Giuseppe Verdi (1813–1901)
Falstaff (1893)
Commedia lirica in tre atti
Libretto di Arrigo Boito da "Le allegre comari di Windsor" e "Enrico IV" di William Shakespeare
Prima assoluta il 9 febbraio 1893 al Teatro alla Scala, Milano

Direttore Ingo Metzmacher
Regia Christoph Marthaler
Scene e costumi Anna Viebrock
Assistente regista Joachim Rathke
Assistente costumi Lasha Iashvili
Luci Sebastian Alphons
Drammaturgia Malte Ubenauf

Gerald Finley Sir John Falstaff
Simon Keenlyside Ford
Bogdan Volkov Fenton
Thomas Ebenstein Dr. Caïus
Michael Colvin Bardolfo
Jens Larsen Pistola
Elena Stikhina Miss Alice Ford
Giulia Semenzato Nannetta
Tanja Ariane Baumgartner Miss Quickly
Cecilia Molinari Miss Meg Page
Marc Bodnar Orson W.
Liliana Benini Robinia
Joaquin Abella Primo assistente regista

Angelika Prokopp Sommerakademie der Wiener Philharmoniker
Konzertvereinigung Wiener Staatsopernchor
Huw Rhys James Maestro del coro
Wiener Philharmoniker

Salisburgo, Grosses Festspielhaus, domenica 21 agosto 2023, Ore 20

Ci sarà pure un motivo : Falstaff è stata la prima opera verdiana ad essere messa in scena a Salisburgo, nel lontano 1935 (diretta da Arturo Toscanini), ed è il titolo verdiano che da allora ha goduto del maggior numero di rappresentazioni, visto che questa, firmata da Christoph Marthaler e diretta da Ingo Metzmacher, è la dodicesima. Oltre ad Arturo Toscanini (1935, 1936, 1937), le diverse produzioni sono state dirette da Vittorio Gui (1938), Tullio Serafin (1939), Herbert von Karajan (1957, 1981, 1982), Sir Georg Solti (1993), Lorin Maazel (2001) e Zubin Mehta (2013).

Eppure l'opera mantiene uno status paradossale tra il pubblico amante della musica. È indubbiamente un capolavoro e come tale va considerata, ma pochi amanti di Verdi la collocano in cima alla lista delle opere da isola deserta e alcuni ammettono di non averla subito apprezzata. È un po' come Die Meistersinger von Nürnberg di Wagner, un'opera con la quale il capolavoro verdiano dialoga in modo strano e piuttosto serrato ; vi si entra più tardi rispetto a Il Trovatore o addirittura a Otello.

La rarità della commedia nell’opera omnia verdiana è messa in discussione : eppure si, è una commedia, ed è con un grande scoppio di risate che il vecchio maestro di Sant'Agata lascia il palcoscenico operistico all'età di 80 anni.
E allora Falstaff diventa questo uomo grasso ridicolizzato da tutti e che finisce nel Tamigi nascosto in fondo a un gigantesco cesto di vimini. Pancione, cesto di vimini, Tamigi, gli ingredienti di un
Falstaff come si deve. Il Falstaff dell'orizzonte di attesa.
Invece il Festival di Salisburgo e soprattutto il regista Christoph Marthaler ci propongono una ricetta con ingredienti leggermente diversi, in un allestimento certo sorprendente e difficile ma anche emozionante, vertiginoso, profondo e commovente.
Una produzione che è stata poco apprezzata (la critica è stata quasi unanime, parte del pubblico se n'è andata all'intervallo, ecc.), ma che, chissà perché, mi ha tanto emozionato.

 

Questioni di genere : cosa significa “commedia lirica”?

Falstaff è chiamato da Verdi commedia lirica in tre atti, e non, come dice la voce francese di Wikipedia, un "Opéra Bouffe" (Opera buffa), il che non c'entra… Purtroppo questa è la reputazione dell'opera che alcuni critici, e non ultimi, tramandano ancora oggi.

Falstaff è innanzitutto una figura comica nel mondo di Shakespeare, presente nell'Enrico IV (1 e 2), citato nell'Enrico V (dove viene annunciata la sua morte) e vittima della commedia Le allegre comari di Windsor ; È quindi innanzitutto una figura (fittizia) di giullare, bevitore e scopatore, non privo di finezza, che si è guadagnato i galloni di cavaliere e il più delle volte se la cava mentendo o fingendo. In Le allegre comari di Windsor, è a corto di denaro e cerca di sedurre le donne della buona borghesia che potrebbero sostenerlo (sono borghesi, saranno lusingate di essere oggetto dell'assiduità di un cavaliere, il giusto ordine sociale va rispettato…).

Il cavaliere è senza un soldo, un po' logoro, e cerca ancora una volta di dimostrare a se stesso che esiste e che ha il potere di sedurre le donne borghesi che invece lo inganneranno. È la storia della fine della vita, e il colpo di genio di Verdi è quello di dare a questa fine della vita una sorprendente forza vitale, non attraverso scene che apparentemente fanno sempre ridere, come la cesta nel Tamigi, o il pancione, ma prima di tutto attraverso una nuova scrittura musicale, un rapporto tra testo e musica che non si era ancora sentito in Verdi – nemmeno nella sua penultima opera, Otello – lanciandosi nella commedia (piuttosto che nell'opera buffa) a 80 anni si lancia nella conversazione in musica, cioè in un modo di fare opera che dominerà il Novecento. Semplicemente.

Wagner aveva già lavorato su questo genere con Die Meistersinger von Nürnberg e, prima di chiamarlo opera, aveva pensato di chiamarlo "Komödie für Musik". Wagner l'aveva pensato, Verdi l'ha fatto in un'opera che, come vedremo, è simile per molti aspetti a quella del suo rivale tedesco, creata 25 anni prima.

Non è un caso : sia Wagner che Verdi erano appassionati di testi e di poesia, e non si può certo dire che l'uno abbia copiato l'altro, tanto più che Verdi è stato accusato di "wagnerismo" fin dal Don Carlos e dall'Aida, e ancor più per le opere successive. Diciamo solo che Verdi, come tutti i grandi artisti, osservava il mondo, si teneva aggiornato sugli sviluppi artistici e musicali, ed era sempre convinto dell'importanza del testo nel suo modo di scrivere musica. Era molto pignolo con i suoi librettisti, si scambiavano idee, suggeriva una parola piuttosto che un'altra, anche per le versioni francesi, e presupponeva la musicalità di questa o quella parola che avrebbe corrisposto a questo o quello strumento musicale o a questa o quella musica. Mentre i suoi nemici lo accusano di essere rumoroso e di fare fracasso, Verdi è prima di tutto un musicista di estrema raffinatezza con, come tutti gli artisti, successi e fallimenti.

Estrema raffinatezza nella musica, nel testo e nelle situazioni. E Falstaff ne è il logico risultato : un'opera continua, con poche o nessuna arie – vedremo a chi le darà e, soprattutto, perché – un merletto musicale in buca con rotture di costruzione, momenti al limite dell'atonalità, cambi di tonalità, di ritmo, a seconda dei personaggi, momenti in cui la musica commenta l'azione nel senso cinematografico del termine, come la musica di un film o di un cartone animato, un'opera che coglie di sorpresa il pubblico abituato a Verdi, tanto che Falstaff non piace a tutti e ci vuole molto tempo per entrare nella sua logica. Lo stesso vale per Die Meistersinger Von Nürnberg, che per le stesse ragioni considero la più grande opera di Richard Wagner.

L'estrema novità di Falstaff è prima di tutto musicale, e sta nella contraddizione essenziale che la più grande delle novità verdiane sia scritta all'età di 80 anni, come degna conclusione della sua carriera. Il vecchio ci ha colto di sorpresa… Tutti gabbati !

