Georg Friedrich Haendel (1685–1759)
Giulio Cesare in Egitto (1724)

Dramma per musica in tre atti
Libretto di Nicola Francesco Haym dal testo di Giacomo Francesco Bussani
Prima il 19 febbraio 1724 al King’s Theatre Haymarket, Londra

Direzione musicale | Gianluca Capuano
Regia | Davide Livermore
Scene | GioForma
Costumi | Mariana Fracasso
Luci | Antonio Castro
Video | D‑Wok
Assistente alla regia | Aida Bousselma
Assistente alla direzione musicale | Davide Pozzi
Maestra acompgnatrice| Marie-Eve Scarfone

Giulio Cesare | Carlo Vistoli
Cleopatra | Cecilia Bartoli
Tolomeo | Max Emanuel Cencic
Cornelia | Sara Mingardo
Sesto | Kangmin Justin Kim
Achilla | Peter Kalman
Nireno | Federica Spatola
Curio | Luca Vianello

CHŒUR DE L’OPÉRA DE MONTE-CARLO
Maestro delcoro | Stefano Visconti

LES MUSICIENS DU PRINCE – MONACO
Violino di spalla : Thibault Noally

Monte-Carlo, Opéra de Monte-Carlo, Domanica 28 gennaio 2024, Ore 15

Nel 2012 Cecilia Bartoli è stata Cleopatra a Salisburgo nel Giulio Cesare in Egitto firmato Patrice Caurier e Moshe Leiser, di cui abbiamo scritto (in francese) nel nostro Blog du Wanderer. Si trattava di una sorta di ironica visione geopolitica in cui Giulio Cesare diventava un gerarca dell'Unione Europea e gli egiziani un bell'esempio di "Oriente complicato". Le circostanze dell'epoca, con la situazione in Medio Oriente, avrebbero senza dubbio fatto apparire questo tipo di approccio di pessimo gusto.

Per questa nuova produzione di Giulio Cesare in Egitto, Cecilia Bartoli, direttrice dell'Opéra de Monte-Carlo, ha preferito una visione più narrativa e meno incisiva, affidando la regia a Davide Livermore. 

Per quanto riguarda la musica, Cecilia Bartoli non si circonda mai di tirapiedi, e in questo caso può contare su un cast invidiabile, composto sia da partner piuttosto giovani – il futuro più dorato del canto barocco – sia da altri più esperti, e supportato dai magnifici Musiciens du Prince – Monaco diretti da Gianluca Capuano, con quel suono caratteristico e luminoso, pieno di colori e sensualità che rendono il suo Handel una delle esperienze più emozionanti di oggi.

Le circa quattro ore di spettacolo passano senza pensarci, tra sorrisi ed emozioni, ma sono soprattutto un'occasione per meditare in profondità sullo stile di Handel e sul sottile, permanente gioco tra spettacolo e interiorità, in una fluidità che non manca mai di stupire. Un vero momento di grazia.

Show Boat : Al centro, Cecilia Bartoli (Cleopatra)

La produzione :

Su questo sito abbiamo spesso espresso le nostre riserve sul lavoro di Davide Livermore, e i lettori sanno bene che non è uno dei nostri registi preferiti. Ma il suo approccio al Giulio Cesare in Egitto non è una delle sue produzioni più frenetiche, anche se include video, cieli sfocati, aerei in picchiata e altre trasposizioni con cui ha familiarità.

La questione del Giulio Cesare in Egitto è piuttosto complessa dal punto di vista drammaturgico, perché si tratta di un'opera che non sarebbe dispiaciuta alla propaganda romana, tanto che da un lato presenta le virtù romane alla Tito Livio, dall'altro gli eccessi egiziani, che si perdono in complotti, tradimenti e vili assassinii, senza riferimenti morali o veri e propri "valori".  Di per sé, il libretto non fa altro che illustrare la radicata tradizione di Roma come madre di tutti i poteri e di tutte le virtù, che la nostra cultura ha (disperatamente?) cercato di emulare, soprattutto a partire dal Rinascimento.

Tutto ha inizio con la morte di Pompeo, che, come sappiamo, fu assassinato dagli Egiziani su ordine di Tolomeo il re per compiacere Cesare, il che servì solo a suscitare la sua vera (o finta) ira. L'assassinio di Pompeo, anche se serviva agli interessi di Cesare, era un attacco a una delle glorie di Roma e Cesare non poteva accettarlo, almeno ufficialmente, come una manna caduta dal cielo.
Restava il fatto che Cesare era da solo e che da quel momento in poi avrebbe potuto agire senza paura, a patto di avere un appoggio in piazza, perché le sue forze armate erano ancora piuttosto esigue.
Questo per quanto riguarda la storia.
Per il librettista di Handel, l'obiettivo era mostrare come l'arrivo di Cesare rappresentasse una sorta di liberazione per tutta una serie di personaggi, a partire da Cornelia, moglie di Pompeo e incarnazione delle virtù romane, e dal suo figlio (in realtà figliastro) Sesto, oltre che da Cleopatra, Cleopatra, regina-sorella di Tolomeo, con la quale Cleopatra ha un rapporto difficile, poiché entrambi vogliono mantenere il potere e Cleopatra è sola contro Tolomeo, appoggiato dalle truppe e dal generale Achilla, che sta complottando per mettere fratello contro sorella.

