Sara Zurletti ricorda Paolo isotta, mancato pochi giorni fa.

Noi di Wanderer non abbiamo mai condiviso le opinioni di Paolo Isotta, soprattutto per alcune sue critiche scaligere, ma non solo. È per questo motivo, e perché Wanderer si oppone risolutamente ad ogni settarismo – l'epoca ne trabocca e noi non ne possiamo più – che abbiamo aperto volentieri il nostro sito a questo omaggio non sempre "politicamente corretto", il che non ci dispiace.
Guy Cherqui

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È improvvisamente mancato a Napoli Paolo Isotta : musicologo, critico musicale, scrittore. Attualmente scriveva sul Fatto quotidiano, dopo quarant'anni passati al Giornale e al Corriere della sera come critico musicale. Se ne va con lui una voce fondamentale, che lascia dietro di sé una scia di libri splendidi e personalissimi.

Con Paolo Isotta, che ci ha lasciato il 12 febbraio a settant'anni, non scompare solo un sommo musicologo, un critico musicale acutissimo e un grande scrittore. Viene a mancare una figura unica di maestro, dall'erudizione sterminata ma viva di umori e passioni, assunti anche provocatoriamente come il proprio inconfondibile sigillo. Se ne va un tipo antico di studioso in cui la vita fa tutt'uno con l'arte, identificandosi con quella e lasciandosene determinare fino al sacrificio di sé : un tipo di cui, temiamo, si è perduto lo stampo. Non nasceranno altri Paolo Isotta, perché non ci sono più le condizioni culturali per una simile passione, dedizione maniacale, immersione nello studio, capacità di oblio del mondo e persino desiderio di ascesi attraverso il sapere, che lo contraddistinguevano, per chi abbia letto i suoi libri, in maniera inconfondibile. Anche se ci sono molti altri aspetti della sua personalità che bisognerebbe ricordare e che si affollano oggi alla memoria di chi gli è stato amico, svetta su tutti il suo amore per la sapienza, il thesaurus contenuto nei libri e nell'arte, al quale tutto il resto – per quanto importante e vissuto con adesione e trasporto – appare subordinato. Paolo Isotta è stato un impareggiabile studioso, che ha guardato la vita sempre attraverso i libri, filtrando la sua intensa esperienza biografica attraverso la griglia tanto adamantina quanto affilata che la sua superiore cultura gli ha messo a disposizione. I suoi giudizi – quelli caldi di entusiasmo e quelli gelidi di disprezzo – rimarranno memorabili : non ne dimenticheremo nemmeno uno perché, al netto della sua passionalità e dei suoi umori selvaggi, sono quasi sempre scolpiti nel marmo. Resterà proverbiale la sua inclinazione, coltivata con cura, verso l'«insulto ». Ma, come direbbe Nietzsche, « basta che qualcuno mi faccia una cattiveria e io non mancherò di “retribuirlo”… Vedete, non vorrei che si sottovalutasse la villania, che è di gran lunga la forma più umana della contraddizione e una delle prime virtù per noi che viviamo fra i moderni, così rammolliti ». Chi ha avuto la ventura di fare una cattiveria a Isotta, che tutto era tranne che “rammollito”, è stato ricompensato da una capacità d'odio che, anche questa, non ha eguali.

Si era però dovuto molto allenare : la sua spettacolare ascesa nell'intellettualità italiana come enfant prodige della musicologia e della critica musicale aveva suscitato molta invidia. Isotta è stato il critico musicale fuoriclasse del Corriere della sera : i suoi amplissimi articoli sono una lezione di musicologia e di critica che il Corriere non ha saputo adeguatamente valorizzare, visto che Isotta ha dovuto abbandonare il giornale di via Solferino per proseguire la sua attività di pubblicista sul Fatto quotidiano e poi, più recentemente, sul Foglio. A questo proposito, rivolgiamo qui un appello alla casa editrice per la quale ultimamente ha pubblicato, la Marsilio di Venezia, perché faccia un regalo al mondo della musica italiana raccogliendo in volume gli articoli di critica musicale pubblicati sul Corriere. Del periodo al Corriere rimarranno leggendari gli scontri con l'ambiente milanese : Isotta racconta nella Virtù dell'elefante (Marsilio,  2014) della raccolta di firme contro di lui promossa dall'ambiente culturale milanese, che gravitava negli anni Ottanta intorno al Partito comunista italiano. Con le sue critiche indifferenti ai meriti politici di una robusta corrente della musica italiana – compositori, interpreti, direttori, critici, direttori artistici, tutti fiduciosi che una retta pratica musicale avrebbe propiziato la presa del potere del proletariato –, aveva osato mettere in discussione gli intoccabili : la terna Nono, Abbado, Pollini. La reazione da parte dell'ambiente milanese era stata violentissima, culminando con un tentativo di estrometterlo dal giornale attraverso una raccolta di firme. Fa parte ormai della sua leggenda anche lo scontro più recente con il Sovrintendente della Scala Stéphane Lissner, che a seguito di una critica su Daniel Harding lo aveva dichiarato “persona non gradita”, privandolo del biglietto omaggio per il Teatro. Il fatto è che Paolo Isotta era una figura scomoda e assolutamente non manovrabile in un ambiente dove molti, come lui stesso scriveva citando Flaubert, « pagherebbero per vendersi » e sostengono scrupolosamente solo quello che conviene sostenere. Non era per lui, che si sarebbe dannato per una battuta, magari in lingua napoletana.