Alla fine dell'opera, pensavamo che Falstaff venisse messo in ridicolo, ma invece è Ford che viene messo in ridicolo, ed è Falstaff che ha l'ultima risata Tutto il mondo è burla : il mondo è un'immensa farsa, e Verdi l'ha detto : "Ho 80 anni, e vi sorprendo ancora ! In effetti, non andrà mai più lontano musicalmente di quanto abbia fatto con Falstaff

Sì, Falstaff racconta la fine di Falstaff, ma è una presa per i fondelli nei confronti di chi lo ridicolizzava, mentre Verdi racconta la fine di Verdi, ed è una presa per i fondelli nei confronti della musica del passato, della sua musica. Alla sua età, Verdi aveva un futuro.
Un vero coup de théâtre.
Falstaff è un colpo di teatro.

 

Impianto scenico (Primo e secondo atto)

La visione di Christoph Marthaler

Christoph Marthaler, il grande regista svizzero, poeta e musicista, conosce a fondo il suo Falstaff e ha aspettato la fine della sua carriera (ha 72 anni) per metterlo in scena, per mettere in scena il capolavoro della fine, quasi come per mettere in scena se stesso.

E per farlo si serve di uno strumento, di un riferimento, di un maestro della "burla" (farsa) Orson Welles, l'uomo che guarda il mondo, lo prende in giro, guarda se stesso nel mondo, guarda se stesso in scena, mette in scena se stesso come Falstaff… È infatti il fantasma di Welles nella sua corazza panciuta che attraversa il palcoscenico da destra a sinistra e che, seduto a sinistra, dice alla fine “Tutti gabbati”, vi ho fregato tutti, vi ho fregato tutti… in francese il nous a mis en boite.

Mettre en boite (letteralmente mettere in scatola) … il significato dell'espressione in francese è scherzare, prendersi gioco… ma in questo caso Mettre en boite significa anche trasformare il capolavoro shakespeariano e verdiano  in un film, una pellicola che verrà sistemata in una scatola, e affrontare il capolavoro per renderlo leggibile. Ma il capolavoro è irriducibile. Questa è anche la storia che ci racconta Marthaler. L'ultima produzione messa in una scatola e il suo fallimento perché il capolavoro non può stare nella scatola più di quanto Falstaff possa stare nella sua cesta.

È la fine delle cose per Falstaff, ma anche per Verdi, di cui è l'ultima opera, per Welles, di cui è l'ultimo capolavoro, e anche da un certo punto di vista per Marthaler, che guarda al suo mondo, alla sua carriera, attraverso quest'opera alla fine della sua carriera. Questa è la storia di questa produzione, che è la malinconica commedia della vita, della nostalgia, della fine di un'epoca e quindi dell'inizio di un'altra : se le uniche due vere arie dell'opera sono quelle di Fenton e Nanetta, è perché sono loro due a portare il futuro, e lo fanno, opportunamente, alla maniera dell'opera del passato, Tutto il mondo è burla…

Alcuni, che hanno crudelmente accomunato Marthaler alla categoria dei vecchi da Museo (l'ho letto in alcune recensioni), si sono fatti ingannare e non sanno cosa sia l'autoironia : tutto il mondo è burla… perché la messa in scena qui, in tutta la sua raffinatezza, complessità e profondità, è una sfida che non poteva che essere l'immenso omaggio di un artista ad altri artisti, Welles, Verdi, Shakespeare, tutti artisti della complessità e della sfida.

Per natura, Marthaler ama questi mondi che stanno per finire ; li guarda con tenerezza, ma senza illusioni.
Ne è un esempio il suo sorprendente lavoro su Giuditta di Lehár, alla Bayerische Staatsoper alla fine del 2021, dove nel mettere in scena l'ultima operetta dell'autore de La vedova allegra e Il paese del sorriso, fa vedere in Giuditta la terra della nostalgia, in un mondo che finisce e che si prepara alla guerra. Il mondo di ieri, direbbe Stefan Zweig.

Questa nostalgia c’è anche nel suo teatro di prosa, di cui vorrei citare la produzione forse più commovente che abbia mai visto, un'altra opera di nostalgia e di fine delle cose, Storie del bosco viennese (Geschichte aus dem Wienerwald) di Ödön von Horváth (1931), una pièce sulla fine delle illusioni, una satira feroce della piccola borghesia alla vigilia degli anni bui, ambientata nella foresta idealizzata da Johann Strauss nel suo valzer. Un'opera da leggere e rileggere nel vedere come va il nostro mondo.

Si gira : atto I Marc Bodnar (Orson W, schiena), Gerald Finley (Falstaff)

La produzione di Marthaler di Falstaff è quindi ancora una volta una produzione sulla fine delle cose, nell'effervescenza figurativa delle riprese del Falstaff di Orson Welles, chiamato qui Orson W.

Un esercizio intellettuale vertiginoso

È inutile girarci intorno : l'impresa di Marthaler è un esercizio intellettuale di altissimo livello, una mise en abyme (messa in abisso) che intreccia tre destini, tre artisti, tre finali di carriera, perché anche Orson Welles, cinquantenne nel 1965 quando girò il film Falstaff (titolo originale : Campanadas a medianoche, in inglese Chimes at midnight (rintocchi a mezzanotte) aveva alle spalle quasi tutta la sua carriera di regista, attore ecc. e in particolare una lunga storia con il personaggio di Falstaff, iniziata nel 1939 a teatro (New York) e proseguita nel 1960, sempre a teatro. E il fatto che sia il regista di se stesso nel ruolo di Falstaff non è ovviamente trascurabile, a parte la sua leggendaria corpulenza.

Ma a questo Falstaff cinematografico di riferimento, Marthaler aggiunge un altro film di Welles The Other Side of The Wind, incompiuto, nel 1970–1976 e ultimato nel 2018 da Peter Bogdanovich, al quale Orson Welles scrisse a proposito di questo progetto : "Non riuscivo a dormire e, all'improvviso, ho pensato : Ho una storia su un vecchio regista, ci sto lavorando da anni. E sono pazzo a non farla subito, prima di ogni altra cosa. Perché quello che mi ha detto deve aver toccato un nervo scoperto. Il mio personaggio, Jake Hannaford, è uno di quei uomini macho e col petto peloso. Diverse voci racconteranno la storia…".

Aggiungiamo che The Other Side of The Wind, si presenta non come un unico film, ma come due film che si sviluppano in parallelo, o contemporaneamente. Da un lato un documentario sull'ultimo giorno di vita di Hannaford, dall'altro il film che stava girando.

Tra Falstaff, in cui Orson Welles, interpretando il personaggio Shakespeariano, interpreta in un certo senso anche se stesso, e un film incompiuto sulla fine della vita di un regista (interpretato da un altro regista, John Huston) di cui viene raccontato l'ultimo giorno mentre vengono proiettate le immagini del suo film, È facile capire come i giochi di specchi e le mises en abyme si moltiplichino, dal momento che Marthaler dirige anche un Falstaff appoggiandosi su entrambi i film, con un regista che assomiglia tanto a Orson Welles quanto a John Huston in The Other Side of The Wind, e con evocazioni di un giovane Peter Bogdanovich attraverso il personaggio di Fenton (ed è così che anche Fenton diventa il suo doppio… il futuro…), un Marthaler a fine carriera con una lunga lista di produzioni alle spalle, e il Falstaff di Verdi, che è esso stesso la storia di una mistificazione (di Ford) all'interno di un'altra mistificazione (di Falstaff).

