Si tratta di un mondo in gran parte sconosciuto a chi segue regolarmente i “normali” concerti di musica contemporanea. Per questo motivo ero andato a Venezia con la certezza di ampliare le mie conoscenze musicali e con la speranza di fare delle esperienze interessanti, se non delle scoperte rivelatrici. Ma i risultati sono stati assai deludenti. Non posso escludere che ciò sia dipeso almeno in parte dalle mie scelte. Poiché non mi era possibile assistere a tutti i quindici giorni del festival, ho infatti deciso di scartare quello che ne era il clou, ovvero le giornate dedicate ad un autore che già conoscevo quale Brian Eno, a cui la Biennale Musica ha assegnato quest’anno il Leone d’oro alla carriera. Ho invece scelto tre giorni dedicati ad autori meno noti di Eno, che tuttavia hanno avuto e tuttora hanno un ruolo importante negli sviluppi della musica elettronica.
18 ottobre 2023 : Miller S. Puckette
Tra questi era Miller S. Puckette, vincitore quest’anno del Leone d’argento. Oggi sessantaquattrenne, Puckette è notissimo agli addetti ai lavori come ideatore negli ormai lontani anni Ottanta di Max, un software concepito come ambiente informatico per la realizzazione di opere di musica elettronica dal vivo, per controllare installazioni sonore, creare strumenti musicali virtuali, elaborare suoni in tempo reale nelle performance strumentali, generare suoni digitali e composizioni per computer, che è diventato uno dei programmi più usati dai compositori e performer in tutto il mondo, così da influenzare lo sviluppo compositivo della musica elettronica e dell’elaborazione del suono in tempo reale delle successive generazioni di autori.
È anche l’autore di Pure Data, una piattaforma funzionante in tempo reale tramite un linguaggio di programmazione audio, video e grafica per la creazione di musica interattiva per computer e opere multimediali, realizzata negli anni '90 con l'input di molti altri membri della comunità della computer music. Egli stesso ha affermato che “a seguito dell’avvento di queste nuove tecnologie non stano emergendo forme musicali nuove o rivoluzionarie, né in verità si assiste alla produzione di musica particolarmente buona. […] in alcuni casi le tecnologie possono aiutare a far emergere nuove idee musicali ; in altri possono soffocare in un flusso infinito di contenuti […]. Per progettare programmi efficaci per la creazione musicale è necessario avere ben presente questa distinzione e limitare il ruolo del computer a quello di strumento musicale e non di creatore di musica.”
Purtroppo questi suoi dubbi trovano conferma nel suo stesso lavoro intitolato Knock. Più esattamente a Venezia si è ascoltato Øther Knock, versione del 2023 di Knock e punto di arrivo di una collaborazione durata otto anni tra Puckette e Irwin, che è un beat maker, producer e sound designer molto richiesto. Puckette e Irwin l’hanno realizzato a distanza durante il Covid-19 e anche a Venezia l’hanno eseguito come se fossero in due ambienti lontani e non comunicanti, pur essendo in realtà l’uno accanto all’altro. Da due piccoli tamburi simili a tabla indiani Irwin ricavava un semplice ritmo, sempre in 4/4, costantemente ripetuto, con appena qualche leggera variante. In più maneggiava ogni tanto le leve di una piccola apparecchiatura elettronica, probabilmente un equalizzatore. Puckette era seduto a un pc, usato per generare uno sfondo sonoro anch’esso piuttosto costante e ripetitivo, che non dialogava mai col ritmo dei tamburi, tranne che in brevissimi momenti in cui quei ritmi venivano ripresi con timbro metallico dal pc : allora l’interesse dell’ascoltatore si risvegliava almeno per qualche secondo. Il bilancio di questi circa quarantacinque minuti di musica è stato molto gramo e il responso del numeroso pubblico è stato severo : alla fine del brano molti si sono avviati subito all’uscita, gli altri hanno applaudito fiaccamente per poco più di un minuto.
Robert Henke : 17 ottobre 2023
Un altro concerto era dedicato ad una performance del cinquantaquattrenne Robert Henke, che vive e lavora a Berlino.
