Gustav Mahler (1860–1911)
Sinfonia n.9 in re maggiore

Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Direzione : Daniele Gatti

Torino, Auditorium RAI "Arturo Toscanini", Venerdì 10 gennaio 2020 , ore 20

Daniele Gatti non dirigeva la Nona di Mahler dal 2013 (Lucerna, Concertgebouw), e quest'anno ha due appuntamenti con il "testamento" di Gustav Mahler, ai primi di gennaio con l'Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, che dirige per la prima volta, e a maggio con l'Orchestre National de France, per il primo appuntamento dal quando ha lasciato Parigi per Amsterdam nel 2016. Da allora, sono accadute molte cose che possono aver influenzato questa nuova visione di una sinfonia generalmente immersa nella nostalgia, nella malinconia e talvolta nella disperazione.

Questo primo incontro con l'OSNRai a Torino si è concluso in trionfo. E infatti era da molto tempo che non sentivamo un Mahler così nuovo, e stranamente così fiducioso e aperto.

Daniele Gatti a capo dell'Orchestra Sinfonica Naziona della RAI (Gennaio 2020)

Le prime impressioni sono decisive, e fin dalle prime battute si percepiscono suono e colore diversi, un suono nitido, deciso e chiaro, e un colore con più vigore. Si capisce che questa Nona esplorerà nuovi mondi.
Alcune osservazioni iniziali : la Nona di Mahler è una sorta di sinfonia d'addio, dove Mahler guarda alla vita con nostalgia, nonché con rabbia. Adorno chiamava i due movimenti centrali, più "danzanti", una danza della morte “Totentanz”: è infatti la morte sembra sempre in agguato. La fine dell'ultimo tempo è in realtà la fine del suono.
Dove Wagner ha aperto il suo Ring nel Rheingold con la nascita del suono, Mahler chiude la sua ultima sinfonia con un silenzio, segnato nella partitura "Still", come se la musica sprofondasse gradualmente nel silenzio dopo qualche scossone, sempre più minuta, sempre più impercettibile, fino a diventare silenziosa come un soffio morente, come un soffio di vita che scompare.

L'ascoltatore di Mahler che sono è imbevuto dalle interpretazioni di Claudio Abbado, in particolare con Lucerna nel 2010, anche se l'ultima volta che l'ha diretta è stato nel dicembre 2011 con un’orchestra composta dall'Orchestra di Mozart e dall'Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino. L'approccio era chiaramente quello di un Mahler rassegnato, a volte sarcastico, spesso straziante, che lasciava l'ascoltatore sconvolto, quasi distrutto.
Qualunque sia l'approccio, l'ascoltatore è sempre colpito da questo lavoro poliedrico in cui si passa dalla speranza alla disperazione, dall'ironia squillante all'inno alla vita, per lasciarsi scivolare nel nulla. Una musica ricca e variegata, in varie tonalità, in re maggiore, la minore, re bemolle maggiore, con suoni sconnessi o dissonanti, ma anche con momenti di lirismo estatico. È un addio pieno delle contraddizioni del compositore, delle sue speranze e delusioni, del suo incontenibile amore per la vita, del suo rifiuto di lasciarsi scivolare nella morte.

Oggi siamo a un bivio : i grandi mitici direttori mahleriani sono ormai ritirati (Haitink) o scomparsi (Bernstein, Abbado, Jansons). Nella generazione attuale, se escludiamo i direttori quarantenni (Nelsons, Petrenko, Nézet-Seguin, perfino Dudamel), rimane Riccardo Chailly che è stato uno dei mahleriani che contava, ma ormai dirige poco. Thielemann non ha alcuna affinità con questo repertorio, Simon Rattle un po' di più, ma il suo Mahler non convince tutti.
Rimane Daniele Gatti che potrebbe essere il grande mahleriano del nostro tempo, colui che non ha mai smesso di dirigerlo, con l’Orchestre National de France (ancora nella sua prossima apparizione in maggio) e con la Royal Concertgebouw, l'orchestra mahleriana per eccellenza, che a quanto pare lo aveva chiamato per le sue interpretazioni mahleriane, soprattutto della Nona.

Mahler corrisponde senza dubbio al nostro tempo, dove il destino individuale conta più delle grandi imprese collettive : la sua fortuna negli ultimi cinquant'anni è tale che tutti i direttori d'orchestra di fama vogliono confrontarsi con la sua musica : l'anno 2020 che celebra il 160° anniversario dalla nascita del compositore (ad Amsterdam) e il 2021, 110 anni dopo la morte (a Lipsia) sono eventi considerevoli che toccheranno anche tutte le grandi città musicali.