Terrazza, piscina e il trambusto delle riprese : Joaquin Abella (primo assistente alla regia), Gerald Finley (Sir John Falstaff), Cecilia Molinari (Mrs Meg Page),

È roba da vertigini, e chiunque cerchi di seguire razionalmente ciò che accade sul palcoscenico andrà fuori strada. E la vertigine è anche una delle specialità di Marthaler, se ricordate la sua messa in scena de L'affaire de la rue de Lourcine di Labiche nel 1991 al teatro di Basilea…

L'unica cosa lineare di questa produzione è la musica di Verdi, che scorre dall'inizio alla fine senza inserti (a differenza di quanto fatto da Marthaler in Giuditta o ne La granduchessa di Gerolstein, per esempio), che è di per sé sufficientemente abissale da non dover essere toccata (senza dubbio alle violente critiche già ricevute si sarebbe aggiunto qualche infarto) e da rimanere il filo conduttore, il punto di riferimento…

Il clan femminile : Elena Stikhina (Alice Ford), Giulia Semenzato (Nannetta), Cecilia Molinari (Meg Page), Tanja Ariane Baumgartner (Quickly).

Per il resto, sono tutte trappole, ammiccamenti e illusioni, tutti gabbati… tutti ingannati. Ma soprattutto l'opera inizia con la fuga finale, Tutto il mondo è burla, nel silenzio della sala proizione dei giornalieri dove il regista sta guardando l'ultima scena girata e "inscatolata"… È la chiave di tutto il resto.

 

Primo e secondo atto

Prima la musica si apre con una rigorosa sessione di riprese, macchina da presa, carrello, inquadrature varie, cambi di campo, fuori campo dove Orson W, il regista, segue la scena che si sta girando ed è lui che ha il pancione e la barba : il suo Falstaff, che scopriremo poco dopo, è sì barbuto ma non paffuto, senza una pancia finta che non smetterà di rifiutare. La figura falstaffiana è il regista, non l'attore, che non smette di brontolare e di attaccare i suoi colleghi (Bardolfo). Tutta questa prima scena è destrutturata, con cambi di inquadratura, i cantanti che scompaiono dietro i loro leggii fuori scena, l'immagine visibilmente concentrata su Falstaff, ma non si capisce (e non si capirà mai) se si tratta di riprese, di prove, di inquadrature, di ciak veri e propri o di ciak per niente… e poi, chissà quale Falstaff ha in mente il regista Orson W (quello rappresentato da Marthaler), se non che tutto il mondo è burla, cioè un'immensa barzelletta.

Joaquin Abella (primo assistente alla regia), Marc Bodnar (Orson W.), Gerald Finley (Sir John Falstaff), Jens Larsen (Pistola), Michael Colvin (Bardolfo), Tanja Ariane Baumgratner (Quickly)

Invece di cercare disperatamente di trovare un filo logico in ciò che viene rappresentato, dovremmo piuttosto considerare le sottili differenze da una scena all'altra, come lo stacco tra la prima scena centrale con gli uomini e la seconda scena laterale con le donne, che sono quasi in diretta, senza alcun intervento visibile da parte del regista, come in un "solito" Falstaff, alla luce del sole, accanto a una piscina, un po' come nella produzione di Mario Martone a Berlino. C'è qualche interferenza, ma è minore, e cominciamo persino a chiederci se i due giovani, Fenton e Nanetta, siano dentro o fuori, innamorati nel film o nel mondo reale (se esiste una vita reale). Marthaler ci invita a giocare a una caccia al tesoro, in cui notiamo alcuni indizi che sono come sassolini in Pollicino, con il paradosso che tutto si vede senza che ci si debba arrovellare per capire, perché tra scene sovrapposte, luoghi paralleli, personaggi dentro o fuori, ci rendiamo presto conto che si tratta solo di giochi infiniti che sarebbe inutile decifrare nei dettagli perché non è questo l'essenziale. In realtà, è la vertigine che Marthaler mette in scena, basandosi su due elementi : il libretto che è vertiginoso lo stesso e la musica che non lo è meno.

Mettere in scena la vertigine significa innanzitutto mostrarla.

Impianto atto I e II

Innanzitutto il palcoscenico, costituito da una scenografia che rappresenta una scenografia, una doppia illusione delle scenografie allestite per il film, e quindi scenografie teatrali che imitano quelle cinematografiche, un'illusione nell'illusione. L'unico set teatrale con un unico oggetto è quello di sinistra, la sala dei preparativi, la sala del prodotto finito, dove si diventa spettatori per vedere i brani girati nel giorno. Ci sono tre scenografie, due delle quali sono scenografie che raffigurano un set, e tra di esse o in fondo, delle rocce pesanti di cui non si sa cosa fare.
Perché queste rocce sono al centro del set ? Anche in questo caso, ci sono diverse possibilità che ci guidano.

Innanzitutto, il Falstaff di Welles, un film ispano-svizzero è stato girato nelle lande desertiche invernali. Una foto di un deserto roccioso e di un cactus sul set potrebbe anche aiutare a orientarci, e un set incastrato tra rocce che sembrano anch'esse in equilibrio instabile potrebbe servire a ricordare il luogo del film.

Ma l'illusione è illusione, e non dimentichiamo che il palcoscenico stesso del Grosses Festspielhaus di Salisburgo è scavato nella roccia del Mönchberg, una specie di grotta, e una grotta è una caverna, e quindi figura il mito della caverna di Platone, ancora e ancora, il mito che fonda il teatro, delle ombre e della realtà… ancora illusioni…

Quando si parla di vertigine.…

Simon Keenlyside (Ford), Gerald Finley (Sir John Falstaff)

Mettere in scena la vertigine significa anche basarsi sui dati della trama.
Prendiamo Ford che va a vedere Falstaff come signor Fontana : È sogno o realtà ? L'intero libretto è una burla a cassetti. Per le donne si tratta di fare uno scherzo a Falstaff, che ha scritto la stessa lettera a Meg Page e Alice Ford. Per gli uomini, si tratta di Bardolfo e Pistola che si vendicano di Falstaff, che li ha maltrattati, e vanno a rivelare tutto a Ford, marito di Alice, che si presenta a Falstaff come Signor Fontana, un gioco di bugie tra due bugiardi. Ford è furioso per essere stato cornificato dalla moglie (o almeno così crede) e si propone di sorprenderli : una doppia illusione, un doppio errore.

Fenton e Nanetta vogliono sposarsi, ma Ford vuole che Nanetta sposi Cajus, così le donne escogitano uno stratagemma per impedirlo. In questa vicenda c'è finzione a tutti i livelli, Bardolfo e Pistola contro Falstaff, tra Ford e Falstaff e tra le donne contro Falstaff e Ford. La trama stessa è una serie costante di bugie e inganni. Tutti mentono un po' o molto agli altri, a cominciare da Falstaff, che ha fatto della menzogna (o dell'illusione) un principio di vita.

Il senso del primo e del secondo atto è quello di mettere in scena le bugie, di preparare la trappola che esplode nel finale del secondo atto, quando tutti si riuniscono a casa di Alice Ford per cercare Falstaff, che deve essere (presumibilmente) nascosto a Meg Page e poi (realmente) al furioso Ford.

In questo modo, mettere in scena la vertigine significa mostrare i nodi che la creano nel libretto : le vittime, gli uomini, i burloni, le donne. Da qui la maggiore leggibilità dei momenti in cui le donne sono in scena, e la maggiore vertigine quando sono in scena gli uomini.

