Andando a vedere Fra Diavolo di Auber, messo in scena al Teatro Massimo di Palermo, lo spettatore non può non avere negli occhi le sagome inconfondibili di Stanlio e Ollio (quest'ultimo con una meravigliosa zazzera corvina e bavero candido) che impersonano i due banditi Giacomo e Beppo, complici del primo, in un memorabile film degli anni Trenta. Nell'opera di Auber, tuttavia, le figure impersonate da Stanlio e Ollio sarebbero di secondo piano (ma fino a un certo punto : Fra Diavolo è un'opera essenzialmente corale), e infatti la trama deve essere rivista per dare ai due celebri attori la centralità adeguata e l'agio di potersi produrre negli irresistibili sketch che tutti conoscono.
Che Fra Diavolo abbia una prepotente vocazione alla cinematografia è peraltro un'intuizione immediata per chiunque : la trama ingarbugliata senza autentica tensione drammatica, il tipo picaresco dei protagonisti, un tocco di doppio esotismo – quello dell'Italia equivoca e mediterranea vista dalla Francia di Auber e Scribe (il geniale librettista dell'opera), e quello dei due eccentrici inglesi in viaggio visti dagli italiani di provincia -, un'ambientazione dove si fondono il mare e la macchia propizia ai banditi, e su tutto una levità di tocco che fa pensare appunto alle commedie degli anni Cinquanta. Ma forse è proprio l'“opéra-comique” in sé, genere al quale appartiene Fra Diavolo, a prestarsi al cinema : come se la pellicola fosse il naturale prolungamento per una drammaturgia che pare fatta di un'infinità di fotogrammi messi in sequenza, più interessata all'effetto prodotto delle immagini che sfilano velocissime (il ritmo drammaturgico di Fra Diavolo è al limite della frenesia) che all'effettivo contenuto di queste. In ogni modo, l'inespressa vocazione cinematografica di un'opera scritta quando il cinema ancora non esisteva (1830) viene recepita e tradotta in immagini d'animazione dal regista Giorgio Barberio Corsetti, che filtra l'ambientazione del testo originario, dove si prevederebbe una locanda nella laziale Terracina, situandola in una generica località di mare “anni Cinquanta o Sessanta” – un'idea che ha il pregio di far scattare una serie di memorie cinematografiche che vanno da Pane amore e fantasia alle innumerevoli commedie italiane dell'epoca, basate in fondo su tipi fissi come quelli di quest'opera : la coppia di ragazzi innamorati ostacolati da un padre indifferente alle ragioni del cuore, il bandito buono (che però è anche un po' cattivo), l'inglese svampito con una moglie vivace, i banditi pasticcioni. Il clima espressivo è talmente quello di una commedia italiana degli anni Cinquanta, che lo stesso Fra Diavolo, il quale almeno un po' di paura dovrebbe metterla, è molto più plausibile come seducente marchese (un travestimento adottato per introdursi nella locanda e derubare per la seconda volta gli inglesi) che come malvivente. Per questo risulta alquanto incongrua la decisione di Barberio Corsetti, alla fine, di far morire Fra Diavolo ucciso da un colpo di pistola dove il libretto, alla maniera di un vaudeville, prevede solo che il coro canti festosamente “Diavolo ! Diavolo ! Vittoria ! Sono caduti sotto i nostri colpi!”: un particolare che, nel sistema assiologico dell'opera, non può significare l'uccisione del bandito (un dettaglio che non provoca catarsi perché Fra Diavolo non ha fatto mai paura) ma solo il suo arresto, il trionfo del pittoresco “ordine costituito” italiano (una truppa rumorosa di carabinieri), e non l'affermazione drammatica del Bene sul Male – che in quanto tali non ci sono mai stati.
Bellissima, in compenso, tutta la parte scenica, realizzata da Barberio Corsetti con la collaborazione delle Officine K : i due grandi pannelli che rappresentano la locanda di mare con le varie stanze sono stati interamente realizzati con moduli di settanta cm per settanta, realizzati da una stampante 3D. L'intero palcoscenico – i due grandi moduli della locanda, ma anche lo sfondo e le quinte – viene trasformato dal regista in un cartone animato pieno di colori che racconta, commenta, inventa e strania la vicenda in un tripudio di invenzioni grafiche e di proiezioni che si fa apprezzare in sé. La bravura tecnica di Barberio Corsetti (qui anche scenografo insieme a Massimo Troncanetti) e degli autori dei video (Igor Renzetti, Lorenzo Bruno e Alessandra Solimene) è abbagliante e si spinge fino all'interazione tra proiezioni e protagonisti in carne e ossa, che viaggiano a bordo di macchine disegnate, affrontano il mare su barche proiettate sotto il loro balcone e interagiscono con i carabinieri, d'animazione e veri, onnipresenti come una specie di couleur locale.
Nell'esecuzione palermitana, si è deciso di mettere in scena l'opera – che in quanto “opéra-comique” prevederebbe dei dialoghi parlati – con altrettanti recitativi musicati, volgendo l'italiano di una precedente versione tutta cantata in una con recitativi accompagnati in francese. Il risultato funziona, e tutto si dipana in maniera apprezzabile : i recitativi si integrano infatti bene in un tessuto musicale colorato, abile, privo di autentica profondità ma dotato di una grazia tutta francese e dell'indispensabile ritmo da commedia.
Molta Sicilia nel cast, secondo una formula che negli ultimi anni, al Massimo, sta dando buoni risultati. Fra Diavolo è Antonino Siragusa, apprezzabile nelle due anime del bandito e del gentiluomo ; Marco Filippo Romano (Lord Cockburn) e Chiara Amarù (Lady Pamela) disegnano bene i loro ruoli brillanti ; Giorgio Misseri (Lorenzo) e Desirée Rancatore (Zerline) sono i due innamorati ostacolati (puntuale Giorgio Misseri ; spesso in difficoltà nei tanti acuti della parte, e con una voce molto appannata rispetto ad altre prove al Massimo, la Rancatore); perfetti nella parte di contorno dei due complici di Fra Diavolo Paolo Orecchia (Giacomo) e Giorgio Trucco (Beppo). Ottimo il direttore Jonathan Stockhammer. La musica di Auber non ha la consapevolezza metalinguistica e l'elegante nichilismo di Rossini (sebbene ne condivida a volte il vocabolario), ma contiene dei piccoli tesori nei brani di insieme : terzetti (specialmente), quartetti e quintetti si incaricano di sfumare le tinte dell'opera facendo virare continuamente il tono dalla pochade alla commedia sentimentale alla preghiera, rimescolando ancora le carte fino a presentarsi, a tratti, come un sofisticato e allegro esercizio di stile. Stockhammer ha condotto l'orchestra del Massimo – che ha avuto bisogno di dieci minuti buoni per accorgersi che lo spettacolo era iniziato – con energia e grande gusto, ricomponendo in un'unità persuasiva le diverse facce della drammaturgia auberiana. Splendidi i costumi di Francesco Esposito : i golfini delle signore abbottonati sul davanti e le gonne longuette a pieghe sono talmente sedimentati nella nostra memoria collettiva da far materializzare da soli, senza bisogno di diavolerie tecniche, la sagoma inconfondibile di Gina Lollobrigida che si rivolge sfrontata a Vittorio De Sica in divisa di carabiniere…