Gioachino Rossini (1792–1868)
Maometto secondo (1820)
Dramma per musica in due atti
Libretto di Cesare Della Valle dalla sua tragedia Anna Erizo
Prima assoluta il 3 dicembre 1820, Real Teatro di San Carlo, Napoli
Edizione critica della Fondazione Rossini, Pesaro
A cura di Ilaria Narici

Direttore         Michele Mariotti
Regia               Calixto Bieito

Scene               Anna-Sofia Kirsch
Costumi            Ingo Krügler
Luci                  Michael Bauer
Assistente alla Regia       Ana Cuéllar Caruso
Assistente alle Scene      Giulia Bellé
Assistente ai Costumi     Caterina Visconti di Modrone

Paolo Erisso         Dmitry Korchak
Anna                   Vasilisa Berzhanskaya
Calbo                  Varduhi Abrahamyan
Condulmiero        Li Danyang
Maometto II        Roberto Tagliavini
Selimo                Andrea Calce

Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo
Maestro aggiunto del coro : Vincenzo Caruso

Nuovo allestimento del Teatro di San Carlo

Napoli, Teatro di San Carlo, giovedì 2 novembre 2023, Ore 18

Torna sul palcoscenico del Teatro San Carlo, a oltre due secoli di distanza dalla prima rappresentazione assoluta, il Maometto secondo di Rossini, nell’allestimento di Calixto Bieito, alle prese con la prima esperienza napoletana. Accolto alla prima rappresentazione da sonore contestazioni del pubblico, lo spettacolo concepito dallo spagnolo è controverso e, pur se taluni aspetti alla fin fine risultino comunque interessanti, nell’insieme rimane troppo distante dai valori musicali rischiando spesso di danneggiarli.

Il vero evento è quanto si ascolta provenire dalla buca dell’orchestra : alla guida di un’ottima orchestra e di eccellenti cantanti il direttore Michele Mariotti scrive una pagina di storia dell’interpretazione del Rossini serio, che si può dire già oggi paragonabile all’importanza di quanto riuscì a Claudio Abbado con il Rossini buffo negli anni settanta. Che stupore, in Rossini, ascoltare più applausi per il Direttore d’orchestra che per i solisti…

LA STORIA

 

”GALLI FILIPPO. Fra il penultimo e l’ultimo decennio del secolo decimo ottavo, è nato in Roma da onesti genitori Filippo Galli. […] Giovanissimo, esordì a Napoli come tenore, chè tale fu la sua voce fino a quell’epoca. Per mala o lieta sorte egli si ammalò, dalla quale infermità gli è derivata la perdita dei mezzi vocali. Nel ricuperar questi e la salute, si accorse di un fenomeno non ordinario avveratosi in lui : egli era divenuto un basso. […] Nell’Italiana in Algeri destò nel 1813 uno straordinario entusiasmo, e sin d’allora il suo nome si congiunse a quello di Rossini. […] il Turco in Italia, il D. Giovanni, la Gazza Ladra, la Cenerentola, l’Agnese, in cui meritò di essere pareggiato a De Marini, Torvaldo e Dorliska, Maometto II e Semiramide lo proclamarono l’attore-cantante per eccellenza, e l’arte, se non fosse per abitudine ingrata, dovrebbe erigergli un monumento, siccome quegli che insegnò ai bassi ad unire maestrevolmente il canto all’azione.”

“COLBRAN-ROSSINI ISABELLA ANGELA. Nacque a Madrid il 2 febbraio 1785. […] Alla soavità degli accenti, alla forza dell’espressione, al perfetto gusto delle fioriture, alla larghezza della frase era impossibile non iscorgere in essa la degna discepola del celebre soprano. Quando l’allieva del Crescentini apparve la prima fiata sulle scene, produsse grande impressione, e dal 1806 al 1823 la Colbran fu festeggiata su tutti i grandi Teatri d’Europa.”

“NOZZARI ANDREA. Celebre tenore. Era nato in Vertova nella Bergamasca l’anno 1775.((Nel registro parrocchiale si legge 1776. Le voci di Rossini, Appolonia, Torino, 1992)). Lasciò una splendida riputazione, e i nostri vecchi, che lo chiamavano l’Orfeo redivivo, l’hanno sempre sulle labbra”[1]

 

Un anno cruciale.