Ma mettere in scena Falstaff significa anche, come abbiamo detto, mettere in scena una fine, la fine di Falstaff, la fine di Verdi, la fine di Orson W, ma anche la fine di Jake Hannaford che muore girando il suo film in The Other Side of The Wind, interpretato da John Huston (lui stesso regista) e anche la fine di Marthaler, È la sovrapposizione, il vertiginoso valzer dei finali, che culmina nel finale del secondo atto, visto come la rassegnazione del regista, quasi sopraffatto dalla sua creazione, il momento in cui la creatura sfugge al suo creatore e si tuffa nel Tamigi (la piscina) al posto del suo personaggio.

Ma la creatura, l'opera di Verdi, va avanti da sola, e il regista, Orson W, che all'inizio sembra avere il controllo sulla sua opera, ben presto appare in modo più fugace, scomparendo, qui con in mano una cinepresa super 8 (e non più quella iniziale usata per le riprese sui binari per carrellata e travelling), lì a considerare il funzionamento del cesto di vimini essenziale per il secondo atto, altrove scomparendo quasi del tutto. Il senso di questi primi due atti è quello di far passare gradualmente il regista in secondo piano per far posto agli attori-cantanti che prendono il sopravvento : Siamo alle soglie di Pirandello.

La ripresa stessa è dunque un'illusione, una ripresa dell'impossibile, e Marthaler mette in scena l'impossibile, nel teatro stesso, sul palcoscenico stesso, e lui, il musicista (è musicista, oboista e anche compositore, non dimentichiamolo mai) sembra dirci che l'opera è impossibile da mettere in scena, troppo esplosiva, troppo molteplice, come un lavoro senza rete in fondo agli specchi, per cui lo spettatore ha solo la musica ad aiutarlo a recuperare, una musica che è l'unica rete, come nei cartoni animati il ramo a cui si aggrappa chi cade nel vuoto.

Come ci si tuffa nel Tamigi ? Joaquin Abella (primo assistente alla regia), Gerald Finley (Sir John Falstaff)

Nei primi due atti, Marthaler ci presenta un'aporia teatrale e cinematografica e un folgorante successo musicale, una musica di per sé sconcertante e insolita, una musica introvabile, fatta di richiami al passato e di incredibili aperture verso il futuro, fatta di dialoghi continui, una musica del discorso, che si sforza di seguire il discorso con i suoi respiri, le sue rotture, i suoi silenzi, arie e duetti che sono arie (quelle di Nannetta e Fenton) in modo quasi tradizionale, e arie che non sono arie (almeno in senso tradizionale), che sono diventate monologhi da commedia, il monologo sull'Onore, poi il monologo di Ford sull'Oro, che quasi lo segue, senza che il teatro venga mai dimenticato o perda i suoi diritti.  Marthaler abbraccia il percorso a ostacoli che è questa partitura folle, piena di trappole e meandri, mai in linea retta, mai permettendo all'ascoltatore di riposare, mai permettendogli di essere trasportato serenamente in una melodia continua… Verdi ha scritto la più brillante delle opere discontinue e la messa in scena di Marthaler ne è la metafora, o la traduzione.

In questo senso, tutta la linearità della trama di Boito è essa stessa un falso pretesto, per una musica che è tutt'altro che lineare ; la trama è un'illusione rassicurante per gli spettatori che vanno di fretta, o che cercano qualcosa di solido su cui appoggiarsi. Perché musicalmente Verdi perde l'ascoltatore in una vertigine, e la trama diventa  il quadro lineare sul palcoscenico su cui aggrapparsi.

Questo è esattamente l'opposto dell'approccio di Marthaler, che fa della musica la rete di salvataggio e della messa in scena la caduta ; ancora una volta, La vertigine esiste, ma presa nel modo sbagliato.

Simon Keenlyside (Ford), Joaquin Abella (First Assistant Director),

La scena tra Ford-Fontana e Falstaff è un capolavoro di recitazione : Keenlyside è straordinario nella sua recitazione meticolosa, con espressioni facciali incredibili, gesti meccanici quasi clowneschi e recitazione “in diretta”, poiché in questa scena non c'è Orson W o assistenti, ma solo questi due personaggi seduti a disagio su uno sgabello pieghevole, in questo esercizio di menzogna a due, un esercizio circense tra due clown, uno dei quali è un clown triste. Non bisogna mai dimenticare che Marthaler gestisce l’attore in modo eccezionale, perché ha iniziato come regista teatrale prima di essere chiamato a dirigere l'opera, in particolare da Gerard Mortier (ancora lui).

In questi primi due atti, tutto è costruito per culminare nel caos finale. Il caos, l'aporia, l'abdicazione del regista che, dopo un inizio promettente e falsamente rassicurante per lo spettatore che poteva credere in tre atti confortevoli di cinema nel Teatro o teatro nel Cinema… ma sarebbe stato una regia inevitabilmente ripetitiva (si veda il recente allestimento di Adelaide di Borgogna a Pesaro di Arnaud Bernard, di cui riferiremo, tutto costruito sullo stile "facciamo un'opera").… Qui lo stile "facciamo un film" dura appena lo spazio della prima scena, per poi disgregarsi gradualmente, o riapparire fugacemente, per poi scomparire di nuovo, nonostante l'andirivieni dei tecnici un po' zombificati, perché questa è l'ennesima farsa, una burla che coglie di sorpresa lo spettatore che cerca invano la sua rete di salvataggio…
Anche il gioco dei cantanti, a volte cantanti, a volte fuori campo, che riposano o vagano o fanno il broncio, ha una fine…

Marc Bodnar (Orson W.), Gerald Finley (Sir John Falstaff), Joaquin Abella (Primo assistente regista)

E che dire dello sguardo che Marthaler concentra sul cesto di vimini, il climax atteso da ogni spettatore di Falstaff, che diventa in questa visione Mission : Impossible.

Come abbiamo detto, Martone alla Staatsoper di Berlino aveva già pensato al Tamigi come alla piscina di una casa borghese. Qua siamo davanti ad una piscina illusoria, senza acqua (ci si tuffa e si esce senza una goccia), una piscina di puro teatro. Ma l'assistente del regista continua a contorcersi per entrare nel cesto, mostrando come fare all'attore Falstaff, che si rifiuta ostinatamente, così come si rifiuta di indossare la pancia falsa. Poi, in gag volutamente ripetitive, si cercano altri cesti più piccoli, nei quali non si potrebbe mai nascondere né un Falstaff tradizionale né il Falstaff di Finley ; è una commedia della ripetizione che si spinge fino all'assurdo e che non vuole solo far ridere, ma provocare nello spettatore questa semplice domanda : ma come faranno ? Come andrà a finire ?

Gerald Finley (Sir John Falstaff), Elena Stikhina (Mrs. Alice Ford)

È lo stesso caso di Falstaff che lotta con Alice Ford sul lettino da campeggio, che crolla sotto il suo peso ; è ovviamente previsto, tanto che ci limitiamo a sorridere, o come i pannelli del set che rappresentano i paraventi pieghevoli, o Fenton e Nannetta che flirtano in sala di montaggio (un Fenton che assomiglia a Peter Bogdanovich, un altro regista – ce ne sono tre, Welles, Bogdanovich, Huston in questa sfilata di pupazzi d'ombra), per cui la presenza di Fenton-Bogdanovich in sala di montaggio non è così fortuita…

Nulla è lasciato al caso e tutto è meticolosamente calcolato, compreso il crescendo finale del secondo atto, che nella sua costruzione ricorda il finale del secondo atto dei Meistersinger di Wagner (il baccano provocato da Beckmesser che canta per sedurre Eva, proprio come qui Falstaff cerca di sedurre e provoca la fine del mondo).