Dal suo curriculum si ricava che anch’egli, come Puckette, è un esperto di computer e un programmatore più che un musicista e un compositore. Si dedica infatti alla programmazione e alla costruzione di hardware volti alla produzione di musica, installazioni audio-video e computer grafica ed è anche uno dei principali sviluppatori di Ableton, un software divenuto uno standard per la produzione musicale elettronica. Le sue composizioni e performance musicali si ispirano alla club culture più radicale ma evidentemente sono conosciute anche al di fuori di quei circoli ristretti, perché il Teatro Malibran era pieno di giovani e giovanissimi accorsi ad ascoltare il suo CBM 8032 AV. Sul palcoscenico stavano cinque vecchi computer Commodore 8032 degli anni Ottanta (da cui questo lavoro prende il suo titolo, a ribadire che il computer ne è il vero e unico protagonista): due di quei computer generavano un suono alla volta, un altro tre suoni alla volta, un altro ancora la grafica e i video, mentre l’autore era seduto davanti al quinto, con cui controllava i precedenti quattro. C’era inoltre un rack con l’attrezzatura per ottenere effetti sonori come il riverbero, la modifica dell’altezza, ecc. La particolarità del lavoro di Henke è usare computer del passato e non quelli di ultima generazione ma questo non modifica comunque il predominio totale della tecnologia sulla creazione musicale. Se ne ha una conferma leggendo a questo link https://roberthenke.com/technology/inside8032av.html la lunga e accurata descrizione che l’autore stesso fa di questa “performance audiovisiva”, prendendo in considerazione esclusivamente gli strumenti tecnologica e il modo in cui li ha utilizzati. Termini come creazione e musica non rientrano nel suo mondo e nel suo linguaggio.
Il critico musicale resta totalmente disarmato di fronte a musiche (se così si può definirle) come questa, la sua terminologia è totalmente inutilizzabile, le sue concezioni estetiche totalmente inservibili. Quel che posso dire è che all’inizio ho provato una certa curiosità e mi sono perfino divertito a sentire quei suoni elettronici scorrere rapidamente, mentre simultaneamente lucine verdi sfilavano sul grande schermo posto sul palcoscenico, ma presto la noia ha preso il sopravvento e alla fine di quei sessantacinque minuti (tanto dura CBM 8032 AV, più o meno come la Nona Sinfonia di Beethoven) cominciavo ad avere allucinazioni uditive e visive.
Maryanne Amacher, 16 ottobre 2023
Nata nel 1938 e scomparsa nel 2009, l’americana Maryanne Amacher è stata tra i pionieri di questa musica elettronica di nuovo genere, totalmente diversa da quella di Boulez, Stockhausen,
Nono, Berio. È stato presentato in prima italiana il suo Glia, che prevede una parte eseguita dal vivo da Ensemble Zwischentöne e da Contrechamps, che forniscono un materiale musicale molto semplice e grezzo all’elaborazione elettronica dal vivo, che costituisce la parte assolutamente predominante di questo lavoro ed era realizzata dal vivo da Bill Dietz, definito sul programma di sala anche direttore artistico e direttore. Una sola volta – era il 2005 – Glia è stato eseguito durante la vita della Amacher, che non aveva mai pensato che potesse essere rieseguito. Ma, tradendo le intenzioni dell’autrice, Bill Dietz ha deciso di ricostruirlo e di presentarlo ancora al pubblico. Quindi è difficile capire in che misura quel che si è ascoltato a Venezia corrispondesse veramente alla concezione originale.
Leggiamo sul catalogo della Biennale Musica che il titolo Glia deriva dalle cellule cerebrali che coadiuvano la trasmissione tra sinapsi e che la Amacher “ha concepito lo spettatore come una sorta d’interfaccia gliale tra gli elementi elettronici e acustici dell’opera e ha immaginato le emissioni otoacustiche che si creano nell’apparato uditivo degli ascoltatori (occultamente generato dalle analoghe emissioni dell’elettronica e degli strumenti) come sede di quest’interfaccia neurale”. Dal mio punto di vista di persona comune e non di critico musicale tutto questo mi sembra totalmente inutile : o è un insensato e delirio parascientifico o, se ha reali basi scientifiche, lo si lasci agli esperimenti dei neurologi. In pratica, Glia è formato da una serie di ampie sezioni (potremmo chiamarle movimenti) molto simili le une alle altre, che iniziano tutte piano e gradualmente aumentano fino a raggiungere un numero di decibel letteralmente intollerabile (credo ben superiore ai limiti di legge stabiliti per qualsiasi attività, che si svolga all’aperto o al chiuso) il cui effetto è reso ancor più lancinante dalle frequenze altissime. Tutto è assolutamente privo di qualsiasi interesse non dico musicale ma anche sonoro. D’altronde non era quel che interessava alla Amacher, che si prefiggeva soltanto di torturare orecchio e cervello per generare le “emissioni otoacustiche” di cui sopra.