Cleopatra è una figura ambigua, indubbiamente ambiziosa, rappresentante dell’Oriente complicato (anche se era greca…) secondo l’espressione di De Gaulle. Qui è una figura (contrapposta alla romana Cornelia) che cercherà in Cesare un appoggio politico per liberarsi del fratello amorale e ingombrante e che, attraverso il contatto con il grande Cesare, andrà a sua volta verso la virtù.

Carlo Vistoli (Giulio Cesare) salvato dalle acque (Atto III)

In realtà, l'intera trama si evolve in un  « Tutti contro Tolomeo », che si conclude con la vittoria di Cesare e Cleopatra dopo una quasi catastrofe, poiché, come ci insegna la storia, Cesare quasi perde la battaglia alla testa di un piccolo corpo di spedizione contro le truppe di Tolomeo e si trova circondato in Alessandria, ma il « fortunato » annegamento di Tolomeo XIII nel Nilo risolve la situazione.
Il libretto attinge alla leggenda di Cleopatra per alimentare questa storia complessa : Cleopatra si affida a Cesare e lo seduce (per amore o per calcolo?), Cesare vuole farsi strada in Egitto per le sue ricchezze e per preparare il suo ritorno a Roma ; ognuno ha i propri interessi, e nell'opera diventa una storia d'amore che è insieme colpo di fulmine e colpo d’opportunità.
D'altra parte, la virtuosa Cornelia è ambita da Achilla, il fedele generale di Tolomeo, da un lato, e da Tolomeo stesso dall'altro (un po' più anziano nell'opera che nella storia): capiamo bene tutte le risorse che il libretto può trarre da questa "competizione".
Così, tra amori veri o finti, desideri inappagati e virtù oltraggiate, ce n'è abbastanza per fare un buon giallo, un buon thriller. E visto che siamo sulle rive del Nilo, sappiamo che Agatha Christie si è già dilettata sull'argomento.
Così il regista Davide Livermore, trasponendo il tutto su una nave da crociera di nome "Tolomeo", ci servirà una sorta di Assassinio sul Nilo bis, con un tocco di esotico, di spettacolare, di piume e lustrini, trasformando questo Giulio Cesare in Egitto in una sorta di Musical tra i ponti della nave, che viaggia imperturbabile lungo le sponde del fiume. Sullo schermo di fondo scorre tutto l'antico Egitto delle rive del Nilo e…? E la nave va, in una versione Agatha Christie di The Love Boat.
È chiaro che l'idea di Livermore di isolare il gruppo di personaggi su una nave ricrea i fenomeni di una società piccola e chiusa, con i suoi odi, le sue ambizioni, i suoi amori nascosti o proibiti, e chiamando la nave Tolomeo, mostra chi è il padrone (almeno inizialmente), relegando Cleopatra al rango di viaggiatrice di lusso. Infatti, nella scena finale, la nave si chiama Cesare, il che dimostra chi è il nuovo padrone, ma se da un lato rende Cleopatra una "first lady", dall'altro la relega ancora una volta a viaggiatrice di lusso, questa volta ancora più lussuosa, la preferita del capitano : ma i capitani sono sempre gli uomini…

E la Nave va…

E la nave va, il film di Fellini che dimostrava che ogni società è a bordo di una nave con le sue regole e che bisogna convivere con il contesto esterno, nel caso di Fellini la Prima Guerra Mondiale e il terrorismo serbo, a confronto con una società di piacere, quella degli amanti dell'opera (è tutto dire…). È difficile credere che il riferimento a Fellini sia assente qui, soprattutto nelle scene di guerra.

Max Emanuel Cenčić (Tolomeo), Cecilia Bartoli (Cleopatra)

L'altro riferimento a Assassinio sul Nilo di Agatha Christie è altrettanto evidente allo spettatore, in primo luogo attraverso i costumi, che ricordano più il mondo della scrittrice britannica che quello di Giulio Cesare, e in secondo luogo attraverso una trama in cui ognuno ha motivi per uccidere l'altro, e quindi una società di potenziali assassini riuniti in uno spazio chiuso, che non manca di suscitare il desiderio di omicidio.

Show Boat : Cecilia Bartoli (Cleopatra), Carlo Vistoli (Cesare) (a destra)

La terza fonte di ispirazione è il Musical, in particolare in un finale che diventa (quasi) un remake di Show Boat, il musical di Oscar Hammerstein II e Jerome Kern, che si svolge sul Mississippi, ma che debuttò a Broadway nello stesso periodo in cui Agatha Christie scriveva i suoi romanzi (L'assassinio di Roger Ackroyd è del 1926) e Assassinio sul Nilo apparve nel 1937, un anno dopo il film Show Boat di James Whale.