Crescendo finale del secondo atto : Jens Larsen (Pistola), Liliana Benini (Robinia), Tanja Ariane Baumgartner (Mrs. Quickly), Giulia Semenzato (Nannetta), Cecilia Molinari (Mrs. Meg Page), Elena Stikhina (Mrs. Alice Ford), Thomas Ebenstein (Dr. Cajus), Simon Keenlyside (Ford), Marc Bodnar (Orson W.), Gerald Finley (Sir John Falstaff), Michael Colvin (Bardolfo),

Il secondo atto suona come un finale, un Finale 1, che segna l'addio al palcoscenico, o quasi, del regista Orson W., che assomiglia anche a John Huston… Niente più messa in scena, niente più cinema, chi è chi ? Chi è dove ? Chi sta facendo cosa ? Vediamo i piccioncini che si abbracciano in sala proiezione, poi si divertono con la pellicola come con i cotillons, vediamo Orson W. che telefona con un lungo filo telefonico che lo trattiene, e soprattutto vediamo la folla che arriva quasi discretamente, strani personaggi quasi come mimi che entrano (Poi vediamo Fenton dietro la macchina da presa (normale, è il giovane Bogdanovich), vediamo tecnici che spostano pannelli (per chi?) Eppure Orson W. e il suo doppio Finley girano intorno alla piscina, si contorcono, cercano di portarsi a vicenda, come se stessero per diventare una cosa sola, volessero diventare una cosa sola, tanto è grande il fallimento di volere due Falstaff…

E soprattutto niente più climax, perché l'attore Falstaff, dopo aver guardato tante volte questo cesto di vimini, non si nasconde in esso… E perché dovrebbe nascondersi, visto che la storia si frantuma in mille sassolini, mille tessere che solo la musica riunisce.
Marthaler direbbe quasi : non credo nel libretto ma credo nella musica : questa è la verità.

Eppure, proprio alla fine, restituisce al libretto la sua preminenza : nella lotta tra i due Falstaff, Finley avvolto nel suo tartan e Orson W. completamente smarrito, Alice Ford spinge risolutamente il regista nella piscina, facendo uscire Orson W., e questo ha senso in vista del terzo atto. Colpo di Stato…

 

Terzo atto

Il terzo atto sarà completamente diverso, stravolgendo tutto ciò che abbiamo visto finora.

La musica di Verdi crea una dinamica vertiginosa nel preludio, ma la visione iniziale quando si alza il sipario la situazione è finalmente chiara : due Falstaff davanti a due tavoli, in accappatoio, con kleenex, un bicchiere d'acqua e uno specchio.

Entrambi in pessime condizioni.
Se il Falstaff di Orson W. è silenzioso, il Falstaff attore ha il volto segnato dalle intemperie, le guance incavate, gli occhi infossati, un Falstaff in fase finale… e ciò che dice e canta non è meno cupo (una commedia, un'opera buffa, dicono e scrivono tutti…):

Mondo ladro. Mondo rubaldo.
Reo mondo ! (…)
Io, dunque, avrò vissuto tanti anni, audace e distrutto
cavaliere, per essere portato in un canestro
e gittato al canale co' pannilini biechi,
come si fa con gatti e ciechi catellini.
Ché se non galleggiava per me quest'epa tronfia,
certo affogavo. Brutta morte. L'acqua mi ha gonfiato.
Mondo reo. Non c'è più virtù. Tutto declina.
Va', vecchio John, va', va' per la tua via ; cammina
finché tu muoia. Allor scomparirà la vera
virilità del mondo. Che giornataccia nera !
(…) Ho dei peli grigi

Un esausto Orson W. (Marc Bodnar) assiste passivamente allo svolgersi della vicenda : Giulia Semenzato (Nannetta), Elena Stikhina (signora Alice Ford), Cecilia Molinari (signora Meg Page) emergono dalla piscina…

Non sono parole felici, sono parole (forse fugaci) di amarezza e disperazione. Anche qui ci viene in mente la meditazione di Hans Sachs all'inizio del terzo atto di Meistersinger. Ma la forza del Falstaff di Shakespeare sta nella sua capacità di tirarsi su rapidamente. Tuttavia, questo terzo atto si apre con la constatazione di un declino, un doppio declino, a meno che, in questo gioco di doppi, il Falstaff-attore non stia semplicemente esprimendo i sentimenti del Falstaff-regista, che si alza e vaga verso la piscina fatale, con un'aria stralunata, altrove, e vagherà per tutto questo terzo atto dove non ha più l'iniziativa (ma si è visto nei primi due atti che l’iniziativa era già scappata dapprima).

Dopo qualche esitazione, il rinnovato arrivo di Quickly sembra rinvigorire il vecchio cavaliere esausto, che afferma di essere stato salvato dalle acque dal suo (falso) ventre, che Quickly gli sottrae… È chiaro che non c'è continuità tra il terzo atto e i primi due, in cui Falstaff rifiutava la sua pancia.

Acte terzo : Tanja Ariane Baumgartner (Mrs. Quickly), Gerald Finley (Sir John Falstaff)

La storia riparte da una sorta di punto zero, dopo la caduta di Orson W., che deve essere anche la caduta di Falstaff attore, per rispettare la "dualità", una dualità che non era ben chiara prima ma che qui si mostra chiaramente all’alzare del sipario, facendo di questo terzo atto una sorta di risoluzione.

Lo spazio è quasi lo stesso, ma non del tutto : lo spazio centrale non ha più una parete di fondo, ed è aperto sul retro del palcoscenico, e lo spazio laterale con la piscina è ingombro di un grosso masso, come se il mondo fosse in via di pietrificazione, come se i massi di cui parlavamo stessero per invadere lo spazio, e sullo sfondo giacciono due cadaveri su due rocce, come i resti di una sparatoria, come manichini che tracciano una ripresa passata della battaglia di Shrewsbury, la grande battaglia a cui si suppone abbia preso parte Falstaff…

Lo spazio ora non ha più una funzione chiara, perché nascosti nella vasca appaiono tutti gli altri, tutti coloro che parteciperanno alla farsa, alla burla finale il cui organizzatore, il regista, è ora Alice Ford.

Lei ha mandato via il regista e ha preso il suo posto. Un colpo di stato in linea con il libretto : nessuno degli uomini (tranne forse Fenton) ha un ruolo di primo piano, e la vittoria delle donne è totale, con un doppio programma chiaramente annunciato : da un lato completare la messa in ridicolo di Falstaff, dall'altro vendicarsi di Ford. Non ci si discosta dal libretto e tutto il terzo atto è molto "fedele" all'originale, con lo spazio che si stringe al centro (la roccia ha invaso il lato destro e  a sinistra la stanza dove vengono proiettati i giornalieri è stata lasciata sottosopra). A poco a poco, Alice Ford si sistema sulla sedia da regista, con una piccola cinepresa super8, per controllare tutto ciò che segue, passando il testimone alle donne, che sono vittoriose nel libretto e che “conducono la danza”. Non si tratta di una concessione al #Metoo, ma semplicemente dell'applicazione alla lettera del libretto.

Vittoria della donna : Simon Keenlyside (Ford), Thomas Ebenstein (Dr. Cajus), Elena Stikhina (Mrs. Alice Ford)

Mentre Falstaff ironicamente indossa una maglietta con le corna di un cervo e la parola "Platzhirsch", che letteralmente significa cervo che domina il branco e il terreno durante la stagione dell'accoppiamento – in breve, un cervo che duas habet et bene pendentes.

Alice Ford metterà in scena (in modo molto teatrale piuttosto che cinematografico) il "bagno di sangue" contro il cervo dominante.

