Giuseppe Verdi (1813–1901)
Nabucco (1842)

Opera in quattro parti
Libretto di Temistocle Solera

Orchestra del Teatro Coccia
In collaborazione con Conservatorio Guido Cantelli
Coro San Gregorio Magno

Direttore d’orchestra                      Gianna Fratta
Regia, scene, costumi e luci          Pier Luigi Pizzi
Coreografie                                       Francesco Marzola
Maestro del coro                             Mauro Rolfi

 

Nabucco                Enkhbat Amartuvshin
Ismaele                  Tatsuya Takahashi
Zaccaria                 Marko Mimica
Abigaille                 Rebeka Lokar
Fenena                    Sofia Janelidze
Abdallo                   Gjorgji Cuckovski
Anna                       Madina Karbeli
Gran Sacerdote di Belo
Daniele Cusari

Allestimento Rete lirica delle Marche –
Produzione Fondazione Teatro Coccia di Novara

 

 

Novara, Teatro Coccia, domenica 25 febbraio 2018.

Ennesimo spettacolo centrato per il Teatro Coccia di Novara. Con pochi elementi e una spoglia cornice scenica, Pier Luigi Pizzi concentra l’attenzione sui personaggi e firma uno spettacolo equilibrato ed elegante. Bella direzione d’orchestra di Gianna Fratta che guida un cast di giovani e promettenti voci straniere, padroni dei loro personaggi. Ottime prove del baritono Enkhbat Amartuvshin e del soprano Rebeka Lokar alle prese con i personaggi di Nabucco e Abigaille, accanto l’elegante Zaccaria del basso Marko Mimica.

“Strada facendo”, racconterà Verdi, “mi sentivo indosso una specie di malessere indefinibile, una tristezza somma, un’ambascia che mi gonfia il cuore. Rincasai e, con un gesto quasi violento, gettai il manoscritto sul tavolo. Il fascicolo cadendo sul tavolo stesso si era aperto ; senza saper come, i miei occhi fissano la pagina che stava innanzi a me, e mi si affaccia un verso :

Va, pensiero, sull’ali dorate.

Scorro i versi seguenti e ne ricevo una grande impressione, tanto più che erano quasi una parafrasi della Bibbia, nella cui lettura mi dilettavo sempre. Leggo un brano, ne leggo due : poi, fermo nel proposito di non scrivere, faccio forza a me stesso, chiudo il fascicolo e me ne vado a letto. […] Che fare ? […] un giorno un verso, un giorno l’altro, una nota alla volta, un’altra volta una frase, a poco a poco l’opera fu composta.” ((Giuseppe Verdi, F. Abbiati, Milano, 1959, vol.1, pag. 361 e sg.))

Entriamo in sala a sipario aperto e si avverte immediatamente la cifra dello spettacolo. Semplicità dell’elemento scenico : una pedana bianca lievemente inclinata, quinte laterali nere a formare un quadrato che chiude il fondo e cambierà colore durante l’opera, a sottolineare gli stati d’animo del momento. Bianco e freddo all’inizio, in sintonia con la sobria eleganza dei costumi del popolo ebraico. Poi via via rosso all’ingresso di Abigaille, verde per la sua grande scena e azzurro durante la preghiera di Zaccaria, grigio al concertato che chiude la seconda parte e alla ripresa della terza con il duetto tra Nabucco e Abigaille. Bello il contrasto tra l’idolo costituito dalle maschere babilonesi dorate (cadranno al suolo con la conversione di Nabucco) e il medesimo sfondo grigio per l’ultima parte dell’opera.

La preghiera di Fenena (Sofia Janelidze)

Pier Luigi Pizzi è un “grande vecchio” dell’opera italiana. Sia che si tratti di spettacoli sfarzosi sia che, come in questo caso, l’elemento scenico si riduca in tutto ad una Menorah e ad un trono regale, gestisce il movimento delle masse e dei solisti con maestria e finezza consumata. L’azione non è mai in contrasto con il testo e la recitazione dei singoli è classica ma non trascurata. Il mutare di costumi rende con finezza il percorso interiore di Abigaille, che diventa così l’unico personaggio degno di un vero scavo psicologico, efficace senza bisogno di gestualità eclatante.