Quando era già lanciato come critico musicale, Isotta pubblica il suo secondo libro (il primo è I gioielli della corona, sul Rossini serio): Il ventriloquo di Dio. Thomas Mann : la musica nell'opera letteraria, Rizzoli 1983. Questo libro, scritto a soli trentatré anni, è il più importante studio mai dedicato a Thomas Mann a livello internazionale : più acuto, più profondo e penetrante anche dei celebri saggi su Mann di György Lukács e di Hans Meyer – non parliamo di quello che si produce su Mann oggi in Italia e perfino in Germania. Sarebbe fondamentale ristampare questo libro, visto che la sua difficile reperibilità è la scusa per la germanistica italiana e straniera per ignorarlo, dimostrando un ritardo esegetico di quarant'anni su quello che Isotta aveva capito, e descritto in modo impareggiabile, nella sua monografia giovanile.

Dopo il Ventriloquo, accolto con prevedibile ostilità dal mondo musicale italiano – ricambiata da Isotta con nicciana “villania” –, c'è stato un silenzio durato quasi trent'anni : Isotta sapeva cosa aveva scritto, e crediamo che abbia molto sofferto della clamorosa sottovalutazione del Ventriloquo di Dio. La sorpresa arriva nel 2014, quando pubblica La virtù dell'elefante, un lavoro inclassificabile che sta tra l'autobiografia e il saggio di cultura comparata. Il successo è clamoroso e meritatissimo. Nanni Delbecchi ha scritto sul Fatto che questo libro è il capolavoro di Isotta e forse lo è, se non altro dal punto di vista del taglio assolutamente personale e della capacità di ricostruire con una incredibile ricchezza di dettagli un mondo musicale quasi dimenticato : compositori, esecutori e direttori d'orchestra già quasi caduti nell'oblio ricevono, grazie a Isotta, la consacrazione che meritano. La virtù dell'elefante ha infatti ridisegnato il panorama della storia della musica italiana, riconoscendo valori disconosciuti e ridando una profondità tridimensionale a quello che, sui manuali e nella vulgata musicologica, è appiattito in un'ortodossia – l'avanguardismo di sinistra – contrapposta all'eresia di quanto è accaduto fuori da quel solco, meritevole in quanto tale di una strisciante damnatio memoriae. Il libro successivo, Altri canti di Marte (dove “altri” è un sostantivo e “canti” è un'esortazione, visto che il verso di Gianbattista Marino, poeta barocco napoletano, prosegue “io canto d'amore”), è appunto più centrato sugli amori musicali, pittorici, cinematografici, culturali di Isotta. Crediamo che nessun altro avrà mai più una conoscenza paragonabile alla sua della cultura barocca in tutte le sue manifestazioni ; soprattutto, si capisce, del barocco napoletano che rende la città partenopea, nel primo Settecento, una delle capitali culturali del mondo. Indimenticabili qui, perché indicano un metodo preciso fondato su una memoria, appunto, “da elefante”, sono le classifiche di Isotta : una per tutte, quella delle più belle Vesperae, in cui Isotta fa la dettagliata descrizione dei Vespri più belli della storia della musica, e Antonio Caldara riporta la meritata palma.

Un altro capitolo imperdibile di questo libro è quello sui compositori italiani, nel solco della trasmutazione di valori già tracciata nel precedente. Isotta ha dedicato al nostro Novecento, negletto e sottovalutato perché spesso, innegabilmente, compromesso con il Fascismo, un apostolato fervido e instancabile : Alfano e Marinuzzi, sopra tutti, ma anche Casella, Respighi, Gnecchi, Rota, Mulè e altri, conosciuti nel dettaglio delle rispettive produzioni, sono colti da Isotta nella loro grandezza musicale e restituiti al posto che meritano nella storia. Gino Marinuzzi, per esempio, ignorato per troppo tempo dai cartelloni sinfonici e teatrali italiani, è un compositore del tutto degno di quanto circolava nei suoi stessi anni in Europa, e se le sue opere sinfoniche e sceniche torneranno a circolare il merito sarà di Paolo Isotta, che si è speso per questo e ha regalato al compositore palermitano un'esegesi di rara congenialità.

