"Fiat Lux" è il tema del Festival della Valle d'Itria 2021 in riferimento alla Genesi (I,3) dove Dio crea la luce per far uscire l'universo dalle tenebre. Dopo l'anno nero che ha visto la cancellazione di quasi tutti i Festival, il richiamo alla luce incoraggia vita e arte. E questa edizione è stata composta per offrire tre opere emblematiche di questa rinascita alla luce, in primo luogo una versione teatrale di Die Schöpfung di Haydn, messa in scena da Fabio Ceresa in un'edizione cantata in italiano e diretta da Fabio Luisi, con l'orchestra del Teatro Petruzzelli di Bari nella buca. Poi, nella consolidata tradizione del Festival, sono state riportate alla luce due opere rimaste sepolte dalla loro creazione, prima fra tutte Griselda di Scarlatti (Roma 1721) (che abbiamo recensito) in una nuova edizione a cura de "La Lira di Orfeo", l'ensemble fondato dal controtenore Raffaele Pe e dal musicologo Luca Della Libera. "La Lira di Orfeo" è l'orchestra delle due produzioni riprese. Il direttore d'orchestra greco Georges Petrou era a capo dell’orchestra di Griselda, con la regia di Rosella Cucchi. La terza opera rivelata al pubblico del XXI secolo è L'Angelica di Nicola Porpora, su libretto di Metastasio, che si basa sulle avventure degli eroi Angelica e Medoro di Ludovico Ariosto. L'orchestra era diretta da Francesco Maria Sardelli e la regia di Gianluca Falaschi, noto come costumista in Italia. Nel proporre Porpora, il Festival ritorna ovviamente alla sua tradizione primaria, l'opera napoletana, di cui Porpora è uno dei massimi rappresentanti. Fu il debutto di un giovane di circa quindici anni, Carlo Maria Michele Angelo Broschi, meglio conosciuto come Farinelli.
Era logico che Die Schöpfung di Haydn dovesse aprire il festival, un titolo altamente simbolico dato il tema di quest'anno e l'idea di un nuovo inizio. L'oratorio è tradotto scenicamente in un dramma che vuole essere pieno di gioia e di sorrisi. La traduzione italiana ha senza dubbio lo scopo di ampliare la comprensione del pubblico e soprattutto di rendere popolare un'opera che è raramente eseguita nonostante la sua fama. L'oratorio di Haydn godette fin dall'inizio di un'ampia fama internazionale, e a partire dal XIX secolo l'opera fu tradotta in tutta Europa, e anche in Italia, poiché Rossini stesso la diresse nella versione di Giuseppe Carpani, che era la più comune fino ad allora.
Infine, non è la prima volta che La Creazione viene presentata in italiano a Martina Franca ; era già stata presentata nel periodo in cui Rodolfo Celletti era direttore artistico e la traduzione era stata affidata a Dario Del Corno. Suo figlio, Filippo Del Corno, riprese il lavoro di suo padre e lo modificò ai margini. La proposta di quest'anno è quindi motivata da diversi elementi storici e simbolici che sono perfettamente in linea con il significato del festival. Resta il fatto che oggi, con i soprattitoli, la questione delle versioni "ritmiche" tradotte è meno significativa. Una versione originale inglese (o tedesca) sarebbe stata accettata. È quindi l'idea di approfondire la storia del Festival, per arricchirla, che ha presieduto a questa rielaborazione di una versione che probabilmente sarà limitata a Martina Franca.
La regia di Fabio Ceresa mescola teatro e coreografia (di Fattoria Vittadini e del coreografo Mattia Agatiello), ed è la coreografia a prevalere : è piena di leggerezza e cerca di riflettere anche l'umanesimo illuminista del periodo. L'illuminismo in questo caso unendosi alla Luce (Lux) del tema dell'anno in un produttivo gioco di parole. Non sorprende trovare i simboli massonici tradotti da simboli geometrici, elementi mobili essenziali ma significativi :
l'uovo iniziale, enorme, che esplodendo fa emergere Dio, impersonato da una ballerina (Maria Giulia Serantoni) dall'aspetto quasi infantile e androgino, che sembra "creare" in modo capriccioso, come per gioco. “Crea”di fronte ai più adulti angeli Gabriele, Uriele e Raffaele. Tradurre i giorni della creazione del mondo in immagini luminose non è banale. Sullo stesso tema, siamo in contrasto con il gigantismo delle performance di Stockhausen dei primi anni '80.
