In salotto con Verdi… detta così, che fatica immaginarsi Giuseppe Verdi a frequentar salotti mondani, aggirarsi per feste glamour e incantare fanciulle… La tradizione ci descrive per lo più un uomo roccioso, al limite della misantropia, inconsolabile per la morte della giovane sposa, Margherita.
Nei fatti, Verdi fu frequentatore di salotti assai illustri e, giovanotto venuto dalla campagna padana, dopo i primi successi approfittò di quanto i salotti dell’aristocrazia milanese gli mettevano a disposizione per costruire la propria formazione letteraria e sociale. Approfittò avidamente di quei salotti, soprattutto di quelle serate che si svolgevano in casa della contessa Clarina Maffei ((la contessa Elena Chiara Maria Antonia Carrara Spinelli sposò nel 1832 il poeta Andrea Maffei, che scrisse in seguito per Verdi il libretto de “I masnadieri”)) che poteva in quel tempo ben dirsi il più celebre di Lombardia se non d’Italia.
Alla sua maniera, l’uomo costruiva la base culturale di una personalità sempre più interessata alla contemporaneità, alle storie di cortigiane in cui la redenzione parte dalla propria crisi interiore, di padri moralmente deformi ancor prima di esserlo nel fisico, allo scontro tra poteri secolari piuttosto che a miti classici((per avere un’idea delle serate passate a discutere in casa Maffei si veda ad esempio il cap. VII de “Il Salotto della Contessa Maffei”, Raffaello Barbiera, Milano, 1895)).
Splendida intuizione, dunque, ha avuto il Festival Verdi 2021 portandoci a spasso tra romanze e arie, spesso dall’apparente semplicità, che etichettate da camera potrebbero far intendere siano un semplice svago per nobili dilettanti e che sono, invece, veri gioielli dell’arte musicale, in questo concerto messi in fila con una squisita e ferrea logica artistica. A cominciare dalle romanze di Mercadante, autore tanto importante per comprendere il primo Verdi, accostate a fogli d’album dello stesso che dimostrano, tra le quante qualità, come l’autore non si spaventasse nel trattare nientemeno che il Faust di Goethe. Ecco che Perduta ho la pace, composta nel 1838 e caratterizzata da una enigmatica e (forse) sottile speranza, lascia spazio al desolato Gretchen am Spinnrade di Schubert in un accostamento impensato.
In chiusura della prima parte della serata spazio alla danza : si fronteggiano tra l’altro il Valzer in fa maggiore, che tanta fama acquisì nella formidabile trascrizione di Nino Rota resa celebre dal Gattopardo viscontiano e il Valse des belles viennoises, già cavallo di battaglia di Emma Albani((celebre soprano canadese, 1847–1930, cui è dedicata la composizione)).
Preso fiato, si riparte con le Sei ariette da camera di Bellini, piccoli capitoli di romanticismo e delicatezza in cui risuonano gli echi dei romanzi del catanese. Per un momento gli spettri di Gualtiero, Elvino, Amina, Pollione((rispettivamente protagonisti del Pirata, della Sonnambula e della Norma)) si impadroniscono della scena, poi ci lasciano per far spazio, con un ulteriore felice accostamento musicale, al Lamento per la morte di Bellini composto da Donizetti in cui scorgiamo un discreto omaggio alla Sonnambula.
Nel programma tra l’altro l’Ave Maria di Luigi Luzzi((Olevano di Lomellina,1824 – Stradella, 1876)), composizione garbata ma musicalmente modesta, specie ove risuoni ad ulteriore accostamento in casa dell’autore della preghiera di Otello e il gran finale, provvisorio, con due capolavori in tempo di bolero. Tratto dalle Soirées musicales L’invito di Rossini, chiude il programma l’aria di Hélène dal quinto atto de Les Vêpres siciliennes.
Con questo programma il Festival Verdi ha costruito su misura il debutto parmigiano di una (vera) star di prima grandezza qual è il soprano americano Lisette Oropesa, accompagnata al pianoforte da Francesco Izzo, che del festival stesso è anche Direttore Scientifico.
Diciamo subito che Oropesa ha una voce importante e ha conquistato il pubblico sin dalla prima romanza in programma.
La voce, dal timbro lirico, è omogenea in tutta l’estensione, morbida, rotonda, ricca di armonici nei centri, sale con facilità in alto pur senza la necessità di avere la sfrontatezza delle voci leggere di coloratura e mantiene fermezza e corpo anche nella regione grave. Sorretta da un legato magistrale colpisce la precisione strumentale con cui snocciola gli abbillimenti e, tra questi il più difficile, il trillo. Precisione che conferisce fermezza alla linea di canto, sempre controllata anche nei momenti di maggior espressività.
L’eccellenza complessiva dell’esecuzione è resa possibile dalla presenza al pianoforte di Francesco Izzo che sostiene la voce con eleganza e proprietà stilistica esemplare, essendo egli illustre studioso del melodramma ottocentesco. Per ricreare l’atmosfera salottiera è protagonista di pagine di Verdi e Chopin accolte da calorosi applausi.
Con queste premesse, ecco che il Lamento per la morte di Bellini è un commosso e sincero omaggio al rivale e non un melenso pezzo d’occasione. L’invito di Rossini, dalle Soirées musicales, un meccanismo vivo e rigoroso come L’amante spagnuolo di Donizetti.
Senza fiato lascia un Per pietà bell’idol mio così : solista e pianoforte ci fanno capire il senso dell’Allegro agitato scritto da Bellini. I due si lanciano all’unisono e sbalzano una pagina con virtuosistica precisione, tanto nella tenuta ritmica che nell’intonazione. Esecuzione sostenuta da una forza che fa pensare a sfuriate delle opere giovanili mozartiane.
Una paginetta che da sola vale il viaggio di un Wanderer.
Ennesimo esempio di cosa possano solidità tecnica e consapevolezza stilistica è, poi, il Merci, jeunes amies dai Vêpres siciliennes, affrontato davvero con gusto salottiero, in qualche maniera “de-operizzato”. Il canto leggero, a fior di labbro, ci fa dimenticare la tragedia incombente del quinto atto dell’opera. Questa volta il pianoforte, lontano dalla pesantezza orchestrale, è un vero complice da salotto.
Accolti dall’entusiasmo del pubblico, Oropesa e Izzo hanno offerto al pubblico una breve preghiera di Verdi e La promessa, quest’ultima da Soirées musicales di Rossini, per poi concedersi in un ulteriore generoso omaggio al padrone di casa.
Caro nome da Rigoletto e il finale del primo atto della Traviata hanno così concluso una serata di festa per l’intero teatro, con l’insolito fuori programma di un giovane spettatore che dalla platea ha replicato le brevi battute di Alfredo nel Sempre libera.
Una serata di festa : la musica è anche, soprattutto, questo !