Rapido d’ingegno lo fu sempre, ma il 1819 era stato nuovamente per Rossini un anno di fuoco, oltre la media cui era solito far fronte. Alla corte napoletana di Sua Maestà Domenico Barbaja ormai da quattro anni[2], solo a tener conto della produzione lirica si erano susseguite Ermione, Eduardo e Cristina, La Donna del Lago e Bianca e Falliero((rispettivamente Napoli, 27.3, Venezia, 24.4, Napoli, 24.9, Milano, 26.12)). Piazze più o meno avvezze a novità ma, senza dubbio, Napoli era la capitale musicale d’Italia (d’Europa?) e per essa era solito riservare le pagine più coraggiose, osando sperimentare per il pubblico più familiare preziosi rimandi al neoclassicismo come pure atmosfere che avrebbero lastricato la via che porta al romanticismo in musica.

L’assedio è un cielo di stelle al San Carlo (Secondo atto di Maometto II

Il pesarese, in parte socio egli stesso dell’Impresa, poi non era semplicemente il Composer in residence sovrano del Real Teatro di San Carlo, ma a tutti gli effetti Direttore della musica, perno dell’attività dei principali palcoscenici cittadini, che ricadevano sotto la stessa gestione. L’anno 1820 si apriva così sotto la stella del gran Spontini, quasi vent’anni in più di Gioacchino che apparivano musicalmente tanti ma tanti di più. A Rossini il compito di portare in scena il suo Fernando Cortez, in una revisione del titolo. Tanto impegno[3] ma l’esito non fu clamoroso, anzi discreto nonostante il peso delle forze messe in gioco.

Fu probabilmente Rossini stesso a trarne il maggior beneficio, sotto forma d’ispirazione, prendendo confidenza con drammatiche vicende d’amore tra nemici, sullo sfondo la vicenda storica dell’invasore.

Il freno a mano, poi, era tirato e il compositore non avrebbe d’ora in poi composto più di un’opera nuova all’anno. Il suo ingegno era libero di spaziare, fatto salvo l’obbligo di una Messa di Gloria per l’Arciconfraternita di San Luigi cui non poté sottrarsi e scansando per sfinimento del committente un’opera nuova per Lucca. Trovò sfogo in un testo, per una volta, piuttosto riuscito, per mano del nobile Cesare Della Valle duca di Ventignano.

 

La prima esecuzione.

Maometto secondo, dalla tragedia Anna Erizo del medesimo autore del libretto, di ritardo in ritardo prese finalmente il largo il 3 dicembre con il solito cast da star system cui era abituato il fortunato pubblico dell’epoca : protagonista Filippo Galli (Maometto), primadonna Isabella Colbran (Anna Erisso), primo tenore Andrea Nozzari (Paolo Erisso).

Con questi tre sulla carta il trionfo era certo : Galli, nel ruolo del protagonista avrebbe garantito l’estensione vocale, la vigoria del canto declamato abbinata all’eccellenza dell’interpretazione scenica. Colbran non temeva ancora rivali, almeno in quel momento, nel cuore nel pubblico di casa, e se l’estensione e vocale da primatista non era più quella dei primi anni è pur vero che nelle cronache immutata restava la lode dell’altissima espressione, dell’efficacia e della vigoria dell’accento, della precisione del canto d’agilità. In quanto a Nozzari, prediletto baritenore, la sua presenza giustifica la solidità d’accento del canto declamato, la linea che sostiene i concertati, la vigorosa coloratura e al tempo stesso la soavità che sgorga a piene mani nelle dolcissime espansioni ogni volta Erisso si riferisce alla moglie scomparsa.

Persino il recensore del tempo colse nel segno al primo colpo. “Il Maometto segnerà nella storia delle sue opere un secondo periodo assai più glorioso del primo. […] La musica del primo atto del Maometto è dal principio alla fine ricca di bellezze originali. I cori, le arie, i due terzetti, il finale, uniscono la melodia alla forza, la semplicità alla magnificenza, e quel patetico senza grida, quell’armonia senza fragore e senza confusione, che era con tanta sapienza usata dagli antichi, e che difficilmente si incontra nelle composizioni dei moderni[4]. O almeno ci andò molto vicino…

 

La fortuna dell’opera. 

