foresta, e il rogo finale. Da notare che questa parete è stata usata anche nella scenografia, sempre di Leila Fteita, della terza opera, Aladino e la lampada magica di Nino Rota, con evidente risparmio. In uno spazio siffatto, la regia di Nicola Raab ha adottato movimenti equilibrati e misurati ; una scelta coerente con l’insieme visivo e musicale dell’allestimento, e che è stata mantenuta anche nei duetti Norma-Adalgisa, nel secondo duetto sedute l’una accanto all’altra, in un confronto drammatico e animato.