Vincenzo Bellini (1801–1835)
Norma (1831)
Tragedia lirica in due atti su libretto di Felice Romani dalla tragedia Norma ou L’infanticide di Alexandre Soumet
Edizione Casa Ricordi, Milano
Prima esecuzione Milano, Teatro alla Scala, 26 dicembre 1831

Direttore Fabrizio Maria Carminati
Regia Maria Mauti

Scene Garcés – de Seta – Bonet Arquitectes in collaborazione con Carles Berga
Costumi Nicoletta Ceccolini
Luci Peter van Praet
Video Lois Patinho
Assistente alla regia Adriana Laespada
Assistente alla scenografia Chiara La Ferlita

Pollione Antonio Poli
Oroveso Riccardo Fassi
Norma Marta Torbidoni
Adalgisa Roberta Mantegna
Clotilde Carlotta Vichi
Flavio Paolo Antognetti

FORM – Orchestra Filarmonica Marchigiana
Coro lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini”
Maestro del coro Martino Faggiani
Banda Salvadei

 

Nuovo allestimento dell’Associazione Arena Sferisterio

 

Macerata, Arena Sferisterio, venerdì 26 luglio 2024 ore 21

La nuova produzione di Norma (versione per due soprani) convince non solo per la bellezza delle voci e il giusto accompagnamento musicale dell’orchestra, ma anche per la suggestione di uno spettacolo essenziale dove il vuoto è significativo e la rarefazione degli elementi diventa il punto di forza, capace di trasmettere emozioni profonde.

Norma è sola. E sola Norma lo è sempre stata. Norma è sola come la luna in cielo. Norma è sola : basta, a lasciarlo intendere, il suo sguardo spesso perso nel vuoto. Quel vuoto che c’è, incolmabile, sul palcoscenico dello Sferisterio, uno degli spazi di spettacolo più suggestivi al mondo. L’alto muro di fondo (già di per sé scenografia irripetibile) è l’elemento che viene utilizzato appieno quale suggestiva ambientazione, con una grande luna appesa. Sul palcoscenico solo quattro praticabili (scale che arrivano a un parapetto) che vengono spostati a vista in modo da simulare più ambienti : la scenografia dello Studio Bonet Arquitectes è altamente evocativa nella sua essenzialità. Al compito di rimandare (vagamente) all’epoca dell’ambientazione ci pensano i costumi di Nicoletta Ceccolini, che riservano alla protagonista dapprima la sacralità del bianco e poi la passionalità del rosso, lasciando ad Adalgisa un arancio intermedio tra i due, come se i due status di Norma (sacerdotessa e innamorata) si mescolassero in Adalgisa. Le luci di Peter van Praet non hanno solo lo scopo di illuminare scene e cantanti ma assumono un ruolo di primo piano : basti citare i tre cerchi sul palco durante il terzetto del primo atto con ogni performer “imprigionato” nel proprio spazio. A completare la parte tecnica i video di Lois Patinho, minimi interventi all’inizio dei due atti : una cascata d’acqua sul muro di mattoni che cambia colore, dal bianco e trasparente all’arcobaleno, superficie sulla quale si stagliano di lato le silhouette dei figli di Norma ; poi ancora l’intensa proiezione di un volto di donna che sembra pian piano scivolare via in striature sfuocate.