Gatti ha una grande sensibilità che conviene alla sua volontà di leggere e rileggere le partiture, e di provare nuove vie, altre visioni che possono destabilizzare alcuni ascoltatori ma che corrispondono al suo pensiero del momento.
E Daniele Gatti, che ha appena diretto a Lipsia una meravigliosa Nona, quella di Beethoven, apoteosi di fiducia collettiva nell'uomo ma che rimane anche per molti versi un punto interrogativo complesso, si confronta appena dieci giorni dopo alla Nona di Mahler alla significazione forse più evidente ; incontro del singolare individuo col suo destino. Gatti mantiene con questa sinfonia una familiarità che è quasi una relazione intima : la dirige senza partitura, concentrandosi sui modi di far suonare l'orchestra e di entrare in un dialogo fusionale con i musicisti.

 

Eppure era un primo incontro con l'Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI di Torino, per quanto sorprendente possa sembrare. Daniele Gatti, che dirige spesso Santa Cecilia, non aveva mai diretto la seconda migliore orchestra sinfonica della penisola. Visto il modo in cui è stato applaudito dagli orchestrali, visto il modo impeccabile e completamente dedicato in cui l'orchestra ha suonato, cogliendo al volo la minima indicazione del direttore, ci sono buone probabilità che altri incontri seguano.
L'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai è un'ottima formazione, che sa essere eccezionale e superare sé stessa quando si svolge un incontro particolare : l'abbiamo notato quando è venuto Kirill Petrenko e lo notiamo di nuovo con Daniele Gatti. Un suono pulito, caldo, linee chiare, senza scorie, un'incredibile morbidezza, un gioco di contrasti stupefacente sempre riuscito, come un'intesa al volo della volontà del direttore d'orchestra, con solisti d'eccezione (timpani, arpa, tutti fiati e ottoni, soprattutto corni d'eccezione – Ettore Bongiovanni il primo corno ha ricevuto una formidabile ovazione pienamente meritata) ma anche la prima viola Luca Ranieri e ovviamente il primo violino Alessandro Milani. Insomma, quello che si poteva leggere sui visi questa sera è stato prima di tutto la gioia di suonare, fuori da ogni routine e fuori dai sentieri battuti.

Ma la lezione di stasera è anche altra : Daniele Gatti ha portato l'orchestra verso altri orizzonti, inaspettati in un lavoro così spesso associato alla nostalgia e all'addio alla vita. Gatti dà all'opera come una gioia singolare : una gioia mistica dove l'addio alla vita è un passaggio aperto più che una fine.

Gatti ha una profonda conoscenza di Bach, e ha dato alla sinfonia a volte il colore di un corale di Bach, di un'aspirazione a un aldilà sicuro. Se vogliamo descrivere questo approccio, è prima di tutto un approccio pieno di fiducia e speranza. Una Nona piuttosto positiva, dove anche le parti più sarcastiche, come il rondo-burleske (il terzo tempo) sono meno sconnesse, meno accentuate.

Lo stesso vale per il Ländler del secondo movimento, molto ballabile, mai pesante, fluido, sorridente – la prima parte colpisce in questo senso. Gatti si muove costantemente in uno stile deciso, sempre aperto e quasi festoso, con un gioco tra gli strumenti perfettamente sistemato e ben oliato. Anche i suoni più squillanti – quelli che ritroveremo nel Wozzeck di Berg – sono meno accentuati. Ci sono meravigliose, bucoliche prelibatezze che danno a questo momento un respiro completamente nuovo : qui l'orchestra non "suona" ma "fa musica", coglie tutto ciò che la musica può avere di tenerezza, tutto ciò che può attirare l'ascoltatore in questo vortice, che lungi dall'essere inquietante, diventa qui vivace e sicuro di sé, e di una sorprendente giovinezza e meravigliosa tenerezza : se si fosse in poesia si sentirebbe il Rimbaud di "Parade". E qui Gatti sminuisce Adorno, questa danza non è più una danza macabra, ma un'ode alla vita, a un futuro, quasi un'ode alla gioia.

Fin dal primo tempo, l'Andante comodo, si nota un suono più brillante, contrasti più netti tra momenti esplosivi dove si è assaliti dal suono demoltiplicato dell'orchestra che però non perde mai la sua chiarezza ne la sua leggibilità, e altri più trattenuti, appena mormorati. C'è qualcosa di particolarmente vigoroso, deciso, che va avanti con un suono aperto e con una respirazione particolarmente ampia che finisce in un’espressione intima di rara delicatezza, che in un certo senso prepara l'ultimo tempo. È qui l'espressione di una fiducia che coglie, una fiducia forse legata alla ricerca religiosa di Mahler, alla questione di una vita dopo la vita. Da qui anche l'impressione di momenti legati a Bach, a una fede che cerca di esprimersi. Si tratta in ogni caso di un Mahler singolare, che cambia tutte le idee consolidate sulla Sinfonia n. 9, in modo più positivo, forse più vicine ai colori di Bernstein che dei suoi successori.

