Richard Wagner(1813–1883)
Der Fliegende Holländer (1843)

Libretto del compositore

Maestro concertatore e direttore : Fabio Luisi
Regia : Paul Curran

Scene : Saverio Santoliquido
Costumi : Gabriella Ingram
Luci : David Martin Jacques

*****
Olandese : Thomas Gazheli
Erik : Peter Tantsits
Daland : Mikhail Petrenko
Marinaio di Daland : Timothy Oliver
Senta : Marjorie Owens
Mary : Annette Jahns

Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Maestro del Coro Lorenzo Fratini

Coro Ars Lyrica di Pisa
Maestro del Coro Marco Bargagna

Firenze – Teatro del Maggio, 17 gennaio 2019

Accurata, interessante, non travolgente : così si può sintetizzare l’interpretazione del Fliegende Holländer da parte del nuovo Direttore musicale del Maggio Fiorentino, che non aveva a disposizione un cast vocale perfettamente adeguato in tutte le sue componenti – eccelleva però la Senta di Marjorie Owens – e non era supportato dalla regia di Paul Curran, piuttosto anonima e banale.

Der Fliegende Holländer/Firenze 2019

Fabio Luisi, da alcuni mesi Direttore musicale del Maggio Musicale Fiorentino, deve idealmente confrontarsi con i ricordi lasciati da due predecessori carismatici, molto amati ovunque e a Firenze in particolare, Riccardo Muti e Zubin Mehta, che hanno ricoperto prima di lui tale incarico rispettivamente per dodici e per trentadue anni (e Mehta è ancora ben presente al Maggio come Direttore onorario a vita). Non è facile mostrarsi all’altezza di tale eredità, ma Luisi sta gradualmente conquistando la stima del pubblico fiorentino. Dopo essersi fatto apprezzare a Firenze nel repertorio italiano più popolare, dirigendo lo scorso autunno tre opere di Verdi, si è ora cimentato con Wagner, in cui si è fatto una notevole esperienza come direttore principale della Staatsoper di Dresda e del Metropolitan di New York negli anni passati e ora come Generalmusikdirektor dell’Opera di Zurigo. Inoltre è stato direttore musicale di importanti orchestre sinfoniche (a Ginevra, Vienna, Lipsia, Dresda e Copenhagen) dove la musica tedesca è ovviamente molto presente nei programmi. Quindi Der fliegende Holländer non era affatto un primo contatto con un mondo per lui nuovo, eppure inizialmente si è avuta la sensazione che la sua interpretazione non fosse pienamente risolta. Ma poi progressivamente il suo approccio a questo Wagner giovane si è andato delineando più chiaramente : se ho ben capito, Luisi non ha cercato di leggere Der fliegende Holländer alla luce dei capolavori successivi e ha invece tenuto sempre ben presente la sua posizione di opera di passaggio e quasi di ibrido, in cui elementi della tradizione italiana e francese, così evidenti in Die Feen, Das Liebesverbot e Rienzi, ancora convivono con i primi germogli delle idee geniali e rivoluzionarie che Wagner avrebbe pienamente sviluppato in seguito.