Nel mio caso il risultato è stato un fischio all’orecchio durato vari giorni, nonostante avessi usato i tappi per le orecchie distribuiti all’ingresso (è un comico paradosso che l’organizzazione di un evento musicale distribuisca tappi per le orecchie). Il dovere di riferirne ai lettori mi ha indotto a sopportare quel supplizio ma arrivato alla metà circa dei settantacinque minuti di Glia non ho potuto più resistere e sono uscito dalla sala : mi sono accorto allora che gran parte degli ascoltatori mi aveva preceduto e aveva lasciato non solo la sala del Teatro alle Tese dove era in corso la performance ma anche la sala adiacente e l’atrio e aveva trovato scampo sulla riva del bacino dell’Arsenale.
Morton Subotnick, 16 ottobre 2023
Nello stesso giorno di Glia è stato eseguito As I live and Breathe dell’oggi novantenne americano Morton Subotnick, con i video live di Lillevan. Anche Subotnick si è dedicato principalmente alla musica elettronica e alla progettazione allo sviluppo di strumenti elettronici, ma le sue opere utilizzano sempre suoni analogici accanto a quelli prodotti dal computer e spesso prevedono – come in questo caso – anche la presenza di video d’animazione creati in tempo reale da un artista visivo. Diversamente dagli autori di cui si è scritto prima, che non sono musicisti e compositori nell’accezione comune di questi termini (e infatti essi stessi non si definiscono tali), Subotnick è un musicista e insieme ai più noti Cage, Riley e Reich fa parte di quella galassia di musicisti che hanno dato alla musica americana traiettorie eccentriche rispetto alle avanguardie musicali europee. Dunque, As I live and Breathe può essere ascoltato come una creazione musicale realizzata da un umano e non come un seguito di effetti puramente acustici prodotti da una macchina.
As I live and Breathe si apre col suono del respiro di Subotnick, amplificato da un microfono e intervallato da lungi silenzi. Un po’ per volta il breve suono del respiro trasformate elettronicamente si sviluppa in lunghe frasi, inizialmente semplici e ancora vicine al suono del respiro poi progressivamente più complesse e mosse, dando origine a suoni di altezza, timbro e ritmo diversi. Alla fine, come scrive Subotnick stesso, “si sente d nuovo il suono originale del mio respiro, che poi, come una farfalla che emerge dalla sua crisalide, viene trasformato in ritmi e melodie che terminano di nuovo con una singola, tranquilla espirazione. Considero As I Live and Breathe una metafora musica della mia intera vita, nella musica”. Effettivamente si riconoscono nella sua composizioni delle idee che configurano uno sviluppo del materiale musicale di partenza e vi si avverte perfino un contenuto espressivo, un significato poetico. A tener desta l’attenzione dell’ascoltatore per i quarantacinque minuti della sua durata contribuiscono le immagini create dal vivo col computer da Lillevan, non particolarmente originali ma piacevoli.
Ho assistito solo ad un quinto dei quindici giorni del festival, ma non credo che questa mia deludente esperienza sarebbe stata arricchita se avessi ascoltato altri lavori, come Music for surrogate performer, definita “performance sonora post umana”, che abbina materiale biologico e circuiti elettronici. Sembrerebbe un nuovo esperimento del Dottor Frankenstein… Il catalogo della Biennale spiega che si tratta di un “cervello” staccato dal corpo umano e costituito da reti neurali organiche viventi coltivate su una piastra Petri, che controllano in tempo reale una serie di sintetizzatori modulari realizzati appositamente per lavorare in sinergia col materiale biologico in evoluzione. In tal modo s’intende dare il via “a un nuovo filone nell’ambito della performance e della produzione sonora”. Spero vivamente che ciò non avvenga. Mi rendo conto che in tal modo vengo meno a un mio principio, cioè che si deve sempre avere fiducia nell’artista, ma è difficile trovare una sia pur lontana parentela di tali performance sonore con l’arte in generale e con la musica in particolare.