Vincenzo Bellini (1801–1835)
I Capuleti e i Montecchi (1830)
Tragedia lirica in due atti
Libretto di Felice Romani,  tratto dalla Novella IX di Matteo Bandello (1554) e dalla pièce omonima di Luigi Scevola (1818)
Rappresentata in prima assoluta al Teatro La Fenice di Venezia, l'11 marzo 1830,
Edizione critica a cura di C. Toscani ; Casa Ricordi, Milano

Direttrice              Speranza Scappucci
Regia                      Adrian Noble
Scene                        Tobias Hoheisel
Costumi                    Petra Reinhardt
Luci                           Jean Kalman e Marco Filibeck
Coreografia             Joanne Pearce
Maestro d'armi      Mauro Plebani
Maestro del coro    Alberto Malazzi

Capellio                 Jongmin Park
Giulietta                Lisette Oropesa
Romeo                  Marianne Crebassa
Tebaldo                 Jinxu Xiahou
Lorenzo                 Michele Pertusi

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala

Nuova produzione del Teatro alla Scala

Milano, Teatro alla Scala, domenica 23 gennaio 2022, Ore 14.30

A distanza di trentacinque anni dall’ultima edizione, I Capuleti e i Montecchi torna al Teatro alla Scala con uno spettacolo che rende omaggio a Bellini nel migliore dei modi.
Nel quadro di uno spettacolo sobrio ed elegante, che prende vita grazie alla regia di Adrian Noble attenta a ogni dettaglio, Marianne Crebassa e Lisette Oropesa sono un Romeo ed una Giulietta quanto mai credibili sotto tutti i punti di vista.
Una vera lezione di teatro, ottimamente sostenuta dalla vibrante direzione di Speranza Scappucci, prima italiana a salire sul podio del Piermarini per una serata d’opera.

“Un giorno si trovarono insieme due buoni amici, un poeta e un maestro di musica, i quali concordemente divisarono di accomodare ai bisogni del gran teatro di Venezia un melodramma intitolato Giulietta e Romeo, già scritto dal poeta medesimo e vestito di note da Nicola Vaccai.[…] Un altro bel giorno si trovarono insieme altri due buoni amici, la Malibran e il Capriccio, ai quali venne il ticchio di rifare il lavoro di quel poeta e di raffazzonarlo in modo che più non si avesse a ravvisare. […] e finalmente il Capriccio e la Malibran manipolavano insieme, manipolavano manipolavano, di maniera che da cotesti suggerimenti, da coteste proposte, da coteste manipolazioni ne venne imbandito un manicaretto, un intingolo, un cibreo che fu meraviglia a vedersi.[…]

Ah ! se tu dormi, svegliati una volta, o buon senso italiano, e non permettere più di essere raggirato in tal guisa dalla bizzarria dei virtuosi ! svegliati, se tu dormi, o giustizia del pubblico, e non soffrire che vengano così travisate, mutilate, guastate, le più bell’opere dei nostri ingegni ! Svegliati se tu dormi, o verecondia, e grida ai cantanti essere omai tempo che il teatro musicale non sia più deturpato dalle loro stranezze, dai loro pasticci, dalle ridicole loro convenienze ! svegliati, o ragione, svegliati, o criterio, svegliati, o gusto, amor del vero, desiderio del bello, risvegliati![…] R.”
(Felice Romani, da Gazzetta Piemontese n.12 del 18 gennaio 1836)