Sulla fine del variegato e meraviglioso periodo napoletano, Maometto è gemma di straordinaria grandezza in cui Rossini sperimenta vie nuove sotto ogni aspetto, in così tante direzioni mai percorse sino ad ora in un solo titolo. Così innovativo nell’alternarsi delle forme da lasciare disorientato l’ascoltatore che si ritrova in una sequenza continua di scene d’assieme, duetti, cori, terzetti dalle proporzioni mai sperimentate prima, arie d’ingresso brevi senza cabaletta d’ordinanza, un finale con funebre coro in cui invano abbiamo atteso la beatificazione della protagonista con fuochi d’artificio vocali ormai d’ordinanza. Manca la sinfonia iniziale, ma ci accorgeremmo dell’assenza solo se non restassimo inchiodati alla poltrona da quei funebri accordi iniziali che lasciano in breve spazio alla scena del consiglio di guerra e che chiuderanno il cerchio proprio con il coro finale dopo tre ore di musica.

Questo Rossini colpisce per la parsimonia di mezzi orchestrali con cui riesce a costruire un mondo di atmosfere sinora ignote all’opera italiana del primo Ottocento, l’esotismo mai circense, il preziosismo e la giustezza delle proporzioni delle introduzioni orchestrali. Poi, all’improvviso, ci commuove con la patetica dolcezza del canto di Paolo sulla tomba della moglie, musica di cui si erano perse le tracce dai tempi di Händel e Gluck.

Ma così, Maometto secondo è un’opera spesso in anticipo sul suo tempo e lo è di almeno vent’anni. Lo è nel modo di trattare il coro, quando sembra aprire persino al primo Verdi. Lo è ancor di più quando, nella sequenza di numeri musicali, cavatine e arie soliste sono i meno estesi, spesso pause annegate nel flusso musicale sul modello mozartiano.

Si pensi al personaggio di Calbo e a come viene declinato : non è un caso che al retaggio della prima gioventù, l’amore per le voci gravi femminili ad impersonare giovani eroi en travesti, resti destinata l’unica scena con introduzione, obbligato, cavatina, cabaletta. E non è un caso se, quando si tratterà di affrontare l’ultima grande sfida, quella che si apprestava a giocarsi nella Ville Lumière, alle prese con il rifacimento Le siège de Corinthe migrando da Negroponte a Corinto lo stesso Calbo da contralto mutò in tenore. Quattro anni più tardi, Vincenzo Bellini avrebbe ancora assegnato ad un mezzosoprano il ruolo di Romeo nei Capuleti e Montecchi…

L’opera piacque evidentemente per stima verso l’Autore ma la sua modernità non le guadagnò il favore duraturo del pubblico. Dopo le nove rappresentazioni del 1820 nell’Ottocento tornò, infatti, al San Carlo solo per una recita nel giugno del 1825. Poca più fortuna arrise al suo rifacimento italianizzato, l’Assedio di Corinto, per il quale il sipario tra il 1828 e il 1836 si alzò in 45 occasioni[5]

 

IL PRESENTE… 203 ANNI DOPO

 

Maometto secondo Bieito.

Sulla carta si presentava come il maggior rischio ed è andato tutto come previsto : la regia di Calixto Bieito(I nostri auguri per i suoi sessant’anni proprio in questo 2 novembre!), come da copione, si riporta abbia incontrato un sonoro dissenso del pubblico della prima rappresentazione(saltata la prima del 25 ottobre per lo sciopero indetto per il rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro delle Fondazioni Lirico Sinfoniche, lo spettacolo è andato in scena domenica 29 ottobre) e giudizi genericamente negativi dalla critica. Una regia problematica, certo, ma non tutta da buttare.

