Ferrando – Parte I Scena I
Abbietta zingara, fosca vegliarda !
Cingeva i simboli di una maliarda !
[…]
La fatucchiera perseguitata
Fu presa, e al rogo fu condannata ;
Ma rimaneva la maledetta
Figlia, ministra di ria vendetta!…
Compì quest'empia nefando eccesso!…
Sparve il fanciullo e si rinvenne
Mal spenta brace nel sito istesso
Ov'arsa un giorno la strega venne!…
E d'un bambino… ahimè!… l'ossame
Bruciato a mezzo, fumante ancor !
[…]
All'inferno ? È credenza che dimori
Ancor nel mondo l'anima perduta
Dell'empia strega, e quando il cielo è nero
In varie forme altrui si mostri.
[…]
Morì di paura un servo del conte,
Che avea della zingara percossa la fronte !
Apparve a costui d'un gufo in sembianza
Nell'alta quiete di tacita stanza!…
E’ solo l’inizio ma con pochi versi Il trovatore si presenta ai nostri occhi, più che orecchie, con quelle cupe immagini che ricorreranno per tutta l’opera. Tutto un susseguirsi di immagini funeree, da film horror, a forza di occhiate torve e sanguigne, atti di sacrilegio, roghi, immagini di cadaveri che persino lei, la candida Leonora, non esita ad evocare per salvare il suo Manrico.
Pure, Giuseppe Verdi vestirà questi versi di slanci romantici e appassionati, versi melanconici, grandi gesti e e quarantottesche cabalette al punto da farne l’emblema del cappa e spada nel melodramma romantico italiano.
In più occasioni il regista Paul Curran ha spiegato che per lui Il trovatore è soprattutto dramma di religione, sesso e politica, di personaggi reali in carne ed ossa che vivono di passioni e relazioni sociali.
Diremmo che tutto questo è emerso solamente in parte dalla messa in scena ma il risultato raggiunto è comunque uno spettacolo gradevole e vivo, sia per le semplici e razionali scene (a fare da elemento unitario due nere pareti laterali, da cui fuorisce una scalinata, collegate da una passerella) sia per i bellissimi costumi ottocenteschi. Ancor di più, per una volta il punto di forza della messa in scena si rivela il sapiente uso delle luci, a centrare l’attenzione sui protagonisti e a valorizzarne, tra tanto buio, i preziosi costumi dando vita a immagini di valore pittorico.
Sulla stessa lunghezza d’onda, la direzione di Pinchas Steinberg ottiene il meglio dall’Orchestra del Regio. Senza far mai mancare il sostegno ai cantanti, con pochi tagli limitati alle riprese delle cabalette, il direttore, attacchi precisi e attenzione alla scena, fa suonare l’orchestra in modo nitido e pulito, sonorità piena ma mai tale da sovrastare il canto.
Che poi, anche nei non pochi passi deputati, riesca ad infiammare palcoscenico e spettatori è altra cosa. Le scene si susseguono, tutto suona al suo posto, le emozioni latitano.
Nel cast vocale, da segnalare le due presenze femminili. Rachel Willis-Sørensen, giovane cantane americana, è una Leonora dal bel colore vocale, limpido nei gravi e nei suoni centrali, che perde appena consistenza e posizione salendo verso i suoni acuti che si fanno via via più esili. Molto buona la sua recitazione e ottima la dizione, sempre curata come il fraseggio.
Meglio ancora l’Azucena di Anna Maria Chiuri che domina la scena dalla prima all’ultima nota, grazie ad una voce ricca e risonante in tutta l’estensione ed una interpretazione che si inserisce nel solco della grande tradizione italiana. Precisa nel racconto iniziale, viene da lei l’unico brivido della serata, quella scena del carcere durante la quale, come una belva ferita in gabbia, cerca in ogni modo di liberarsi della sua prigione arrampicandosi sulle grate in un momento di follia.
Meno felice la distribuzione dei ruoli maschili, a cominciare dal Manrico solo discreto del messicano Diego Torre, dalla vocalità esile tutt’altro che spavalda, che trova il momento migliore nell’Ah sì, ben mio ma passa via tanto sull’aspetto ardente quanto su quello eroico del suo personaggio, finendo per inciampare sulla successiva pira.
Ancor più deludente, il conte di Luna di Massimo Cavalletti, un baritono pur dotato di bel timbro e adeguata presenza scenica.
Per quanto si sforzi, infatti, di ricercare accenti e fraseggio, a causa del carente sostegno del fiato e dell’emissione tecnicamente incerta, forzata nel registro superiore, non evita una generale sensazione di monotonia e manca di quella morbidità di canto derivante dal belcanto del primo ottocento.
Discrete le prove del basso In-Sung Sim che interpreta il ruolo dell’anziano capitano Ferrando e di Ashley Milanese nel ruolo della confidente Ines, bravi Patrizio Saudelli, Deseret Lika e Luigi Della Monica nei pur brevi interventi loro riservati.
Come sempre, sopra ogni lode la prova del Coro che si conferma ottimamente guidato da Andrea Secchi.
Occore ricordare che la sera della prima rappresentazione, serata di inaugurazione della stagione, lo spettacolo è stato preceduto dalla lettura di un comunicato. Schierati in palcoscenico e accolti da un caloroso applauso, i lavoratori del Teatro Regio hanno spiegato le ragioni che li hanno spinti a rinunciare alla minaccia di sciopero richiamando al tempo stesso l’attenzione e l’impegno a risolvere la difficile situazione economica che sta affrontando il Teatro.
Al termine dello spettacolo, applausi convinti per Chiuri, Willis-Sørensen, Steinberg e il team responsabile della messa in scena.