Alcuni si sono lamentati dell'assenza di un terzo atto misterioso, di una foresta profonda e di fantasmi o spiriti, dimenticando che nel libretto originale non siamo in Giselle e le Villi, o Freischütz e la foresta romantica, ma in una scena pensata per prendere in giro Falstaff. Non è stato Marthaler a crearlo, ma Arrigo Boito stesso ; dobbiamo dare a Cesare ciò che è di Cesare : nel libretto, il terzo atto nella sua seconda parte è una messa in scena, il trionfo dell'illusione e della farsa.

Ciò che Marthaler evita è di mostrare l'illusione, di creare un'illusione per lo spettatore (senza dubbio frustrato…). Egli mostra come creare le condizioni perché Falstaff creda nell'illusione : basta bendarlo.

Marthaler ci sta semplicemente dicendo che l'illusione non viene dall'esterno, ma dal nostro desiderio, dalle nostre creazioni, dalla nostra vertigine. Ancora una volta… la caverna di Platone…

Così questo momento è un esercizio in cui, da un lato, Orson W. si aggira per il set e si ferma davanti al fondo del palcoscenico, davanti a un sipario chiuso che non deve essere aperto, che alla fine si apre su vecchie scenografie monumentali, come resti di set hollywoodiani, una facciata di un hotel ("San Nicola"), una facciata di una chiesa, che si trasformano in un valzer di ricordi, la fine…

Nel set centrale, ora unico spazio di rappresentazione, in cima a una scenografia tra i riflettori, Nannetta canta la sua aria, in alto, con questo effetto di distanza per un Falstaff bendato, mentre Fenton aveva aperto la scena con la sua aria ascoltata quasi come un'audizione (Alice Ford seduta prende appunti e Nannetta lo guarda poi si allontana… presagio ? Viene poi afferrato dalle donne che lo vestono con un abito da monaco…

Infine Falstaff, bendato, è oggetto di un inganno che lo rimanda alle sue illusioni o credenze : è solo, il coro è sistemato a lato, nel cortile, e nel giardino e c'è Alice Ford che invita il coro a muovere le braccia come se Falstaff lo vedesse, – per un attimo sembra addirittura una sorta di Maestro del coro- in ogni caso Alice dirige tutto, e dà anche a Nannetta il segnale per l’inizio della sua aria.
Da solo al centro Falstaff in mezzo allo spazio generale diventa come una curiosità, e l'immagine è piuttosto struggente. Poi avanza una forma informe, i due soldati detti morti (ho parlato sopra dei morti di Shrewsbury) che, abbracciandosi, si arrotolano su se stessi come una specie di animale che striscia verso Falstaff per afferrarlo ; brandiscono persino un braccio finto, e trascinano Falstaff in esso, divenuto l'illusione di cui è oggetto, divenuto un corpo-spettacolo offerto agli altri. Il gruppetto di "burloni", uomini e donne, si siede allora di fronte a lui e contempla lo spettacolo di questo Falstaff informe impigliato in questo movimento corporeo : è pura crudeltà e allo stesso tempo è tutto quello che vien ricercato, anche nel libretto di Boito : essere cattivi…

Un'opera buffa, dicevano…

Falstaff come spettacolo : Elena Stikhina (Mrs. Alice Ford), Gerald Finley (Sir John Falstaff), Tanja Ariane Baumgartner (Mrs. Quickly), Jens Larsen (Pistola), Simon Keenlyside (Ford), Cecilia Molinari (Mrs. Meg Page), Thomas Ebenstein (Dr. Cajus), Liliana Benini (Robinia).

Falstaff, ancora bendato, viene poi guidato da Alice Ford verso una scala di legno portata al centro dello spazio, come una salita al patibolo, come inchiodato alla gogna, ed è quindi oggetto di tutti gli insulti del gruppo (codardo, brigante, ciccione, furfante… ecc.), proprio come lo era il farmakos (φαρμακός ) nel monde greco, Falstaff diventa il capro espiatorio degli altri. Marthaler lo usa in una scena terribile e derisoria al tempo stesso, in cui gli viene data la pancia per far sì che corrisponda a ciò che vogliono che sia, e Alice Ford Alice Ford fa portare un grande ventilatore con pezzi di pellicola attaccati, per imitare i suoni inquietanti della natura..

In realtà, Marthaler trasforma questa scena in una scena di tortura.

Ma Falstaff, essendo Falstaff, è sempre un buontempone quando scopre l'inganno :
ancora una volta, torniamo al testo :

Ogni sorta di gente dozzinale
mi beffa e se ne gloria ;
pur, senza me, costor con tanta boria
non avrebbero un briciol di sale.
Son io che vi fa scaltri.
L'arguzia mia crea l'arguzia degli altri. 

Se gli altri sono crudeli, il personaggio di Falstaff non lo è, e questa è l'originalità della figura, che alla fine diventerà grande quando gli altri (e Ford in particolare) saranno ingannati. Tra l’altro Orson Welles pensa Falstaff come un essere fondamentalmente buono, da qui il suo successo nel mondo shakespeariano.

La messa in scena dei momenti finali è molto precisa : Ford sale la scala di legno per annunciare il matrimonio della regina delle fate, senza travestimenti (anche se Fenton era stato travestito in precedenza), ma il coro, confinato nella casa laterale nel cortile, entra in scena e, inginocchiandosi, scopre le due coppie, Cajus e Bardolfo e Fenton e Nannetta.

Alla fine Bardolfo e Cajus si accordano e si godono la reciproca compagnia ; rimangono mano nella mano per tutto il finale (la fuga…). Nannetta si separa da Fenton, arriva in primo piano e si compiace del perdono del padre, ma a questo non segue alcun movimento di gioia verso Fenton. Infatti, durante la fuga finale, che Falstaff inizia osservando tutto da un lato, i due personaggi rimangono separati, lei sola e Fenton al fianco di Quickly.

È allora che cadono dalle travi le parole "missing shot", come appaiono in The Other Side Of The Wind e come è nata tutta questa storia (un missing shot, un film impossibile come abbiamo visto nel secondo atto), e appare Orson W. Vestito con l’armatura del cavaliere. che attraversa lentamente il palcoscenico, si sposta nella sala a sinistra (quella dei giornalieri) e dice "Tutti gabbati" al pubblico, che interrompe la fuga in un silenzio sospeso, per poi riprenderla al calare del sipario.

Orson Wells, il grande burlone… come appare in Falstaff, ripreso da Marthaler nella scena finale

Per concludere, vorrei esprimere la mia incomprensione per le reazioni ostili del pubblico e della critica, i fischi da un lato e dall'altro, nella migliore delle ipotesi, l'idea che il progetto possa essere stato seducente ma che Marthaler abbia mancato il bersaglio.

Mi permetto di dissentire.

Marthaler conosce e ama l'opera, ma aldilà di una lettura del libretto di Boito, propone una riflessione sulla figura di Falstaff, attraverso l'uomo che per tutta la sua carriera ha condotto questa riflessione, Orson Welles, fino a identificarsi con essa.

Falstaff è una figura di vita intensa nonostante tutto, nonostante la fine, la fine della vita, la fine delle cose, la fine dell'azione. Marthaler mostra un Orson W. che, nonostante tutto, non riesce a definire la figura, a completare la sua opera, a metterci una pietra sopra ("missing shot"), come l'eroe di The Other Side Of the Wind (il film incompiuto da Welles e riproposto da Bogdanovich nel 2018) Jake Hannaford, che muore prima di completare il suo film ma i cui ultimi momenti sono raccontati in un documentario. Il film è un misto dei due, e i personaggi del documentario sono gli attori del film ufficiale… un'altra mise en abyme.