Elena Vallebona solista all’arpa durante la preghiera Giusto Ciel, in tal periglio (primo atto)

Il sipario si alza, prima dell’avvio della musica, sull’assedio. Un campo desolato disseminato di cavalli di Frisia al neon, tutto intorno il buio e il nulla. Gli elementi resteranno sostanzialmente sempre gli stessi tutta la sera, neon e luci con diversi colori evidenzieranno grossolanamente cambi di scena e stati d’animo. Per Bieito i veneti sono ormai in rotta, Erisso è un comandante che si sposta con la sacca e il treppiede dei medicinali e dell’ossigeno, guida soldati che combattono senz’armi. Agli assediati per difendersi non restano che ombrelli, mazze da baseball, accette, martelli. Ogni possibile riferimento all’attualità è puramente casuale ?

La tinta potrebbe essere quella giusta, l’opera di Rossini è tenebrosa e avvolta dal lutto dall’inizio alla fine, ma la scelta del regista di rendere sempre protagonista la guerra a scapito dell’azione e dei sentimenti dei personaggi principali finisce per stendere sullo spettacolo una cappa di monotonia. Soprattutto di vera e propria noia scenica, poiché a leggere il libretto è vero che se ne parla di continuo, la si evoca fuori scena, ma in fin dei conti lo scontro non si vede mai. Altra cosa è vedere gli assediati e indagarne i sentimenti.

L’azione del coro sarà altrettanto funesta per tutta l’opera con i cantanti che, siano essi veneti o musulmani, se non trattati come statiche figurine sono peggio ancora impegnati in movimenti avanti e indietro sul posto, fastidiosi e del tutto antimusicali per la rumorosità e il tempo dei gesti. Le donne fanno il loro ingresso con Anna e mostrano di voler difendere la loro quotidianità, sono donne che vanno a fare la spesa, escono, conducono carrozzine.

Ma è con la protagonista femminile che viene il peggio dell’intero spettacolo.

Anna è il perno attorno a tutto cui ruota sulla scena. Dall’amore paterno a quello verso lo scialbo Calbo a quello mai dimenticato per il feroce Maometto, tutto finisce e riparte da Anna. È persino da lei che, senza essere un guerriero, parte l’azione antistorica che contrasta l’assedio degli ottomani.

Il ruolo di Anna è quello che consentì l’ennesimo trionfo per una Colbran che si avvicinava ormai alla stagione del declino vocale. Adeguando la scrittura vocale negli anni, Rossini aveva gradatamente spostato l’attenzione dalla pura vocalità d’agilità a scene via via più articolate in cui far emergere l’accento, la precisione, il carattere del personaggio motore dell’azione, l’estensione ancora importante per una voce che stava diventando più rigida. Era necessario non ripetere confronti scomodi con Elisabetta e Desdemona. Il magnetismo e la tragica altezza della figura restavano inalterati.

Anna e Paolo Erisso nel primo atto (V. Berzhanskaya, D. Korchak)

Tutto questo, ed è colpa grave, sparisce nella regia di Bieito. Anna è ridotta ad una pallida vittima degli eventi. Cessa di essere il motore del dramma finendo per aggirarsi allucinata per il palcoscenico, come si trattasse di una piagnucolosa Lucia o Ofelia, qualche volta ha uno scatto da Giovanna d’Arco, invece di mostrare la fierezza e la nobiltà della prole del patriziato di San Marco. Sommo insulto della regia proprio verso colei che, immolata al dover di figlia e cittadina, sacrifica l’amore mai spento per Maometto e la propria vita per mantenere fede alla Patria con una fermezza che neppure padre ed amante possono vantare.

A metà del primo atto il vuoto sembra aver preso il sopravvento, ma l’entrata in scena di Maometto risolleva l’atmosfera. Non che il suo ingresso porti chissà che stravolgimento ma, a poco a poco, prende forma un Maometto ironico, intrigante, sottile … innamorato, contro ogni pregiudizio. Non un truculento nipotino di Attila ma l’antesignano dei villain tardo ottocenteschi da salotto. Eccolo l’assediante, in giacca e occhiali da business man, che ambisce a conquistare l’Eubea e il mondo intero. Si avvolge con un planisfero, lo tortura, lo mangia omaggiando la storia del cinema.