Atto III

Quello di Luisi è un approccio ineccepibile sotto l’aspetto storico-critico, perché non si può negare che in quest’opera elementi tradizionali e novità rivoluzionarie convivono gli uni accanto alle altre, e non è affatto vero che la tradizione sia necessariamente negativa. Uno degli aspetti più intriganti di questa “opera romantica” è proprio la commistione di tradizione e di innovazione, tipica di un genio che sta sbocciando. Vorrà pur dire qualcosa che fino al 1860, quando aveva ormai portato a pieno sviluppo le sue nuove idee, Wagner sia ritornato più volte sulla prima stesura del Fliegende Holländer con modifiche anche rilevanti, ma non abbia eliminato o in qualche modo camuffato le parti più tradizionali. Uno dei quadri più potenti dell’opera, all’inizio del terzo atto, nasce proprio dalla contrapposizione tra il vivace e popolaresco coro degli abitanti del villaggio norvegese, che potrebbe essere stato scritto da Weber, e il terrificante e spettrale coro dei marinai olandesi, che è diverso da tutto quel che si era udito fino ad allora nei teatri d’opera, sebbene anche qui si possa coglierne una lontana anticipazione nella Gola del lupo del Freischütz, che tuttavia è molto diversa. Subito dopo, sempre nel terzo atto, la successione ravvicinata dell’aria alquanto tradizionale di Erik (per essere precisi, Wagner la definisce cavatina, termine che viene direttamente dalle convenzioni operistiche italiane) e del duetto di tipo assolutamente nuovo tra Senta e l’Olandese è la raffigurazione musicale dell’abisso che separa quel povero ragazzo da Senta, che vive fisicamente nel villaggio norvegese ma spiritualmente appartiene al mondo misterioso dell’Olandese. Che in questa cavatina Wagner cercasse più o meno consapevolmente un certo grado di convenzionalità è dimostrato dal fatto che nel secondo atto lo stesso Erik usa tutt’altro linguaggio raccontando il suo sogno, perché per un momento quel sogno lo ha proiettato nello stesso mondo di Senta e dell’Olandese.

Tuttavia si ha la sensazione che questa volta manchi qualcosa, se si va con la mente ad altre esecuzioni. Si pensi all’ouverture e alla pittura sonora della tempesta, che si identificherà nel corso dell’opera con il tema dell’Olandese : sul lancinante sibilo del vento (le note tenute dei legni acuti e il tremolo dei violini) si scatena l'urlo della tempesta (i quattro corni rafforzati dai fagotti) e subito si aggiungono le rapide ondate di contrabbassi e violoncelli, che salgono e si inabissano. Questa tempesta è stata meno impressionante di come la si è sentita altre volte, quando esplodeva furibonda e sembrava avvolgere l’ascoltatore (e non solo a Bayreuth, grazie all’acustica unica di quel teatro, ma anche in altre sale). Ci si può chiedere se effetti sonori così potenti fossero possibili con un’orchestra della prima metà dell’Ottocento, però bisogna ricordarsi che Wagner inizialmente aveva pensato a un’orchestra con ben dieci corni (poi li ridusse a quattro per motivi esclusivamente pratici), evidentemente perché immaginava effetti orchestrali straordinari.

Dunque inizialmente è mancato qualcosa e la genialità di Wagner è sembrata un po’ sminuita, per poi gradualmente emergere anche questa volta. Con la sua attenzione ai dislivelli stilistici del Fliegende Holländer, che non sono dei difetti da occultare, Luisi ha dunque guidato l’ascoltatore all’interno di questo capolavoro giovanile, senza mettersi in mostra e senza cercare l’effetto immediato, ma con risultati alla lunga convincenti.

Marjorie Owens (Senta) e Thomas Gazheli (Holländer)

Ovviamente il risultato complessivo è la somma dell’interpretazione del direttore e dei cantanti. Era assolutamente positiva la prestazione dell’americana Marjorie Owens, che unisce un bel timbro a un volume poderoso e ad acuti sicuri, ma non cede alla tentazione di sfoggiarli fuori luogo in un personaggio come Senta, che non è un’eroina mitica del tipo di Brünnhilde ma soltanto la figlia di un mercante norvegese, ma molto visionaria e romantica. Indubbiamente anche il tempo piuttosto lento staccato da Luisi per la Ballata di Senta ha contribuito a porre l’accento sul carattere lirico più che su vigore drammatico di questo personaggio. Note meno buone per gli altri protagonisti. Nella recita di cui qui si riferisce Erik era interpretato da Peter Tantsits, che ha pochissima esperienza nel repertorio italiano e infatti nel terzo atto si è trovato in imbarazzo nella sua cavatina, mentre era molto più nel suo mondo nel duetto con Senta del secondo atto, con risultati particolarmente validi nel sogno.