Ciò che interessa di Falstaff a Marthaler è la costruzione di una figura mitologica attraverso il prisma di diversi artisti che si sono confrontati con il personaggio, direttamente (Welles) o indirettamente (John Huston, che rappresenta il vecchio regista licenziato dal sistema che vuole fare un film in grado di competere con le nuove generazioni…).

Come si collega tutto questo a Falstaff ? In realtà, Falstaff è un personaggio con un grande passato e apparentemente senza futuro, che cerca di averne uno seducendo queste donne. Orson W. è un regista con un passato, che assume Falstaff come doppio di se stesso, ma che non riesce a gestire il personaggio in tutti i suoi dettagli e complessità.

Così si arrende, tutto crolla (letteralmente) e il terzo atto rappresenta un'altra possibile generazione (Alice Ford, Fenton che sembra Peter Bogdanovich alla regia di The Other Side Of the Wind). È un passaggio di testimone che però alla fine fallisce, perché non solo il Falstaff di Verdi ha l'ultima parola (Tutto il mondo è burla), ma anche quello di Welles (Tutti Gabbati).

Attraverso questo complesso percorso, Marthaler proietta se stesso, un regista con un passato, un lavoro, un regista di nostalgia e di fine delle cose, un regista dell'assurdo ma soprattutto delle illusioni mai perdute.

Quindi sì, è un'impresa intellettuale, profonda, complessa, sconcertante, ma proprio per questo merita di essere messa in discussione, di essere approfondita.

Il finale del secondo atto contiene la chiave dei primi due atti e del terzo, perché in esso vediamo una rinuncia, un mondo di caos e decadenza, un mondo che gira in tondo, dove nulla ha più senso, come la fine di un mondo, e intravediamo le presa di potere di Alice Ford…

L'approccio intenzionale di Marthaler a quest'opera, difficile da definire e da seguire in ogni caso è quello di perdere il pubblico e di fare della musica il rifugio, l'unica cosa sicura in un mondo illusorio e pieno di finzioni. Lo fa con il suo consueto umorismo, che il pubblico di oggi non sembra apprezzare, perso come è in un labirinto in cui cerca un senso, perso in un libretto più labirintico che la tradizione lo trasmette, e che Marthaler fa giustamente esplodere, per poi ritrovarlo nel terzo atto, pure con grande rigore e verità.

Come ha detto Markus Hinterhäuser nell’intervista che ci ha concesso, questo Falstaff è un gradito UFO tra le migliaia di Falstaff che ci raccontano la stessa storia. Ma allo stesso tempo è un compito arduo, anche per lo spettatore, che dovrebbe essere incoraggiato a cercare le fonti, i dettagli. Marthaler si scontra con la pigrizia intellettuale e il rifiuto di uno sguardo nuovo. A settantadue anni esso continua a smentire aspettative e previsioni, quindi non si ripete più di tanto… se si ripetesse davvero, lo capiremmo al volo.

Infine, anche se non ridiamo dove pensavamo, dove vorremmo, la commedia si svolge, più moralista che macabra, malinconica come dovrebbe essere e come è. Ma è pure una commedia, senza dubbio, con i suoi sorrisi e le sue crudeltà, come nelle grandi commedie, come in quelle di Molière… una commedia, non una farsa.

Questa profonda modernità teatrale, questa cultura ampia e curiosa, si è scontrata con un mondo piatto, pieno di aspettative scontate (senza peraltro, il più delle volte, che quelli che criticano la regia abbiano mai letto il libretto), un mondo ingozzato, molto soddisfatto di sé e privo di sale.

Come dice Falstaff : pur, senza me, costor con tanta boria
non avrebbero un briciol di sale.
Che lezione !


Gli aspetti musicali

Più che altrove, e più che in un allestimento tradizionale, gli aspetti musicali sono qua strettamente intrecciati con la visione scenica.

Già il Falstaff di Verdi non è un'opera di scintille vocali ; è vocalmente concentrata sul protagonista, che deve sviluppare molteplici qualità di espressione, fraseggio, emissione e soprattutto dizione, che devono essere innanzitutto quelle della conversazione. Lo stesso vale per Ford, che si preoccupa più di esprimere il colore vocale che di raggiungere acuti stratosferici. Una sorta di lotta tra baritoni, la voce preferita da Verdi, "la voce umana".

Questi due personaggi e queste due voci sono particolarmente impegnativi dal punto di vista vocale e richiedono un'intera tavolozza di colori, espressioni, grida e ruggiti, ma anche di tenerezza.

Poi, all'estremo opposto, ci sono i giovani cantanti, Fenton e Nannetta, i due a cui Verdi lascia arie,riprese e quasi ritornelli (Bocca baciata non perde ventura), soprattutto nel terzo atto (aria della regina delle fate : Sul fil d'un soffio etesio), ma non solo.

Per tutti gli altri, e anche per Alice Ford, generalmente affidata a una star del canto (qui la fatale Elena Stikhina, che ne esce meglio che nell'Aida di Monaco…) l'esercizio vocale si basa meno sulla linea che sul puntillismo vocale, passando continuamente da un ritmo all'altro o da una tonalità all'altra.

Per quanto riguarda gli uomini, a parte i due protagonisti, Thomas Ebenstein (un Cajus con l'aspetto di un vecchio spasimante che frequenta i cocktail party di Hollywood), Jens Larsen (un solido Pistola) e Michael Colvin (un Bardolfo con un pancione (finto) un po' caricaturale) fanno il lavoro, oserei dire, in modo tradizionale. Si mantengono nella tradizione dei personaggi della commedia di Boito e anche le prime scene, in cui sono protagonisti, rispettano (più o meno) la trama del libretto, che l'organizzazione del film girato rispetta.

Bogdan Volkov, Fenton che assomiglia a Peter Bogdanovich nel film The Other Side of The Wind – Sarebbe mai possibile che la vertigine di questo diavolo di Marthaler arrivi a giocare sul nome Bogdan e sul cognome Bogdanovich, per sovrapporre i due personaggi ? (Domanda retorica, naturalmente : da Marthaler bisogna aspettarsi di tutto…) – è un buon Fenton, senza essere eccezionale come sa essere in certi ruoli. Il suo fraseggio è impeccabile, la sua voce sicura e la sua dizione impeccabile, ma è bloccato in un personaggio un po' ingessato, meno selvaggio della Nannetta di Giulia Semenzato, che è senza dubbio la più tecnicamente compiuta di tutte queste signore, con un magnifico controllo del fiato, toni ovattati da sogno, una delle migliori sentite negli ultimi anni in questo ruolo, e una voce che ha futuro nel canto italiano, voce non leggera, e di puro lirismo…

L'altra italiana del cast, Cecilia Molinari, è Meg Page, un ruolo che non le permette di sfoggiare la sua bella voce di mezzosoprano, ma fa la sua parte con dignità.

Quickly è Tanja Ariane Baumgartner, ideale per il fraseggio e la scultura delle parole (una delle sue qualità principali), e anche per il ritmo, ma a cui manca la profondità che ci si aspetta da una Quickly quando canta Reverenza. Ma non sono sicuro che Marthaler e Metzmacher chiedano una Quickly nella tradizione.  Nella visione tradizionale, Quickly è un "personaggio" vocale (è stata interpretata, ad esempio, da Regina Resnik, o da mezzosoprani con una gamma spettrale come Lucia Valentini-Terrani e Fedora Barbieri). In questa produzione è piuttosto una delle quattro donne, senza distinguersi dalle altre, con i suoi abiti anni Sessanta un po’ passiti e i suoi capelli bisognosi di colore perché il bianco alla radice tradisce l'età.