E volerò con voi Del mondo a trionfar (R. Tagliavini)

Nel suo rapporto con Anna finisce almeno per rendere più credibile la figura di questa adolescente sul punto di cadere ammaliata tra le sue braccia, sino ad uno scatenato finale primo in cui i due salgono in cattedra.

Il duetto del secondo atto è il momento critico della serata, Anna legata su un divano è dapprima insidiata volgarmente da Maometto ma finisce per legarlo a sua volta. Ha ceduto alle sue lusinghe al punto da tenerlo in pugno ?

Immagini da una regia controversa, nella semplice cornice di Anna-Sofia Kirsch e con le funzionali luci di Michael Bauer, problematica per la maggior parte dell’opera nella difficoltà di gestire le masse corali e per lo più disattenta nell’indagare i rapporti tra caratteri. Per lunghi tratti anti musicale per programma, la regia di Bieito resta, dunque, complessivamente distante dall’altezza dell’opera, con l’eccezione di aver individuato la modernità del protagonista maschile.

Tutto sommato, troppo poco rispetto a quanto ascoltiamo che, senza timori, costituisce un momento felicissimo nella storia dell’interpretazione rossiniana.

 

Una magistrale esecuzione musicale.

Quella ascoltata al San Carlo può essere considerata sin d’ora la direzione di Maometto secondo da cui tutte le altre saranno giudicate. Michele Mariotti, sul podio dell’ottima orchestra dell’Ente, ci propone un ideale esempio di Rossini serio, dove tutto suona perfettamente a suo posto.

Poche battute del Maestoso iniziale e si capisce che il direttore ha le idee chiare, non teme tempi larghi perché ha tante cose da raccontarci. Gli archi sostengono a meraviglia il clima funereo che avvolge le prime note, non affrettate come se fosse una banale introduzione da buttar via ma come essenziale premessa al dramma di Anna Erisso, per tutta l’opera in bilico tra la Patria e l’amore.

I tempi sono generalmente distesi e lasciano sfogare le emozioni sparse a piene mani in partitura. Quanto più la scrittura rossiniana si asciuga nell’utilizzo dei mezzi musicali tanto più la direzione di Mariotti esalta l’unità dell’opera, così originale nella sequenza di grandi brani d’assieme rispetto a più convenzionali arie solistiche, eppure così unitaria. Bene, dunque, il giuramento dei Veneti, sonoro e orgoglioso senza essere chiassoso come, in generale, una scelta di tempi sempre giusti che mette in rilievo la felicità melodica e quella dinamica quando occorre, come nella stretta finale del primo atto affrontata a briglia sciolta.

La cavatina di Calbo nel secondo atto è un campionario perfetto del canone tradizionale rossiniano : perfezione ritmica e timbrica del clarinetto, intervento di Erisso intriso di dolcezza senza pari, Andante energico e fiero, Allegro della cabaletta condotto apposta per esaltare il meglio dell’interprete, soccorrendolo a dovere nei punti più scomodi della tessitura ma senza mai sacrificare l’integrità del dettato musicale.

Poche battute e il terzetto In questi estremi istanti tra Anna, Calbo ed Erisso, a prima vista emanazione del Mosè, si ammanta di un erotismo ai limiti del sostenibile, senza confronti con la provocatoria ironia del duetto tra Anna e Maometto che era stata colta dal regista.

L’ultimo ingresso del coro, dopo la morte di Anna, conferma, se ce ne fosse ancora bisogno, lo stato di grazia del direttore che, senza fretta, ci regala un finale che si salda idealmente al mesto inizio. Indimenticabile.

Col supporto della regia, in questo caso prezioso, Roberto Tagliavini è un eccellente Maometto, scenicamente e vocalmente. Elegante in abiti moderni, completo scuro senza cravatta, occhiali, è un protagonista non efferato o rozzo come da tradizione ma insinuante e sfaccettato. Dall’arroganza alla più sottile ironia, l’accento è credibile in tutte le sfumature. Vocalmente arriva alla fine dello spettacolo senza il minimo segno di stanchezza, la voce è omogenea, sonora, ben mascherata in tutta l’estensione. La coloratura è affrontata con sicurezza e proprietà, senza scorciatoie.

