Leonardo Vinci, calabrese e napoletano di adozione, tra il gennaio e il febbraio 1726 trionfava a Roma con La Didone abbandonata e a Venezia con Siroe re di Persia, entrambi su libretto di Metastasio che per Vinci scrisse tutti i suoi primi libretti, creando un modello ideale di collaborazione che prefigura altre celebri coppie di musicisti e letterati.
La vicenda narra di Cosroe re di Persia e del figlio Siroe, vittime di intrighi di palazzo, tra tradimenti, ipotesi di parricidio e condanne a morte sino al lieto fine per cui Cosroe riconosce il figlio come suo legittimo successore.
L’opera fu rappresentata per la prima volta al Teatro San Giovanni Grisostomo a Venezia nel 1726, era stato radunato un cast di grandissimo prestigio coni più grandi cantanti dell’epoca Siroe era il Nicola Grimaldi detto il Cavalier Nicolino, il re Cosroe Giovanni Paita e Marianna Benti Bulgarelli la “Romanina” era Emira. Per la “Romanina” Vinci aveva già scritto Didone abbandonata rappresentata con grande successo a Roma nel gennaio dello stesso anno e con lei intratteneva una relazione amorosa consolidata. Nel 1726 il calabrese di formazione napoletana Leonardo Vinci era un musicista affermato con una carriera in grande ascesa, Vinci con le sue opere era diventato un beniamino del pubblico a Venezia dove i musicisti ‘napoletani’ non erano sempre benvoluti.
Il librettista Pietro Metastasio invece era un giovane di ventotto anni non ancora celebre ma all’inizio di un percorso che lo avrebbe portato a diventare il più importante poeta di musica del ‘700 e della intera storia dell’opera europea. Di lui Charles De Brosses, nel 1739, arrivato in Italia per poter ascoltare le opere composte sui libretti del poeta Trapassi, scriveva “Pour les tragédies en forme d’opéra, ils [les Italiens] ont un excellent auteur actuellement vivant, l’abbé Métastase, dont les pièces pleines d’esprit, de situations de coups de théâtre et d’intérêt, feroient sans doute un grand effet si on les jouoit en simples tragédies déclamées, laissant à part tout le petit appareil d’ariettes et d’opéra, qu’il seroit facile d’en retrancher”
Il libretto di Siroe re di Persia fu poi messo in musica da innumerevoli compositori da Porpora a Vivaldi, Händel e Galuppi, Piccinni, Traetta e Hasse fino al pieno ‘800.
Antonio Florio da trent’anni lavora ad un ambizioso progetto : rinnovare dal “Sud” la concezione della prassi esecutiva del repertorio della musica napoletana dei secoli XVII e XVIII con un lungo lavoro di ricerca e riscoperta musicologica, coadiuvato dal musicologo Dinko Fabris, e con la esecuzione di capolavori sconosciuti riproposti nei teatri e nelle sale più prestigiosi nel mondo e la produzione di oltre cinquanta cd. Per il Siroe Florio ha diretto con la consueta sapienza e padronanza della partitura elementi del Teatro di San Carlo e alcuni specialisti della sua Cappella Neapolitana, nata dopo lo scioglimento del suo storico gruppo la Cappella della Pietà dei Turchini. Molto bene le voci femminili che impersonavano anche ruoli en travesti : i due figli del sovrano di Persia Siroe il mezzosoprano Cristina Alunno, Medarse Leslie Visco, bravi i soprani Roberta Invernizzi come Emira e Daniela Salvo Laodice. Carlo Alemanno interpretava il tormentato sovrano Cosroe, la voce è imponente forse un po’ ridondante e con stile non proprio aderente alle rigorose voci delle interpreti femminili e del tenore Luca Cervoni che era Arasse il generale amico e sodale di Siroe
Una partitura lunga oltre tre ore, l’opera di Leonardo Vinci, con pagine di raffinata scrittura ed arie di grande suggestione su tutte quella affidata al re Cosroe “Gelido in ogni vena/scorrer mi sento il sangue…”.
Grande successo del pubblico attento che ha riempito la grande sala del San Carlo.