Bellini scrisse la musica de I Capuleti e i Montecchi nel 1830, esattamente al centro del percorso operistico che lo portò da Adelson e Salvini((Napoli, 1825)) a I Puritani((Parigi, 1835)). Andata in scena alla Fenice di Venezia, l’opera riscontrò un notevole successo ma poco a poco, anche sotto la mannaia del malcostume teatrale((godibilissima la recensione del poeta stesso, Felice Romani, che da par suo ne schizza la vicenda in un articolo relativo a una recita torinese, citato in apertura)) e schiacciata da più ingombranti sorelle, fini per vedersi cucita addosso la scomoda etichetta di maggiore tra le opere minori.
Etichetta che, se appariva immeritata all’epoca, sarebbe ormai tempo di confutare oggi.
Non abbiamo reso omaggio a Bellini in maniera dovuta : la Rossini Renaissance ha ripulito le opere del pesarese da secolari incrostazioni e sviamenti che sfiguravano tanti capolavori ma, soprattutto, ci ha lasciato in dono un apparato critico compiuto che, volenti o nolenti, ha obbligato gli artisti a cimentarsi col gusto esecutivo ottocentesco, per di più sostenuti da consapevole tecnica vocale.
Egual fortuna non è toccata al momento in sorte al catanese, per il quale inquadramento e interpretazione sono sostenuti da una consapevolezza stilistica che troppo spesso non va oltre un generico concetto di belcanto.
Occorre riconoscere che, non toccati dalle certezze delle consorelle, I Capuleti suonano come una grande opera di passaggio in cui Bellini sperimenta più che in altre occasioni. Tra alti (molti) e bassi (pochi), riesce a far apparire ancora credibili luoghi ormai abusati e superati, donando per esempio vita a un Romeo en travesti nei momenti migliori intriso di malinconica cantabilità, ma pure a cercare strade nuove nelle scene d’assieme, nei duetti, in un finale in cui gli intrecci tra linee vocali e orchestrali raggiungono esiti paragonabili alle famose melodie lunghe lunghe…altro che chiusura con acuti da follia !
Con buona pace del Capriccio nominato da Romani che tra tagli, cambi di registro e sostituzioni di scene intere ha sfigurato il capolavoro financo alle soglie degli anni settanta.
Maggior valore acquista ancor più, dunque, l’esito di questa produzione scaligera di un’opera mai troppo presente a Milano((l’ultima volta al Piermarini nel 1987 per la direzione di Riccardo Muti)) che governata dall’eleganza e dal rigore musicale ci lascerà il ricordo di uno spettacolo riuscito sotto tutti gli aspetti e che, come tale, ha ricevuto unanime caloroso consenso di pubblico.

I Capuleti sono, nell’essenza, un’opera d’ambito medievalistico e dal carattere intimo((cfr. il saggio di Carlo Majer nell’annuario del Teatro Regio di Torino per la Stagione d’Opera 1993–94)), caratteristiche che sin dall’inizio non ritroviamo nelle scene ideate da Tobias Hoheisel. L’impianto s’ispira al razionalismo novecentesco, non vi è traccia di vera intimità persino nel finale. Ma lo spettacolo prende quota a poco a poco dal levarsi del sipario : le splendide luci di Jean Kalman e Marco Filibeck e la regia di Adrian Noble ci prendono per mano e ci trascinano nella vicenda di questi due giovani tormentati e introversi, nostri contemporanei, messi in piazza con crudeltà insensibile ai loro sentimenti.

Romeo fronteggia Tebaldo nel primo atto (Marianne Crebassa, Jinxu Xiahou)

Non hanno un momento di vera e felice intimità, per sempre immersi nel sinistro grigiore che li circonda e cui, inevitabilmente, non riusciranno a regalare i colori dell’arcobaleno. In questi spazi, cui le luci donano rilievo e psicologia, i protagonisti interagiscono guidati da una regia mossa da maniacale perfezione in ogni gesto, ogni momento è una tessera importante in questo malinconico mosaico.

Il duetto del primo atto è finito, la stanza di Giulietta sulla coda orchestrale è trascinata nella penombra verso il fondo della scena : quanta amarezza ci stringe il cuore alla vista di Giulietta che si avventa isterica con foga contro la veste nuziale che aveva appena provato.

L’emozione dell’incontro : Giulietta e Romeo sotto lo sguardo vigile di Lorenzo (Lisette Oropesa, Marianne Crebassa, Michele Pertusi)

Non ci sono gesti o oggetti superflui nella regia di Noble. Surreali torte dal sapore disneyano del finale del primo atto hanno il loro contraltare in improbabili vistose ghirlande bianche in quello del secondo, emblemi di una follia incomprensibile che si abbatte su due adolescenti malati d’amore.
In scena non serve molto altro, soprattutto quando la distribuzione vede schierate due formidabili primedonne che hanno carisma da vendere.