C'è leggerezza, c'è anche una forte dose di umanesimo, per esempio quando Dio si trova ad avere a che fare con tutte le diverse religioni che gli vengono presentate sotto forma di libri sacri, ma anche nell'ultima parte, quella del giardino dell'Eden, dove l'amore viene esteso alle tendenze del momento e quindi alle coppie LGBT in un modo particolarmente sorridente. È illustrativo, abbastanza vivace, è vissuto come un intrattenimento sorridente senza conseguenze, mentre le questioni sono ovviamente serie.
Anche le composizioni dei corpi che compongono le forme della creazione sono accattivanti, fiori o alberi come il melo di Eva, un po' come l'impresa di Andreas Kriegenburg nel suo Ring wagneriano a Monaco di baviera. Il risultato è uno spettacolo molto ben fatto, molto seducente che trascende la serietà dell'idea di Creazione dandole un aspetto festivo e rassicurante. Questa gioia insita nello spettacolo riflette anche la gioia di tornare sul palco, di tornare alla vita. Questo Dio singolarmente birichino si innamora della sua creazione e l'idea che domina, soprattutto alla fine, è una specie di inno all'amore in tutte le sue forme. La luce esterna e interna inonda questo bel momento di musica.
Anche la parte musicale è molto interessante, nonostante lo spettacolo all’aperto, che è sempre un po' delicato per strumenti e voci.
Il coro, che è ovviamente importante in un'opera del genere, non era situato sul palcoscenico ma isolato in spazi laterali, in alto, e guardava l'azione e la commentava alla maniera del coro del teatro greco. È al coro che dobbiamo l'ovviamente essenziale richiamo iniziale alla luce "Fiat Lux" ("e la Luce sia"). Il Coro Ghislieri (di Pavia) lo fa con bel entusiasmo, anche se il numero ridotto di coristi potrebbe essere sorprendente rispetto alle "macchine musicali" che dal Settecento in poi richiedevano un gran numero di partecipanti, ma dà anche un colore particolare all'esecuzione che non è né casuale né banale.
Fabio Luisi a capo di un'ottima orchestra del Teatro Petruzzelli di Bari propone un'esecuzione molto curata, senza asperità, ma allo stesso tempo precisa, che sa bene come chiarire le linee, in un classicismo rigoroso e rassicurante. Fabio Luisi è sempre una garanzia eleganza, sempre controllato, senza "nulla di troppo", e ben strutturata. È questa esecuzione musicale, che sostiene i cantanti e li accompagna, senza mai coprirli, e che si occupa degli equilibri : non è facile gestire un coro laterale, distribuito in alto sui due lati del palcoscenico. Ma Luisi riesce a rendere l'insieme particolarmente omogeneo.
I solisti, senza essere eccezionali, sono tutti interessanti, Rosalia Cid è un giovane e nobile Gabriele, e con voce chiara se la cava con tutti gli onori, e il giovane tenore Vassily Solodkyy (Uriele) mostra un timbro soave e seducente, ma emerge soprattutto l'ottimo Alessio Arduini (Raffaele), il più esperto e affermato dei tre. Adamo ed Eva sono stati affidati a solisti dell'Accademia Rodolfo Celletti, specializzata nel canto ornato e nel Bel Canto, il baritono catalano Jan Antem, bel fraseggio e tecnica consolidata, e la giovane Sabrina Sanza, un'allegra Eva dal timbro molto grazioso, delicato e luminoso. Tutto sommato, una serata molto riuscita, molto meno superficiale di quanto possa sembrare a prima vista. In ogni caso, è stata una serata inaugurale perfettamente in sintonia con la gioia di tornare all’Opera nella dolce notte pugliese.