Ad Altri canti di Marte ha fatto seguito, con impressionante cadenza annuale – un ritmo produttivo che lascerebbe stupefatti se non si considerasse che Isotta, come il suo grande amore Richard Wagner, aveva tutte le opere già in testa : formate e, si potrebbe dire, armate come Minerva –, Il canto degli animali. I nostri fratelli e i loro sentimenti in musica e in poesia (Marsilio 2017). La storia della musica viene percorsa e arata, questa volta, dal punto di vista degli animali protagonisti delle opere e dei lavori sinfonici. Il libro culmina con un'analisi finissima della Piccola volpe astuta di Janácek, dove l’eroina dell'opera slava viene accostata in un dialogo ideale e pieno di poesia alla Volpe del Piccolo Principe di Saint-Exupéry, forse il più bel personaggio di un libro dove tutto è toccato dalla grazia. « Si vede bene solo col cuore », c'è scritto nel libro citando Saint-Exupéry, ed è questo forse il segreto dei cinque splendidi libri pubblicati con la Marsilio : lo sguardo innamorato di chi trasmette una passione prima che un'informazione. Era grande l'amore di Isotta per gli animali, ma non solo per questi : da devoto al testo sacro della mistica panteistica che è il De rerum natura di Lucrezio, Isotta aveva verso tutta la natura, compreso il mondo vegetale e minerale, la disposizione di chi vede in ogni sua manifestazione  per quanto piccola, l'opera di un dio pagano – o forse anche cristiano – che si effonde ovunque e così tiene unito il tutto. Per Isotta anche gli alberi hanno un'anima : aveva battezzato il suo ulivo “Catilina”, in onore del tribuno diffamato nei secoli da quell'“opportunista” di Cicerone, e lo mostrava agli amici con orgoglio.

La dotta lira. Ovidio e la musica arriva nel 2018. Con questo libro culmina l'amore di Isotta per la cultura latina – un amore tale da spingerlo a rifare su una barca, in compagnia del pianista Francesco Libetta, il tragitto di una delle battaglie navali della prima guerra punica – e insieme si precisa il debito della storia del teatro musicale verso le Metamorfosi ovidiane, un serbatoio inesauribile di miti che alimenta l'intera storia della musica sotto forma di principio metamorfico, un dato tanto profondo che parrebbe coincidere con l'essenza stessa del musicale. Anche qui, l'erudizione di Isotta è abbagliante e il pellegrinaggio nelle metamorfosi di tanti personaggi dell'opera e del repertorio sinfonico – memorabile l'analisi della Daphne di Strauss – prende l'aspetto di un viaggio da iniziati nel quale, prova dopo prova, veniamo ammessi al cuore stesso della creazione musicale. Impressionante anche l'ultimo libro, dedicato al Verdi “francese” (Verdi a Parigi, Marsilio 2020). Quello della tangenza del melodramma verdiano con il genere del grand-opéra è in un certo senso un pretesto, perché questo libro costituisce in realtà un ripensamento globale del nostro maggior compositore operistico che dalle partiture, scandagliate anche nei loro problemi filologici, rivolge lo sguardo soprattutto all'“estetica” di Verdi, ricostruita e analizzata da Isotta con un'instancabile capacità di chinarsi sulla pagina e interrogarla.

Questa storia di studi e di battaglie, di amori travolgenti e di leggendari risentimenti – lunga perché Isotta ha cominciato molto presto, ma breve perché purtroppo finita prematuramente – Isotta l'ha percorsa e ce l'ha fatta percorrere in compagnia del suo meraviglioso italiano, il suo dono più prezioso, quasi il suo cavallo alato. L'italiano di Isotta non è un semplice mezzo per esprimersi : è una vera attrazione, una lingua ricca e strana modellata sul latino, con un ventaglio lessicale di ampiezza inarrivabile e una forza d'espressione che deriva dall'insolita disposizione delle frasi, che tendono fortissimamente a chiudersi su sé stesse sotto la forza centripeta di una sintassi renforcé. Il suo italiano è il suo più autentico sigillo, quello che rende la lettura dei testi di Isotta un'esperienza elettrizzante in senso anche letterario : come è stato scritto giustamente in questi giorni, Isotta sarà ricordato come uno dei maggiori prosatori italiani del secolo.