Norma è opera che si presta a un duplice piano di lettura : la storia d’amore tra Norma e Pollione (e Adalgisa) e la storia politica con la ribellione dei Galli contro gli occupanti romani. La regista Maria Mauti sceglie di sottolineare in gran prevalenza soltanto il primo aspetto ed è una decisione, visto il risultato, totalmente condivisibile.  Norma è sola, si diceva. Da sacerdotessa è intoccabile, ieratica. Da donna non c’è un gesto di vicinanza affettiva con Pollione, oramai innamorato di un’altra (ma Norma ancora non lo sa). Da madre la carezza verso i figli è impedita dalla necessità di rendere segreta la loro esistenza. L’unico abbraccio è con Adalgisa, nel momento in cui i loro cuori percepiscono di vivere la medesima esperienza (e le due cantanti compiono i medesimi gesti, un momento di grande emozione): solo poi si scoprirà che il quid che le accomuna non è l’innamoramento e l’innamoramento dello stesso uomo, ma piuttosto la solitudine. I gesti, si diceva : la regista cura al massimo la gestualità e l’espressività, che escono dallo stereotipo e risultano evidenziate in un progetto che limita i movimenti delle masse a quanto funzionale per il canto e il racconto del plot. Le masse sono coro e ballerine, che vengono impiegate in modo perfetto con citazioni interessanti : il sacro bosco, affidato a rami movimentati dalle donne del coro, richiama la foresta in movimento di shakespeariana memoria ; nella ripresa di Casta Diva la luna sembra riflettersi su un enorme drappo che ondeggia, mosso dalle ballerine. Tra i momenti più suggestivi il duetto del secondo atto che Norma e Pollione cantano una contro le spalle dell’altro : si toccano ma opponendosi e guardando in due diverse direzioni. E ancora l’inizio del secondo atto, con le urla di disperazione di Norma in retropalco. Oppure la presenza dei figli per tutta la durata della recita, spettatori muti che assistono agli accadimenti che coinvolgono i genitori : dall’inizio (silhouette contro la cascata d’acqua), al primo atto (in un palco laterale con in mano due proiettori di luce), al secondo atto (sul palcoscenico, insieme a Clotilde mentre ella legge loro un libro nel comfort di una cameretta), al finale dove guardano i genitori che, su due scale separate, salgono non verso il rogo ma verso la luna. Insomma, in uno spettacolo essenziale e raffinato la regista riesce a dare pieno risalto a una tragedia che si consuma nel canto e nel declamato, affidati a un cast ottimo.

Il ruolo della protagonista è stato interpretato da Marta Torbidoni, che bene esprime tradizione e valori del canto all’italiana, fondato su tecnica e controllo d’emissione, ma anche su mezze voci, accento e fraseggio : la sua Norma ha voce squisitamente lirica  e non a caso conquista soprattutto nella seconda parte, quando esprime i toni dello sgomento e dell’abbandono (come nei “teneri figli” intrisi di malinconica dolcezza e nel secondo duetto con Adalgisa); si apprezza l’intelligenza dell’interprete nel cantare con la propria voce senza enfatizzare oltremodo gravi e acuti per ottenere un facile effetto.

Adalgisa ci sembra particolarmente congeniale a Roberta Mantegna in questa versione per due soprani che, va detto, chi scrive preferisce ad altre, ritenendola ideale per rappresentare la giovane sacerdotessa rivale con voce giovanile : la Mantegna ha un canto levigato di perfezione neoclassica screziato di vellutata dolcezza. Antonio Poli è un Pollione giovane, a tratti appare persino un poco indeciso (non il solito virile e fiero condottiero romano), ma è perfettamente in linea con le scelte registiche ; dopo una iniziale prudenza, il tenore dimostra voce possente, dagli acuti saldi, e ricca di comunicativa come vuole certa tradizione. Bravo Riccardo Fassi, che conferisce a un cupissimo Oroveso autoritas scenica e giusto peso vocale. Completano adeguatamente l’ottimo cast il Flavio amichevole di Paolo Antognetti e la Clotilde partecipe di Carlotta Vichi.

Fabrizio Maria Carminati imprime una direzione vigorosa e incisiva, volta a mettere in rilievo colori e spessori dell’Orchestra Filarmonica Marchigiana con un bel senso del chiaroscuro e rispettando i tempi del canto. La sua lettura, perfettamente in linea con lo spettacolo sul palco, risulta più romantica che neoclassica e dunque sembra guardare più a Verdi che agli stilemi espressivi belliniani, ma ha il vantaggio di risultare avvincente e adatta al contesto registico. Un plauso al Coro Lirico Marchigiano preparato da Martino Faggiani in perfetta sintonia con solisti e orchestra. Sul palco anche la Banda Salvadei.

Prossime rappr. :  domenica 4 agosto 2024 ore 21, venerdì 9 agosto 2024 ore 21

 

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Francesco Rapaccioni
Giornalista pubblicista dal 1996, segue con grande passione il teatro in genere e prosa e lirica in particolare, recensendo spettacoli e concerti sia in Italia che all'estero per testate nazionali e locali. Da anni conduce trasmissioni radiofoniche culturali su circuiti nazionali e regionali. Legge e viaggia in modo compulsivo e, al tempo stesso, dirige un piccolo teatro a San Severino Marche, in provincia di Macerata. Dopo alcuni anni negli Stati Uniti, vive oggi stabilimente in Italia, nelle Marche, dove si occupa anche di promozione culturale e turistica del territorio. Ma sempre con uno sguardo attento e curioso a ciò che accade nel mondo.
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