Molto attesa nel ruolo di Anna, la giovane mezzosoprano russa Vasilisa Berzhanskaya viene musicalmente a capo di uno dei ruoli più impegnativi tra quelli creati per Isabella Colbran. Al contrario di quello che succede al protagonista, il ruolo di Anna è messo a dura prova dalla regia e la Berzhanskaya può fare poco per risollevarne la figura. Si aggira per il palco allucinata e fragile, ogni tanto sente la necessità di legare o slegare qualcuno.

La voce è importante ed emessa con sicurezza nei centri, meno sonora nei gravi estremi. Schiettamente centrale nell’estensione, risolve gli estremi acuti di forza, rischiando qualche suono fisso ma la voce è sempre perfettamente sostenuta dal fiato.

Una regia più attenta ai valori musicali della parte di Anna e maggior consuetudine col titolo l’avrebbero certamente aiutata a rifinire il personaggio anche dal punto di vista della vocalità, della nitidezza della coloratura e del fraseggio. Ci regala, comunque, una ottima esecuzione musicale.

Dmitry Korchak è un Erisso dalla voce non schiettamente argentina, che si indovina costruita con studio e preparazione magistrali, per l’omogeneità e la correttezza d’emissione in tutti i registri. Il cantante russo è anche direttore d’orchestra, e si sente. Esegue alla perfezione note e intenzioni della parte, è uno di quei cantanti che non riuscirebbe a stonare neanche se ci si mettesse d’impegno. È sua la frase più bella dell’opera e la rende in maniera commovente per il patetico affetto di cui l’ammanta.

Al ruolo en travesti di Calbo, almeno nel primo atto, non viene riservata la consueta attenzione che l’Autore aveva usato in analoghe situazioni e riproporrà nell’Arsace della Semiramide. La presenza di Varduhi Abrahamyan, rossiniana di provata capacità, è scenicamente efficace in abiti da soldato contemporaneo. Conferisce con la sua musicalità il giusto peso alla classica cavatina del secondo atto, lungamente applaudita, e al terzetto che precede il finale.

Nelle parti minori, Li Danyang e Andrea Calce si disimpegnano con precisione e convinzione alla pari del coro, elemento essenziale del Maometto secondo dalla prima all’ultima scena, ben preparato da Vincenzo Caruso, maestro aggiunto.

Applausi finali

Al termine dello spettacolo, vivissimi applausi per tutti i protagonisti dell’esecuzione musicale.

Note :

[1] Dizionario biografico/dei più celebri/poeti ed artisti melodrammatici, tragici e comici,/maestri, concertisti, coreografi, mimi, ballerini, scenografi,/giornalisti, impresarii, Ecc. Ecc./che fiorirono in Italia dal 1800 al 1860/compilato/dal cav. Dottor/Francesco Regli/socio di varie accademie, Torino, 1860, dalle pagg. 218, 134, 364 rispettivamente le tre citazioni.

[2] Ne abbiamo parlato in https://wanderersite.com/it/opera-it/festival-valle-ditria-2023-il-turco-in-italia-cambia-spiaggia-e-sbarca-sullo-jonio/

[3] “E’ degno dell’autor dell’Elisabetta l’amorosa cura con cui attende alla buona riuscita di una produzione dell’autor della Vestale” da Gazzetta di Milano, 1820, n.36, p.189

[4] Giornale del Regno delle Due Sicilie, n. 103, 6 dicembre 1820

[5] per la cronologia si veda “Il Teatro di San Carlo” vol.2, Napoli, 1987 a cura di Carlo Marinelli Roscioni

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Paolo Malaspina
Paolo Malaspina, nato ad Asti nel 1974, inizia a frequentare il mondo dell’opera nel 1989. Studia privatamente canto lirico e storia della musica parallelamente agli studi in ingegneria chimica, materia nella quale si laurea a pieni voti nel 1999 presso il Politecnico di Torino con una tesi realizzata in collaborazione con Ecole Nationale Supérieure de Chimie de Toulouse. Ambito di interesse musicale : musica lirica e sinfonica dell’ottocento e novecento, con particolare attenzione alla storia della tecnica vocale e dell'interpretazione dell'opera lirica italiana e tedesca dell'800.

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