Wolfgang Amadeus Mozart (1756–1791)
Die Zauberflöte (Il Flauto magico) (1791)
Singspiel in zwei Akten von Emanuel Schikaneder

Direttore musicale : Maurizio Dones
Regia, scene e costumi : Pier Luigi Pizzi
Assistente alla regia : Massimo Gasparon

Sarastro                               Karl Huml
Tamino                                Klodjan Kaçani
Oratore                                Oliver Pürkhauer
Primo sacerdote                 Riccardo Palazzo
Secondo sacerdote             Oliver Pürkhauer
La Regina della Notte        Eleonora Bellocci
Pamina                                 Maria Sardaryan
Prima Dama                         Pilar Tejero
Seconda Dama                     Katarzyna Medlarska
Terza Dama                          Veta Pilipenko
Primo Fanciullo                   Giulia Leone
Secondo Fanciullo               Gabriella Torre
Terzo Fanciullo                    Giuliana Ciancio
Papagena, Una vecchia       Sofia Folli
Papageno                               William Hernandez
Monostatos                           Andrea Giovannini
Primo armigero                    Riccardo Palazzo
Secondo armigero                Oliver Pürkhauer

Orchestra e Coro del Teatro Massimo Bellini
Maestro del Coro : Luigi Petrozziello
Maestro delle voci bianche : Daniela Giambra

 

Teatro Massimo Bellini, Catania, martedì 22 gennaio 2019

Grande successo per l'apertura della stagione del Teatro Massimo Bellinidi Catania con Il flauto magicodi Mozart. Il regista Pier Luigi Pizzi mette in risalto i livelli espressivi dell'opera giocando sui colori, e inquadra la vicenda dell'iniziazione massonica come una questione di libri, cioè di cultura. Buona e in alcuni casi ottima la parte musicale.

Papageno, le tre Dame, Tamino (atto I)

Che Il flauto magico di Mozart – andato in scena al Teatro Bellini di Catania per l'apertura della stagione 2019 – sia un classico esoterico o piuttosto essoterico dipende forse dal lato da cui lo si guarda. Si può infatti scegliere di considerare l'opera lo scrigno che racchiude misteri teosofici e un umanesimo tanto quintessenziato da rasentare l'astrazione filosofica, oppure la cornice splendida che nobilita un teatro di origine popolare fondato sull'improvvisazione : un lavoro, quindi, in cui il sovrabbondante apparato simbolico è in realtà la sovrastruttura di un messaggio tanto semplice quanto comprensibile anche ai non iniziati. A privilegiare una sola delle due facce ci si troverebbe inevitabilmente nella situazione di chi guardi Giano come un dio provvisto di un'unica, quanto antipatica, espressione e si fraintenderebbe lo specifico di un'opera impossibile da risolvere in maniera definitiva, un'opera ostinatamente in bilico sulle proprie componenti. Nella Zauberflöte convivono infatti opere diverse, modelli formali diversi, visioni del mondo reciprocamente ostili e perfino incompatibili, un manicheismo forzato, e pure il paradosso per il quale l'oggetto che dà il titolo all'opera ha un ruolo talmente esiguo nella trama che si stenta a capire perché Mozart e Schikaneder abbiano voluto chiamarla così. O meglio, il riferimento di gran moda nel 1791 al “meraviglioso” – innumerevoli gli “Zauberstücke” negli anni immediatamente precedenti e successivi al Flauto mozartiano – deve essere parso agli autori così indispensabile al successo dell'opera da valere questa piccola forzatura.

