“Eravamo a bordo d’una nave mercantile d’infima qualità : si chiamava Teti, portava a poppa il busto della ninfa, la sua ciurma era di sette uomini, capitano compreso. Si riteneva che col tempo favorevole, com’era da aspettarsi in estate, la traversata a Londra non richiedesse più di otto giorni […].
Pieni di speranza facemmo vela attraverso il Kattegat per lo Skagerrack, quando il vento già sfavorevole, che ci aveva costretti a laboriose manovre, nel secondo giorno di questa nuova navigazione degenerò in una violenta tempesta. Dovemmo fronteggiarla per ben 24 ore, fra sofferenze per noi affatto nuove […].
Finalmente, il 27 luglio ((Nell’anno 1839, Wagner in fuga dai creditori scappò in maniera rocambolesca da Riga a Londra.)), sotto la pressione d’un furioso vento dell’ovest, il capitano si vide costretto a cercare un porto della costa norvegese. Fu un conforto per me contemplare la costa rocciosa che si apriva ampiamente e verso la quale eravamo spinti a gran velocità […].
Frattanto sugli scogli che noi ci lasciavamo a tergo s’infrangeva talmente la forza del vento, che quanto più ci inoltravamo attraverso questo mutevole labirinto roccioso, tanto più tranquillo si faceva il mare […].
Un indicibile benessere m’invase, quando l’eco delle colossali pareti di granito ripercosse il grido con cui i marinai gettarono l’ancora e ammainarono le vele. Il breve ritmo di questo richiamo penetrò in me come un potente presagio di consolazione, e se ne formò ben presto il tema per la canzone dei marinai nel mio Olandese volante, la cui idea già mi stava in mente e ora, in seguito a queste recenti impressioni, acquistò un preciso colore poetico-musicale.”
(da Mein Leben, Richard Wagner, traduzione a cura di Massimo Mila, Torino 1960, volume primo, pag. 214–216)
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Credere alle parole di Wagner, soprattutto quando racconta della propria vita, non è mai facile. In questo caso, tuttavia, queste righe paiono fedele resoconto di un momento della perigliosa fuga con cui il musicista si augurava di lasciarsi alle spalle una modesta esistenza di Kapellmeister con cospicui debiti (si sa, Wagner non era uomo dalle mezze misure…) certo di far fortuna tra Londra e Parigi.
Alla lettura, si conferma l’importanza dell’elemento autobiografico nel creare la tinta di quest’opera romantica per eccellenza che ripercorre il modello di Weber ma in cui parecchi momenti guardano con suggestione, seppur non preordinata, al futuro.
Intere scene chiamano in causa poderose masse corali ed orchestrali per rendere tanto l’atmosfera musicale delle costiere del Nord quanto i momenti più sinistri che echeggiano a ricordarci la maledizione cui soggiace L’Olandese.
È questo il colore orchestrale che ci ha restituito, con enfasi ed energie mai dome, il Direttore principale dell’OSN Rai James Conlon, fresco di nomina a Commendatore della Repubblica Italiana. Non era facile, anche per i volumi di suono in gioco, riuscire a mantenere per tutta l’opera una immagine sonora orchestrale fluida e precisa, ma Conlon non perde il controllo anche nei momenti di maggior esaltazione sonora, con una direzione energica e nervosa, tesissima, grazie alla quale l’opera scorre senza sosta verso la catarsi finale.
Va da sé che tale taglio interpretativo abbia lasciato poco spazio a sfumature, indugi e sospensioni liriche, che pure vi sarebbero, finendo per trasformare, emblematicamente, la ballata di Senta, cuore dell’opera e snodo da cui scaturisce il senso della stessa, in una ordinaria cavatina d’entrata splendidamente cantata e suonata ma carente di quel tanto d’inquietudine e d’ombre che gettano presagi sinistri sulla vicenda.
Pienamente a suo agio nei panni dell’Olandese il basso-baritono Tómas Tómasson sfoggia un bel timbro sonoro, con un fraseggio scultoreo ma non monotono e ricerca accenti che ben scolpiscono il recitativo iniziale della scena seconda del primo atto. Anche nella figura, comunica il senso di mistero del ruolo con efficacia, pur incappando in talune occasioni in qualche suono acuto piuttosto avventuroso.
Eccellente compagno gli è Kristinn Sigmundsson, perfettamente a suo agio nel ruolo di Daland, che mette a frutto la sua esperienza per restare efficacemente in bilico tra il serio e il buffo che emerge nei duetti con l’Olandese.
È la raggiante e sicura vocalità della Senta di Amber Wagner ad imporsi come protagonista assoluta della serata. La voce del soprano americano risuona imperiosamente in sala, senza esitazioni sale con sicurezza agli estremi acuti della parte, mai strillati e sempre intonati con precisione, ed è un piacere ascoltarne la pienezza tanto nei suoni gravi quanto in quelli della regione centrale.
Una Senta, dunque, la cui sanità vocale è complemento ideale per il taglio interpretativo scelto da Conlon, dotata di bellezza timbrica e rifinitura musicale che conquistano lo spettatore sin dal suo ingresso e spiccano ugualmente nelle scene che la vedono fronteggiare l’Olandese.
La stessa precisione musicale è il merito maggiore della prova di Roderick Dixon che interpreta un Erik del resto piuttosto pallido. La voce, gradevole nei centri, sale con qualche difficoltà al registro acuto, non perfettamente a fuoco, e la genericità dell’interpretazione impedisce di restituirci i momenti di tenerezza nel duetto del secondo atto.
Da segnalare le prove molto positive di Sarah Murphy, ottima Mary, e di Matthew Plenk, che interpreta un timoniere di insolita presenza vocale.
Protagonisti di primo piano in quest’opera corale e romantica, hanno come sempre ben figurato l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai (buone le prove di tutte le sezioni dell’orchestra, in particolar modo dei legni e degli archi) e il Coro Maghini, cui per la gravosa occasione è venuto validamente in soccorso il Coro Filarmonico Slovacco, specialista di questo repertorio.
Il concerto è stato replicato, in diretta per il circuito Euroradio, il 26 maggio. Al termine del primo concerto, calorosi applausi del pubblico diretti a tuti gli interpreti, con maggior intensità all’indirizzo di Wagner, Sigmundsson, Tómasson e Conlon.