Per celebrare il centenario pucciniano e la sessantesima stagione lirica allo Sferisterio, il direttore artistico Paolo Gavazzeni ha scelto due titoli di grande repertorio del Maestro, Turandot e La Bohème, e intelligentemente li ha declinati in un nuovo, spettacolare allestimento quanto alla prima (affidandone la regia a Paco Azorìn) e nella ripresa di uno degli spettacoli più belli e riusciti di sempre quanto alla seconda (con la regia di Leo Muscato, vincitore del Premio Abbiati); terzo titolo in cartellone un “classico” dell’arena maceratese, Norma, un nuovo allestimento con la regia di Maria Mauti.
Per Turandot una celebre immagine del suo compositore, Giacomo Puccini, viene proiettata sul muro dello Sferisterio all’inizio e alla fine, così come deve essere per un evento celebrativo. A tale avvio fa seguito una piacevole rappresentazione che vede lo spettatore appagato da tutti gli elementi che ci debbono essere in una lettura tradizionale : la scena anzitutto, curata dallo stesso regista, che prevede campi di riso sul palcoscenico e una struttura orizzontale, quasi una terrazza, di legni laccati rossi e intrecci geometrici, in modo a avere due piani di azione. La novità principale in questa edizione è la proiezione sul muro in mattoni di quello che potrebbe sembrare un cielo stellato ma, invero, è la ripresa dall’alto di quanto accade sul palcoscenico, con la vista da lontano dei caratteristici copricapo rotondi a punta dei contadini che si muovono nella risaia e sembrano stelle o pianeti in cielo, rimandando anche a certi acquerelli dell’epoca imperiale dipinti su carta di riso. I costumi di Ulises Mérida confermano la Cina, sontuosi abiti e imponenti cappelli per Turandot e Altoum, colori diversi ma vestiti identici per i tre ministri, look dimesso per Timur/Liù/Calaf, quasi indistinti dal popolo di Pechino. Le luci di Pedro CHamizo spingono a leggere la messa in scena come vicenda fuori dal tempo e dallo spazio, privilegiando toni antinaturalistici. CHamizo è autore,oltre che delle riprese dall’alto già dette, anche dei video, nei quali si sono apprezzati i suggestivi primi piani dei popolani nelle risaie. La principale novità registica ci è parsa qui il calcare la mano sulla dittatura : le guardie imperiali, tutte donne armate di archi e frecce, vessano il popolo, controllato a vista in continuazione e addirittura spesso e gratuitamente malmenato ; il Principe di Persia viene ucciso in modo lento e truculento, con abbondanza di sangue versato, dapprima colpito con innumerevoli frecce (novello San Sebastiano) e poi finito a colpi di mannaia ; su quel sangue Calaf si bagna le mani e poi tocca il gong sospeso dall’alto, lasciandovi scie rosse di sangue e quasi “profanandolo”. Sciolti e naturali i movimenti scenici delle masse, curati da Carlos Martos de la Vega.
Turandot richiede una protagonista adeguata e Olga Maslova è tale, senza dubbi : la presenza scenica è giusta, distaccata e freddissima, restìa al contatto con ciascun umano ; il timbro è compatto e sprigiona una rara suggestione, sommando solidità e pienezza della linea non solo in alto ma anche al centro e nella regione grave, dove peraltro trova accenti incisivi capaci di espandersi con orgogliosa sicurezza. Il Calaf di Ivan Magrì non sfigura accanto a lei ma neppure brilla particolarmente e convince maggiormente nei momenti lirici e sentimentali. Si è particolarmente apprezzata la Liù di Ruth Iniesta, che interpreta il ruolo nel modo sottomesso e dimesso previsto in partitura e libretto e accentuato dalla regia ; il soprano sorprende con accenti in cui l’intenso lirismo si accompagna a sensualità e forza d’animo. Voce profonda per il Timur di Riccardo Fassi, arduamente impegnato in tutte e tre le opere in cartellone.
Bene amalgamati Ping, Pang e Pong, rispettivamente Lodovico Filippo Ravizza, Paolo Antognetti e Francesco Pittari. Adeguato l’imperatore di Christian Collia. Con loro il Mandarino di Alberto Petricca, il principino di Persia di Mauro Sagripanti (cantante) e Federico Benvenuto (danzatore) e il boia di Sonia Barbadoro, cattivissima come le numerose mime impegnate nella guardia imperiale. Da menzionare l’ottima prova del Coro Lirico Marchigiano, preparato da Martino Faggiani, e dei Pueri Cantores, preparati da Gian Luca Paolucci.
Francesco Ivan Ciampa trova la giusta lettura musicale per lo spettacolo : cura una nitida definizione ritmica e una brillantezza timbrica, la narrazione risulta naturalistica e non delicatamente rarefatta, per cui le sfumature della tavolozza musicale e le suggestioni orientaleggianti sono rese dalla ottima Filarmonica Marchigiana con una forza drammatica che, tuttavia, consente dolcezza ai momenti dove è richiesta.