Thomas Gazheli (Holländer)

Thomas Gazheli ha evidenziato vari limiti vocali, soprattutto nella sua grande aria d’entrata (Wagner la definisce così, ma in realtà è un brano dall’andamento molto libero e nuovo) dove talvolta ricorreva a una specie di falsetto nel registro acuto e a note gutturali in quello grave, cosicché l’Olandese appariva nevrotico più che maudit. Questa stessa voce però si prestava a sottolineare il lato umano e tormentato dell’Olandese, quando il suo cuore gelido viene scaldato dall’amore di Senta e intravede la possibilità di liberarsi dalla maledizione, per cedere poi alla disillusione, erroneamente, rivelando così anche una sua dose di umanissima debolezza. Non ha invece problemi vocali Mikhail Petrenko, eppure è stato un Daland piuttosto approssimativo sotto l’aspetto musicale e interpretativo : sebbene a prima vista questo piccolo borghese, apparentemente bonario ma interessato solo al denaro, non appaia particolarmente interessante, è tuttavia una figura chiave della vicenda e meriterebbe di essere meglio definito. Non è un caso che la scena iniziale sia riuscita meglio quando al centro dell’attenzione era il Timoniere (molto bene Timothy Oliver) che quando cantava Daland. Bene anche Annette Jahns nella parte di Mary. Ma il miglior protagonista in scena è stato il coro del Maggio, preparato da Lorenzo Fratini, che era rafforzato da un gruppo di voci maschili del Coro Ars Lyrica di Pisa.

Atto II

Non ci sarebbe molto da dire della messa in scena, sebbene la regia fosse di Paul Curran, di cui si ricordano spettacoli migliori, mentre le scene erano di Saverio Santoliquido e i costumi di Gabriella Ingram. Il regista scozzese ha fatto ricorso a un filmato per il mare in tempesta : ma alla fine del primo atto, dopo che più volte si dice che la furia degli elementi si è placata, sullo schermo continuavano a scorrere immagini di onde altissime. Ha realizzato il vascello fantasma con disegnati animati proiettati sul filmato delle onde : una soluzione piuttosto pasticciata, perché il realismo delle onde e la finzione del vascello non si amalgamavano bene. Ha materializzato sulla scena i marinai del vascello fantasma nel terzo atto : invece si dovrebbero sentire solo le loro voci provenienti dalle tenebre, con un effetto da brivido. Ha spostato l’epoca in avanti di qualche secolo, verso il 1900 : ormai è la regola, ma in questo caso non se ne vede il motivo, perché per il resto nulla cambia, tranne che durante il loro coro le filatrici lavorano con macchine da cucire Singer di vecchio modello, che però sostituiscono bene l’arcolaio, perché hanno anch’esse una ruota che gira. Nel finale, dopo essersi gettata in mare, Senta risorge dalle acque e appare in fondo al palcoscenico : ad alcuni è sembrata una grande idea, ma è più o meno quel che dice il libretto, che anzi vorrebbe che Senta e l’Olandese risorgano entrambi, trasfigurati. E con questo si è detto tutto quel che merita di esser detto di questa regia, per il resto piuttosto banale : però non “disturbava la musica” e questo è quel che molti chiedono a una regia.

 

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Mauro Mariani
Mauro Mariani ha scritto per periodici musicali italiani, spagnoli, francesi e tedeschi. Collabora con testi e conferenze con importanti teatri e orchestre, come Opera di Roma, Accademia di Santa Cecilia, Maggio Musicale Fiorentino, Fenice di Venezia, Real di Madrid. Nel 1984 ha pubblicato un volume su Verdi. Fino al 2016 ha insegnato Storia della Musica, Estetica Musicale e Storia e Metodi della Critica Musicale presso il Conservatorio "Santa Cecilia" di Roma.

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