Elena Stikhina in Alice Ford è dignitosa, poiché il ruolo non richiede acuti stratosferici o prestazioni tecniche acrobatiche, se la cava con dignità senza molta personalità, ma con una certa eleganza, che Marthaler concede a lei molto più che al marito : In questa produzione, gli uomini sono abbastanza ridicoli (già nel libretto), soprattutto fisicamente, con i loro ridicoli pantaloni e le cinture che arrivano fino al diaframma, o nel caso di Ford, i capelli lisci e arruffati di grande effetto (sia in Fontana, invecchiato, che in Ford, un po' ridicolo).

Simon Keenlyside fa del ruolo di Ford una composizione meravigliosa. È senza dubbio quello che Marthaler ha "curato" di più con la sua mimica facciale, le sue smorfie vagamente pagliaccesche, ma anche il suo fraseggio e la sua espressione : ha la recitazione più elaborata, più elaborata del Falstaff di Gerald Finley (che è solo un Falstaff a metà, visto che l'altra metà è il regista Orson W.) che, al contrario, deve interpretare una certa neutralità, come abbiamo visto).

Dal punto di vista vocale, Keenlyside rimane il cantante sensibile e intelligente che conosciamo, con una voce ben proiettata che soffre di qualche piccolo difetto, ma in questa produzione che è tutta una questione di difetti, non abbiamo problemi ad accettarlo perché la performance rimane di altissima qualità.

Gerald Finley è stato Hans Sachs a Parigi, nella produzione salisburghese di Stefan Herheim ; questa volta è il suo lontano cugino Falstaff (i due personaggi hanno molto in comune, a cominciare dalla voce), che ha già interpretato a Vienna. È il Falstaff un po’ imbarazzato, mai soddisfatto voluto dalla messa in scena che gli regala un doppio. È quindi un Falstaff serio, spesso irascibile, malaticcio e nell'ultimo atto francamente invecchiato e quasi allo stremo. Non è il Falstaff truculento che ci aspettavamo, ma un Falstaff che sa mentire, che è consapevole di se stesso, che non assomiglia affatto al vecchio decrepito di Michieletto alla Scala o all'uomo post-sessantenne di Martone a Berlino. Ha un lato da "pensionato" con dignità. Marthaler non è interessato alla ridicolaggine del personaggio (si pensi alla ridicolaggine del costume di Christopher Purves nell'opera di Kosky ad Aix e Lione), e quando va a trovare Alice Ford, il suo costume ci ricorda discretamente la Scozia senza mai farci ridere.

Ci sono personaggi reali che sembrano usciti da Shakespeare che non fanno ridere (Donald Trump, per esempio), ma in questa produzione c'è un personaggio più comico degli altri, in particolare Falstaff, ed è Ford. Ancora una volta, il pubblico viene preso in giro. Devo dire che non ho mai pensato all'opera di Verdi come a una commedia che fa scoppiare dal ridere, ma come a un'opera piuttosto malinconica. E il Falstaff di Marthaler è quel personaggio.

Dal punto di vista vocale, come sempre, è un piacere ascoltare l'arte del canto di Finley, che non smette mai di colorare ogni parola, che segue i ritmi, che sa lavorare sulle pause di tono, sugli improvvisi innalzamenti di accenti, senza mai essere debordante, mantenendo sempre un senso di sé, che permette costantemente di godere del testo che pronuncia così meravigliosamente. Questa è grande arte, lontana da un Falstaff buffo, ma vicino a un Falstaff pieno di umanità e che allo stesso tempo gioca con l'inquietudine nell’intera prima parte, un Falstaff alla fine che, come abbiamo detto, continua a inghiottire pillole (per la gola ? per qualcos'altro?).

Alla fine del secondo atto è infagottato… È un Falstaff senza desiderio, con una fine, che lo rende quasi straziante nel terzo atto, esposto agli scherni degli altri come un animale da fiera… Magistrale.

Infine, uno spettacolo di Marthaler non può essere concepito senza attori di supporto, e qui Marc Bodnar nei panni di Orson W‑Falstaff-John Huston riempie il palcoscenico, e lo attraversa come osservatore e attore, poi doppio, poi in secondo piano, senza mai esagerare nella recitazione ; sono presenti anche Liliana Benini nei panni di Robinia e soprattutto Joaquin Abella nei panni del primo assistente, un uomo che sa fare tutto, torcersi, saltare, piegarsi… un personaggio tipicamente marthaleriano.

Il coro (Konzervereinigung Wiener Staatsopernchor, preparato da Huw Rhys James) tiene bene il suo posto (anche se piccolo), senza mai essere fragoroso alla fine, cosa voluta dal regista per giustificare tra l’altro il missing shot che appare nella fuga finale…

Tutti insieme, uomini e donne (Atto primo): Thomas Ebenstein (Dr. Cajus), Jens Larsen (Pistola), Giulia Semenzato (Nannetta), Michael Colvin (Bardolfo), Elena Stikhina (Mrs. Alice Ford), Bogdan Volkov (Fenton), Tanja Ariane Baumgartner (Mrs. Quickly), Giulia Semenzato (Nannetta), Simon Keenlyside (Ford) -

Alcuni hanno espresso sorpresa per il fatto che Ingo Metzmacher sia stato chiamato a dirigere Falstaff. Più che stupirsi, avrebbero dovuto chiedersi perché Markus Hinterhäuser abbia chiamato questo direttore d'orchestra specialista del XX secolo, autore di un libro intitolato Keine Angst vor neuen Tönen. Eine Reise in die Welt der Musik (2005)/(Non aver paura dei nuovi suoni, un viaggio nel mondo della musica), in cui tenta di esplorare l'approccio alla musica del XX secolo in modo altamente educativo.

Durante un'intervista da quando era ancora direttore musicale ad Amsterdam (2005–2008), gli chiesi del repertorio italiano e lui rispose : "Mi piacerebbe dirigere Puccini… dirigerlo come Schönberg…".

Il suo Verdi non è Schönberg, ma vi legge tutta la novità e, soprattutto, tutta la prefigurazione della musica futura ; ne evidenzia le sorprese, le rotture, i cambiamenti di colore, e sviscera la partitura in modo molto analitico, con l'aiuto dei Wiener Philharmoniker, molto chiari e molto precisi.

Abbraccia la messa in scena di Marthaler, che si basa sia sulla vertigine del palcoscenico, ma anche su un approccio che è quello di una commedia drammatica, con un tempo più lento, che contribuisce a dare alla partitura una lettura molto appuntita, persino puntillista, evitando il lato veloce, vertiginoso, esplosivo, ma molto più implosivo.

È una scelta interpretativa lucida : con l'opera di Marthaler, che parla di fine, di nostalgia, persino di morte, era difficile creare un'esplosione di gioia in buca, ma credo che Metzmacher, che conosce il repertorio italiano, non volesse quel tipo di Falstaff. Come Marthaler, voleva un Falstaff “altrove” che mostrasse l'opera attraverso una lente d'ingrandimento diversa, con un colore diverso da quello che continuiamo ad aspettarci. Questa interpretazione, che ho trovato affascinante perché offre una visione ravvicinata di tutte le costruzioni e le sorprese della partitura, non è la verità del Falstaff di Verdi, è una delle sue possibilità, in un contesto molto particolare, quello di non fare il Falstaff di tutti i giorni, ma di mostrare perché è il Falstaff di sempre.

È nella natura del capolavoro di emergere da questa visione come un capolavoro "ancora e ancora" dopo tutti i possibili trattamenti della direzione musicale e della messa in scena.

Marthaler e Metzmacher si sono trovati ed è un puro piacere intellettuale vederli confrontarsi con quest'opera abissale, mostrandone la profondità, senza annacquarla o privarla della sua natura.

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