In sintonia con l’impostazione registica è la direzione musicale di Gianna Fratta. Sin dalla sinfonia si coglie il buon lavoro fatto con l’orchestra, con gli interventi precisi degli ottoni e dei legni. Fratta rende con naturalezza i tanti cantabile e andante mosso dell’opera, staccati rapidamente sopra un tessuto orchestrale delicato come nel caso del “Va, pensiero” e della successiva profezia di Zaccaria.
La direzione è energica, talvolta più rapida dell’usato, ma mai bandistica, il rapporto con il palcoscenico curato in modo tale da non mettere in difficoltà i cantanti. Man mano che ci si addentra nell’opera, anzi, è netta la sensazione di un prezioso gioco di squadra tanta è l’omogeneità stilistica dell’insieme, la precisione nella resa delle parti vocali, e la perfetta dizione degli interpreti.

Zaccaria (Marko Mimica) esorta il popolo di Israele

Primo solista in ordine di apparizione, il basso Marko Mimica impersona un raffinato Zaccaria, elegante anche nella gestualità. Suo punto di forza è la costante ricerca di sfumature e la morbida emissione, almeno sino agli estremi acuti ove talvolta la voce mostra appoggio meno sicuro che nei centri. Assai musicale, impone sin dalla cavatina una vocalità precisa e attenta ai segni d’espressione, dalla voce non imponente ma autorevole.

Abigaille (Rebeka Lokar)

Alle prese con il personaggio di Abigaille, Rebeka Lokar conferma il buon esito della recente Turandot torinese. L’ingresso, con il recitativo che precede il terzettino, impone alla voce un saliscendi vocale non proprio agevole, che mette in luce l’assenza di peso nell’affondo dei gravi ma al tempo stesso la difficoltà nello sfogare la voce sui suoni più acuti, pur raggiunti senza fatica.
A poco a poco, però, esce l’interprete precisa, la potenzialità di un belcanto sostenuto da una vocalità magari più leggera di quella che si associa al ruolo ma ricco di colori, soprattutto attento alla mezza voce. Prende vita davanti a noi un personaggio dalle tante sfumature, conscio della trasformazione psicologica cui sta andando incontro, dalla furia iniziale sino al momento più emozionante della recita, il duetto con Nabucco della terza parte. Da risentire.

Già apprezzato nel recente Rigoletto al Carlo Felice di Genova, il giovane baritono mongolo Enkhbat Amartuvshin si conferma una delle giovani voci baritonali più interessanti di questi anni. Ha dalla sua un colore vocale omogeneo e pieno in tutta l’estensione, una voce sonora e di bel colore scuro, l’emissione tecnicamente sicura anche quando alleggerisce sugli estremi acuti. Buono il fraseggio se pur non troppo vario, supportato da un’ottima dizione, che nel corso dell’opera ha cercato di disegnare lo sviluppo psicologico del personaggio, dall’irruenza rancorosa dell’inizio, passando per l’affanno paterno per Fenena, sino alla conversione finale.

Nabucco (Enkhbat Amartuvshin) perde la ragione. Finale della seconda parte

Alle prese con i ruoli minori, hanno ben figurato per voce e presenza scenica la Fenena di Sofia Janelidze e l’Anna di Madina Karbeli, corretti gli altri interpreti.

Il finale dell’opera : Anna (Madina Karbeli), Fenena (Sofia Janelidze), Abigaille (Rebeka Lokar), Nabucco (Enkhbat Amartuvshin)

Di rilievo la prova dell’Orchestra del Teatro Coccia, validamente supportata da giovani del Conservatorio Cantelli, che ha seguito al meglio le intenzioni di Fratta con una sonorità pulita, compatta e sempre corretta in tutte le sezioni. Non altrettanto elevata, purtroppo, la qualità del Coro San Gregorio Magno, particolarmente a disagio per quanto riguarda la sezione maschile.

Applausi al termine dello spettacolo.

Al centro, Pier Luigi Pizzi e Gianna Fratta tra Abigaille (Rebeka Lokar) e Nabucco (Enkhbat Amartuvshin)

Al termine della seconda ed ultima rappresentazione del 25 febbraio calorosissimi applausi per tutti gli interpreti, ed in particolare modo per i tre protagonisti vocali, per il regista e per il direttore d’orchestra.

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Paolo Malaspina
Paolo Malaspina, nato ad Asti nel 1974, inizia a frequentare il mondo dell’opera nel 1989. Studia privatamente canto lirico e storia della musica parallelamente agli studi in ingegneria chimica, materia nella quale si laurea a pieni voti nel 1999 presso il Politecnico di Torino con una tesi realizzata in collaborazione con Ecole Nationale Supérieure de Chimie de Toulouse. Ambito di interesse musicale : musica lirica e sinfonica dell’ottocento e novecento, con particolare attenzione alla storia della tecnica vocale e dell'interpretazione dell'opera lirica italiana e tedesca dell'800.

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