Data una materia poetico-musicale tanto eteroclita, è difficile per chiunque farsene un'idea coerente per offrire al pubblico una lettura unitaria e in equilibrio fra le varie componenti. A rendere instabile la concrezione formale del Flauto magico è la difficile commessura tra il registro buffonesco rappresentato da Papageno, debitore della “maschera” del teatro parlato tedesco Hanswurst, e la vicenda maggiore dell'iniziazione di Tamino : l'opera tende infatti a scindersi in queste due componenti, ugualmente presenti e importanti quanto in fondo asintotiche, cui si sovrappone per giunta il registro teosofico-massonico come punto di fuga della tensione spirituale dell'opera. Pier Luigi Pizzi, che ha firmato la regia, le scene e i costumi, ha deciso con intelligenza di mantenere ferma tale pluralità di registri, disegnando una scena in cui i vari strati espressivi dell'opera occupino ciascuno una parte di palcoscenico. La vicenda di Papageno si svolge quindi essenzialmente intorno a un tavolo sul proscenio che suggerisce il trespolo adatto a un uomo-gallina ; il cammino verso l'iniziazione massonica di Tamino viene inquadrato da una gigantesca libreria (secondo la bella idea che i libri siano la prima via d'accesso all'illuminazione); quella di Sarastro e dei sacerdoti massonici si snoda su un tempio reso visibile da uno squarcio aperto nella libreria stessa, e dunque simbolicamente debitore della cultura. Il problema del manicheismo dell'opera, sostrato ideologico indispensabile a un percorso di illuminazione come quello di Tamino, viene risolto dando ai “cattivi” – la Regina della Notte, il Serpente, le Tre Dame e Monostato – costumi molto colorati e vistosi ; Tamino e Pamina sono vestiti invece in modo anonimo come adolescenti di oggi provvisti dell'immancabile smartphone ; Sarastro e i suoi accoliti indossano impeccabili frac con corredo di grembiulini. Certo, nemmeno Pizzi può far niente per mantenere stabile il manicheismo incompiuto dell'opera : restano fuori infatti le oscillazioni simboliche che permangono rispetto al personaggio della Regina della Notte (che in una prima versione dell'opera era buona) e di Sarastro. Poco importa che la musica di Mozart si cali teneramente sulla Regina della Notte, all'inizio, per coglierne il dolore tutto umano di madre a cui è stata sottratta la figlia, e che Sarastro resti per tutta l'opera l'ingessato e poco umano depositario del Bene e della Virtù : la regia, che mette ordine con un gesto tranchant in una congerie instabile, sceglie di rimanere fedele al libretto piuttosto che alla musica. Ben trovata in questo senso la conclusione della vicenda, dove tutti – buoni e cattivi, puri e impuri, solenni sacerdoti e pennuti gallinacei – si stringono in un abbraccio di conciliazione fraterna che è come una polvere luminosa di ideali già romantici lasciata cadere dall'alto sopra le loro teste.

Apprezzabile la parte musicale : tutti mantengono le promesse, toccando in due casi punte di eccellenza. Maurizio Dones porta in fondo lo spettacolo senza grandi slanci di immaginazione ma con una buona calibratura di tempi e modi ; Klodjan Kaçani è un convincente Tamino, così come lo è Marya Sardaryan nel ruolo di Pamina ; Karl Huml presta la voce, forse un poco troppo chiara, a Sarastro e Eleonora Bellocci dà vita ancora una volta al miracolo dell'aria della Regina della Notte come un triplo Toe-loop sul ghiaccio che sfida le leggi della gravità. Si mettono in mostra per doti sceniche del tutto fuori dal comune sia William Hernandez come Papageno, che Andrea Giovannini come Monostato – sottolineando come i loro caratteri siano in realtà complementari ed essenziali all'equilibrio assiologico dell'opera. Giovannini come mostro peloso e dotato di coda si muove sulla scena come una provocante rock star, diffondendo un appello erotico tanto connotato nel senso della libidine da stabilire, di per sé, un giudizio morale (mostruosa è la carne senza i sentimenti). Hernandez invece, uno strepitoso Papageno vestito dalla cintola in giù di vezzose piume gialle, contribuisce a far emergere il vero vertice ideologico dell'opera, che non è quello implausibile dell'iniziazione massonica e delle poco credibili invocazioni a Iside e Osiride, ma l'ideale audace di un'umanità spogliata di tutte le sovrastrutture ideologiche che avvelenano i rapporti fra gli uomini e ricondotta alla sola cosa che conti veramente : l'amore quale la natura dona a tutte le creature viventi.

Pamina, Monostatos, Papageno (Atto I)
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Sara Zurletti
Sara Zurletti si è diplomata in violino e laureata a Roma in Lettere con tesi in Estetica. Ha poi conseguito un dottorato di ricerca all'Università Paris 8. Ha insegnato nella stessa università "Teoria dell'interpretazione musicale" e poi, dal 2004 al 2010, Estetica musicale all'Università Suor Orsola Benincasa di Napoli e Pedagogia musicale all'Università di Salerno. Ha pubblicato "Il concetto di materiale musicale in Th. W. Adorno" (Il Mulino, 2006), "Le dodici note del diavolo. Ideologia, struttura e musica nel Doctor Faustus di Th. Mann" (Biblipolis 2011), "Amore luminoso, ridente morte. Il mito di Tristano nella Morte a Venezia di Th. Mann" (Castelvecchi), e il libro-intervista "Ars Nova. ventuno compositori italiani di oggi raccontano la musica" (Castelvecchi 2017). Attualmente insegna Storia della musica al Conservatorio "F. Cilea" di Reggio Calabria.

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