Diciotto gennaio, replica di Turandot : la sorte di questa prevista ripresa della Salome con la regia di Robert Carsen, andata in scena originariamente al Regio nel 2008, è segnata da un incidente al termine del secondo atto che impone ancora approfondimenti in merito alla piena agibilità del palcoscenico e rende, di fatto, impossibili prove e utilizzo di elementi scenici complessi.
Lodevolmente, non facendo mancare il proprio supporto al Festival RICHARD STRAUSS (oltre 50 composizioni del Bavarese eseguite a Torino in tre settimane, spesso a titolo gratuito), in fretta e furia il Teatro Regio ha messo insieme, per quello che doveva essere il cardine della rassegna, un allestimento in forma semiscenica affidandolo alla direzione scenica dell’assistente di Carsen, Laurie Feldman, ai costumi di Laura Viglione, alle luci di Andrea Anfossi.
Inalterata la parte musicale, affidata al proprio Direttore stabile Gianandrea Noseda e ad una distribuzione vocale di specialisti.
Spoglia la scena, dunque, in cui sin dall’inizio quattordici sedie nere davanti ad un altrettanto nero sipario fanno da cornice alle vicende di non meglio definiti personaggi che si aggirano senza una convincente idea, riuscendo solamente a sprazzi ad evocare la morbosa vicenda narrata da Wilde e finendo per non renderne che minimamente i tratti sensuali e morbosi.
In costumi contemporanei, abito scuro per gli uomini (eccetto, ovviamente, il Profeta Jochanaan cui è concesso il casual), abito da sera per le signore, tra gli attori svettano solamente l’Erode di Robert Brubaker e l’Erodiade di Doris Soffel. Le loro voci risuonano affaticate ma, via via nell’arco della serata, si impongono per carisma e padronanza del palco, gli unici a comunicare una chiara idea dell’ambiente musicale in cui si stanno muovendo.
Meno credibili la Salome di Erika Sunnegårdh e il Profeta di Tommi Hakala, cui mancano in primis rispettivamente capacità di malata seduzione e ieratica fermezza.
Li diremmo piuttosto impegnati nel monodramma di una vendicativa signora di mezz’età che non si vuole rassegnare alla fine della relazione con un amante più giovane.
Parzialmente risolta la tanto attesa Danza dei sette veli durante la quale Salome (troppo a lungo immobile) sembra evocare come in un sogno il suo Profeta sino ad un ideale contatto, prima di buttarsi con troppa foga tra le braccia del tetrarca Erode.
Salvato il salvabile, reso ancora una volta merito alla scelta coraggiosa del Teatro di non privare la rassegna straussiana del punto di forza, lo spettacolo in forma semiscenica ci ha lasciato perplessi. Meglio avrebbe giovato alla causa una realizzazione in forma di concerto che più avesse focalizzato l’attenzione sulla parte musicale vista l’oggettiva difficoltà di rendere credibile quella scenica così realizzata.
La via di mezzo seguita ha finito, evidentemente, per nuocere anche all’esito musicale, nel complesso comunque migliore.
Bella la direzione di Gianandrea Noseda che ricava dall’orchestra sonorità pulite e precise. Se si avverte l’assenza di estenuate raffinatezze, di sonorità rubate ed in taluni momenti emergono squilibri tra voci ed orchestra, va detto che questi momenti passano in secondo piano rispetto ad una direzione tesa ed incalzante che punta sull’immediatezza della narrazione musicale e centra il bersaglio nei momenti topici dell’opera.
Erika Sunnegårdh ha voce piccola. Debole nel grave, non cerca lunari smorzature nell’acuto e tratteggia una Salome vocalmente generica senza meriti particolari, spesso sovrastata dall’orchestra. Migliore il Profeta di Tommi Hakala, che pure sfoggia un timbro chiaro ed acuti tirati normalmente non riconducibili al personaggio.
Detto della coppia Brubaker-Soffel, padroni del palcoscenico dalle voci non più freschissime ma interpreti sempre sensibili dei loro personaggi, occorre infine lodare l’intero gruppo di cantanti alle prese con i ruoli minori, tra cui spiccano gli eccellenti primo nazareno di Roberto Abbondanza e primo giudeo di Gregory Bonfatti.
Al termine della recita applausi del pubblico all’indirizzo di tutti gli artisti, in particolare per Gianandrea Noseda e i protagonisti.