In una tale prospettiva, non solo il Ländler, ma anche il rondò-burleske cambia colore. Questo burlesque spesso sembra davvero una Danza della Morte, ancor più del secondo tempo, piena di amarezze, di sorriso stridente, di falsa gioia.

Gatti affronta i momenti di disperazione, ma in una prospettiva in qualche modo più "eroica" che rassegnata. C'è una lotta, ma in un certo senso risoluta, quasi vittoriosa. L'approccio di Gatti attenua asperità e amarezze, accentuando invece la fluidità, le sequenze da una frase all’altra che rendono le dissonanze e i momenti che sembravano così scricchiolanti quasi giochi "infantili". Da qui l'impressione di un "disordine" più giovanile che macabro, e la fine del movimento è molto più lirica, quasi più placata, in ogni caso senza tale palpabile tensione (gioco dell'arpa e dei fiati quasi sorridente), anche se le battute finali riprendono il rondò in modo un po' folle e in un vertiginoso fortissimo più simile a un'ebbrezza sonora che a un rondo folle e sarcastico.

L'ultimo tempo, l'adagio, è dominato da un colore rassicurante, profondamente sentito e quasi religioso. Tra la fine del terzo tempo e l'inizio del quarto, Gatti lascia un lungo silenzio, una lunga pausa, come se cambiasse il registro, come se si passasse all’elevazione, dopo due tempi più marcati dalla vita terrena. Ci si penserebbe a Baudelaire e a "L'amore del Nulla" "Addio, nenie di flauti, addio, canti di ottoni".((Adieu donc, chants du cuivre et soupirs de la flûte))
E' forse ancora più ad un'altra poesia baudelairiana, "Elevazione", che citiamo qui :
Alle spalle le noie e i molti dispiaceri
che gravano col loro peso sulla grigia esistenza
felice chi può con un colpo d'ala vigoroso
slanciarsi verso campi luminosi e sereni ;

((Derrière les ennuis et les vastes chagrins
Qui chargent de leur poids l'existence brumeuse,
Heureux celui qui peut d'une aile vigoureuse
S'élancer vers les champs lumineux et sereins ;))

Gatti sembra accreditare una visione platonica in cui ci si avvicina finalmente alla luce. Gatti è un uomo di fede, e il modo in cui illumina quest'ultimo movimento con un barlume di vita è di grande intensità : questi "canti luminosi e sereni" sembrano chiamarlo.
Così l'energia non è energia di disperazione, ma di Speranza. Per ricordare Baudelaire, nell’”Amore del nulla" ("Speranza, il cui sperone ha suscitato il tuo ardore")(( L'Espoir, dont l'éperon attisait ton ardeur )), la Speranza qui ricomincia a suscitare un ardore che era così vicino a cedere. E così lo scivolare nel nulla finale, nel "fermo" finale, è meno una discesa nel nulla che un addormentarsi.
E allora un'altra poesia di Baudelaire ci viene in mente "La morte degli amanti":

E subito un Angelo dischiudendo le porte
Verrà a rianimare, fedele e gioioso,
gli specchi offuscati e le fiamme morte.
((Et plus tard un Ange, entr'ouvrant les portes,
Viendra ranimer, fidèle et joyeux,
Les miroirs ternis et les flammes mortes.))

Avvicinare la musica alla poesia è piuttosto tradizionale e logico, e il simbolismo di Baudelaire si presta a questa nuova lettura di una sinfonia spesso considerata come una rinuncia, anche se passa attraverso scossoni e rifiuti.
Qui i movimenti ampi, il volume carnoso del suono, particolarmente calibrato nelle sue minime inflessioni da un Gatti visibilmente commosso, inducono a pensare che non si rinuncia, che l'aspettativa è fiduciosa, pur mantenendo questa sacralità che ricorda quella di Bach tanto ammirato da Gatti. È una meditazione metafisica sul destino dell'uomo, sulla vita dopo la vita, sulla Speranza che ci prende, ci sorprende, ci affascina e che ci fa leggere Mahler in modo nuovo.

È evidente che il primo incontro dell'Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI con Daniele Gatti ha portato subito non a un semplice dialogo ma all'arte di far musica insieme, di ascoltare e rispondersi a vicenda, per produrre un Mahler profondamente sentito, intriso di sacralità e di energia, immerso in una luce quasi mistica. Senza dubbio i problemi ora superati da Daniele Gatti hanno alimentato anche una lettura così marcata dall'assenza di rinuncia e dal rifiuto della sottomissione.  Uno dei più grandi concerti di Mahler degli ultimi anni, e un magnifico regalo alle soglie del 160° compleanno del compositore.

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