Per tutto questo, e per molto altro che non siamo riusciti a dire, la scomparsa prematura di Paolo Isotta costituisce per la cultura e per la musica italiana una perdita irreparabile : lo è per chi l'ha conosciuto e ha avuto il privilegio della sua amicizia, e per chi godrà semplicemente il legato della sua cultura, il frutto del suo lavoro. Da questo momento la musica non solo sarà più povera, ma soprattutto sarà più indifesa : se n'è andato infatti un punto di riferimento assoluto al quale ci si rivolgeva per stabilire, o per ristabilire, la verità sugli argomenti più disparati, un intellettuale eccelso capace di una parola chiarificatrice su tutto, un maestro capace di difendere a ogni costo la conoscenza e la profondità culturale contro la banalizzazione e il falso. La musica, con Isotta, ha perso il suo guardiano. Prendendo in prestito le parole di Nietzsche, vorremmo ricordarlo come un “genio del cuore”, che insegna alla mano maldestra e precipitosa l'indugio e una maggiore delicatezza nell'afferrare : che sa divinare il tesoro occulto e obliato, la goccia di bontà e di dolce spiritualità sotto un ghiaccio torbido e spesso, ed è una bacchetta magica per ogni granello d'oro, che a lungo sia restato sepolto nel carcere di molto fango, e sabbia ; il genio del cuore, dal cui tocco ognuno si diparte più ricco, non graziato e stupito, non beneficato e oppresso come da un bene estraneo, sibbene più ricco di sé, più nuovo che per l'innanzi, dissigillato, alitato e spiato da un vento australe, forse più insicuro, più delicato, più fragile, più infranto, ma colmo di speranze che non hanno ancora un nome, colmo di un volere e di un fluire nuovo, colmo di una nuova riluttanza e di un nuovo riflusso…”.

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Sara Zurletti
Sara Zurletti si è diplomata in violino e laureata a Roma in Lettere con tesi in Estetica. Ha poi conseguito un dottorato di ricerca all'Università Paris 8. Ha insegnato nella stessa università "Teoria dell'interpretazione musicale" e poi, dal 2004 al 2010, Estetica musicale all'Università Suor Orsola Benincasa di Napoli e Pedagogia musicale all'Università di Salerno. Ha pubblicato "Il concetto di materiale musicale in Th. W. Adorno" (Il Mulino, 2006), "Le dodici note del diavolo. Ideologia, struttura e musica nel Doctor Faustus di Th. Mann" (Biblipolis 2011), "Amore luminoso, ridente morte. Il mito di Tristano nella Morte a Venezia di Th. Mann" (Castelvecchi), e il libro-intervista "Ars Nova. ventuno compositori italiani di oggi raccontano la musica" (Castelvecchi 2017). Attualmente insegna Storia della musica al Conservatorio "F. Cilea" di Reggio Calabria.

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8 Commentaires

  1. Ritratto magnifico ! Scritto benissimo, e ben degno del grande musicologo, purtroppo scomparso. Complimenti sinceri e calorosi a Sara Zurletti !

    • Non condivido i panegirici che in molte sedi sono stati scritti su Paolo Isotta. Lo conoscevo bene , come collega, e non ho mai corrisposto alla sua stima. Presuntuoso, trasformista ideologico, mediocremente competente, per nulla empatico, arido,ignaro di etica e di deontologia, possessore di una cultura basata su una memoria computerizzata, ma non profonda né sentita, non capiva nulla dello spirito delle opere che commentava. È stato molto odiato perché odiava, non perché fosse martire di ideologie. Semplicemente voleva sempre "cantare fuori del coro", a torto o a ragione. Bravissimo attore, manipolatore, per nulla coraggioso, anche se se ne dava l'aria (fece coming out solo quando venne di moda, prima se ne guardava bene!).
      Peccato, un potenziale l"aveva, professionale per lo meno, umano non so, ma purtroppo è stato capace soltanto di sciupare e rovinare la sua vita. Forse di sentiva un "poeta maledetto"! Forse lo ha danneggiato la sua sconsiderata ambizione, forse aveva altri problemi, chissà.
      Certo però un personaggio non diventa santo solo perché è morto. Poiché , non avendo mai accettato la sua amicizia, mi sento, per dirla col Manzoni, "vergin di servo encomio e di codardo oltraggio ", posso solo augurargli di riposare in pace e sperare che, se esiste, "il Dio che atterra e suscita, che affanna e che consola" lo giudichi in maniera più misericordiosa di me e gli conceda quella luce che in vita non ha mai conosciuto.