Il mezzosoprano Marianne Crebassa ha voce anfibia venata di malinconia, che alla distanza suona perfetta per Romeo. Superate con onore le difficoltà della sua cavatina, quando il peso del modello rossiniano la costringono ad agilità di forza che non riescono sfrontate, acuti appena sfiorati e gravi evanescenti, ci aspettano momenti uno più convincente dell’altro. Quanta emozione nel duetto successivo, con il pubblico che si scioglie per l’Andante un poco sostenuto Ah ! Crudel, d’onor ragioni. La fusione con la voce della sua Giulietta, l’altrettanto splendida Lisette Oropesa, è totale e sarebbe difficile immaginare due timbri meglio assortiti per quest’opera, anche a guardare la discografia precedente.

Giulietta e Romeo nel primo atto dell’opera (Lisette Oropesa, Marianne Crebassa)

Se vi fosse un oscar della lirica per la miglior coppia vincerebbero a mani basse per musicalità e interpretazione, con un duetto del primo atto da vietato ai minori all’altezza dei momenti “caldi” delle Nozze di Figaro.
Una Giulietta che già dall’aria di entrata non bamboleggia, dal canto immacolato ma non freddo, che è una donna adulta e consapevole alle prese con il proprio destino.

Giulietta nel primo atto dell’opera (Lisette Oropesa)

Il soprano americano non forza mai e l’emissione è omogenea in tutta la gamma, lei impreziosisce con una consapevolezza stilistica che la spinge a variazioni assai appropriate, che ricevono il giusto riconoscimento dopo l’Andante del secondo atto Ah ! Non poss’io partire priva del tuo perdono… che il pubblico si beve tutto d’un fiato in un silenzio sospeso.
Pienamente riuscita e all’altezza di una produzione così rilevante è la direzione d’orchestra di Speranza Scappucci, prima italiana a dirigere un’opera alla Scala.
La direttrice inizia in maniera decisa e brillante, ma la vigorosità dei suoni non va mai a scapito della precisione e della tenuta ritmica. Cerca costantemente il rapporto con il palcoscenico, sostenendo le voci e indugiando con mestiere nei momenti canonici.
E’ palpabile la sintonia che riesce ad instaurare con i complessi del Teatro e da essi viene ripagata con una prestazione tra le migliori che sia dato ricordare degli ultimi anni per la qualità del suono, in particolare dei fiati.

Detto della pregevole prova del tenore Jinxu Xiahou che affronta il ruolo di Tebaldo meritando elogi per dizione perfetta, voce di bel colore ed espressiva pur se leggera e di volume non enorme, occorre rammentare la prova di Michele Pertusi nel ruolo di Lorenzo. Chi scrive lo ascoltò in questo ruolo nel novembre del 1993 : che la voce risulti più asciutta, meno morbida e l’acuto più faticoso di allora è persino banale dire. Che l’accento, la linea vocale, la maestosità della figura siano ancora oggi esemplari è l’ennesima conferma della sua intelligenza d’Artista ed eccezionale carriera.

Romeo e Giulietta nel finale dell’opera (Marianne Crebassa, Lisette Oropesa)

Al termine dello spettacolo prolungati applausi per tutti gli interpreti, particolarmente intensi per Oropesa, Crebassa e Scapucci.

Applausi finali per tutta la compagnia
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Paolo Malaspina
Paolo Malaspina, nato ad Asti nel 1974, inizia a frequentare il mondo dell’opera nel 1989. Studia privatamente canto lirico e storia della musica parallelamente agli studi in ingegneria chimica, materia nella quale si laurea a pieni voti nel 1999 presso il Politecnico di Torino con una tesi realizzata in collaborazione con Ecole Nationale Supérieure de Chimie de Toulouse. Ambito di interesse musicale : musica lirica e sinfonica dell’ottocento e novecento, con particolare attenzione alla storia della tecnica vocale e dell'interpretazione dell'opera lirica italiana e tedesca dell'800.

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