  2. Moderazione o censura ? Il mio commento è anche troppo moderato, certo non improntato al servilismo di tanti che lo odiavano quando era in vita (e che lui disprezzava), e che ora si profondono in lodi sperticate, banali e piene di frasi fatte. Purtroppo lui non può replicare, altrimenti le avrebbe disprezzate.

  3. Sono fiera di assumermi la responsabilità di quanto affermo e di rendere testimonianza alla verità. Isotta lo avrebbe apprezzato. Aveva la capacità di riconoscere i suoi errori e le sue manchevolezze. Per questo sono contenta di manifestare ora quell'amicizia che mi ha sempre chiesto in vita (le nostre mail documentano). Forse nella mia amicizia cercava quella guida, severa e sincera ma animata da benevolenza, e sicuramente disinteressata, che così raramente trovava intorno a sé , in un mondo fatto spesso di avversari invidiosi e di adulatori. Diceva che gli ricordavo sua madre, che si chiamava come me, e spesso nelle nostre discussioni mi riconosceva la ragione. Per questo il mio commento è severo, ma affettuoso. Spesso mi chiedeva il mio parere sui suoi scritti, e quando era positivo insisteva : "Davvero ? Davvero?" Forse cercava sincerità, aiuto e non adulazione. Per questo il mio commento va inteso nel verso giusto e va compreso il mio dispiacere per una persona sicuramente di talento, ma fondamentalmente sola, e che, come tutti, cercava la felicità senza trovarla. Forse la cercava in un modo un po' troppo provocatorio ; era un grande affabulatore, ma aveva difficoltà nel relazionarsi in modo aperto con le persone. Spero che ora abbia trovato la felicità autentica che cercava e il mio commento in apparenza un po' aspro è in realtà un compianto, per quello che Isotta avrebbe potuto ancora fare e ottenere, in ambito professionale e umano. Forse era proprio un Wanderer, un uomo alla ricerca di un ideale che non trova e che sente in contrasto con la realtà. Dedico pertanto queste parole di compianto a lui, che le avrebbe capite, e alla memoria di sua madre, la Signora Giulia Isotta, che nella sua purtroppo breve vita ha trasmesso tutto il meglio che c'era in Paolo.

  4. Post scriptum : in risposta ad alla richiesta di alcuni chiarimenti che mi è stata fatta in privato, aggiungo qui qualche precisazione : la formazione di un critico musicale, ancorché abbia alcune esperienze esecutive, è fondamentalmente teorica ; il critico pertanto tende a paragonare singole esecuzioni concrete con l'esecuzione ideale che ha in mente. Chi è abituato a suonare sa che nelle partiture vi sono passaggi ai limiti dell'eseguibilità . Un critico, soprattutto se ipersensibile e perfezionista , può emettere pertanto giudizi molto taglienti, che forse una maggiore pratica esecutiva diretta potrebbe portare a mitigare. Ma qui si entrerebbe in un lungo discorso sulla funzione e sui limiti della critica musicale che porterebbe troppo lontano.
    Per quanto riguarda l'"incomprensione" di alcune opere musicali, può essere opportuno chiarire che Isotta ne dava una lettura molto acculturata, ma anche legata alla preoccupazione di salvaguardare l'"oggettività " musicologica e di evitare gli eccessi di psicologismo, praticando una sorta di "autocensura".
    Come era riservato riguardo al proprio mondo interiore, così era timoroso di cadere nell'"umano, troppo umano" nel commentare un'opera, lasciando a volte cadere intuizioni geniali, meritevoli di approfondimento. In definitiva, era una personalità molto più complessa e tormentata di quanto alcune sue affermazioni drastiche potrebbero far supporre, una personalità dominata dal forte desiderio di "celare" la parte più profonda di sé. In fondo, era un grande post-romantico.

    • Penso che ora l'argomento sia chiuso e che Lei abbia avuto ampio spazio per dare la Sua opinione. Chiudo la discussione. Ogni ulteriore commento Suo non verrà pubblicato.
      Cordiali saluti
      Guy Cherqui
      Caporedattore

  5. Faccio le mie congratulazioni alla professoressa Zurletti per le sue parole su Paolo Isotta, e aderisco all'appello per la pubblicazione, presso l'editore Marsilio, delle recensioni pubblicate per oltre un trentennio sul Corriere della Sera.
    Isotta apparteneva ad un'associazione culturale, "Amici di Leonardo Sciascia", di cui ho l'onore di essere attualmente Vicepresidente, e ho reso brevemente omaggio alla Sua memoria in apertura di uno degli incontri promossi dall'Associazione, trasmesso venerdì scorso in diretta su Radio Radicale.

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