La molteplicità dei riferimenti cinematografici e letterari dimostra che mettere tutti su una nave « a porte chiuse » è sempre una situazione produttiva, essendo la nave in ogni caso una trappola da cui non c'è scampo, anche se è anche un luogo di piacere. Ed è questa la doppia postulazione che Davide Livermore propone, non senza senso dell'umorismo, utilizzando tutta la sua solita tecnica piuttosto appariscente (Led wall, immagini video di grande effetto, colori vivaci, effetti vari) e luci molto curate di Antonio Castro.

Love Boat : Cecilia Bartoli (Cleopatra), Carlo Vistoli (Cesare)

Davide Livermore si diverte a distanziare la storia attraverso l'ironia e la spettacolarità, rifacendosi alla tradizione dell'opera settecentesca, che voleva essere uno « grande spettacolo », ma rimanendo fortemente narrativo, perché il libretto è fedelmente eseguito e rispettato.

Non c'è bisogno di cercare in Livermore una raffinata direzione degli attori o un lavoro sul personaggio che sia una lettura. Gli basta stabilire le figure, soprattutto attraverso i costumi (firmata Mariana Fracasso): gli egiziani in Checheja (cappello "Fez"), i "romani" in costumi "occidentali", e Cleopatra a volte nel costume del « privato » un po’ più sobrio leggermente dorato e sgargiante, a volte quale Cleopatra come la immaginiamo, vagamente elizabethtayloriana.

Questa regia non è ovviamente "Regietheater", ma lo spettacolo avanza, piacevoltmente assai, con effetti spettacolari come le battaglie (bombardamenti, bombardieri in picchiata, fuoco generale sul mare, quando non c'è sangue), e altri effetti più simili alla revue delle Folies Bergères, come la scena finale con piume e lustrini.

Shoot Boat : Giulio Cesare (Carlo Vistoli), il bersaglio

Alcuni momenti non mancano di umorismo, come l'arrivo di Cesare in un'assemblea di cui diffida della frutta o del cibo che viene assaggiato (onde evitare tragici errori…), o la visione di un Tolomeo XIII senza età, monello e capriccioso (l'eccellente Max Emanuel Cenčić) che affronta un bel Cesare capitano d'operetta. Va da sé che i cattivi sono gli egiziani e i buoni gli occidentali… un topos antico (un po' alla Tintin) rivitalizzato dai tempi detestabili in cui viviamo.

Non va molto in profondità, ma è facile da guardare, senza che il nostro cervello si aggrovigli in nodi inestricabili, lasciandolo libero per la musica. Non è il tipo di approccio che ci piace, ma ammettiamolo, non è troppo imbarazzante, è facile da guardare senza stancarsi, e Livermore è abbastanza abile da saper rendere la messa in scena confortevole per i cantanti, non chiedendo loro di fare molto se non di posizionarsi per cantare bene davanti al direttore… Ma come in Agatha Christie, la "rivelazione" arriva alla fine, sotto forma di un film "muto" secondo la moda dell'epoca, nel momento degli applausi che si fermano per rivelare che tutti, compresa Cleopatra, hanno sparato a Pompeo e sono quindi collettivamente responsabili della sua morte, come in Assassinio sul Nilo.

Show Boat, Love Boat e Shoot Boat.

Shoot Boat : Kangmin Justin Kim (Sesto), Max Emanuel Cenčić (Tolomeo)

Gli aspetti musicali

L'intera parte musicale e vocale è più stimolante, grazie a un'orchestra di prim'ordine e a un cast impeccabile.

C'è una sorta di show boat con un tocco di love boat negli artisti messi insieme da Cecilia Bartoli. La Bartoli è una show woman e costruisce uno spettacolo (ecco perché alcuni la odiano), questo è l'aspetto dello show boat, ma nel farlo impone un repertorio non sempre facile o usuale a un pubblico nuovo che viene solo per lei e si lascia trascinare da Handel, Gluck o Monteverdi. La Bartoli funziona come « esca », ma impone un approccio rigoroso e senza compromessi, con équipe coerenti impegnate con lei, che non subiscono alcun calo di qualità.
È impossibile realizzare uno spettacolo di successo come quello senza una complicità emotiva tra i partecipanti, gli orchestrali, il direttore d'orchestra e i solisti : ecco il Love boat… C'è uno spettacolo perché c'è affetto.
Riunendo tutto su una nave, Livermore metaforizza in sostanza l'avventura degli ultimi anni della Bartoli, il lato Boat, in cui tutti vengono imbarcati per una o più tournée.
E quando si raggiunge una tale qualità, ovviamente funziona tutto.

Il primo elemento dell'equipaggio è indispensabile : l'orchestra.

Ricordate : Bartoli si è fatta carico di Salisburgo-Pentecoste installando il barocco e Rossini : due campi in cui eccelleva e in cui si è affermata, in un contesto favorevole alla sua voce (la più intima Haus für Mozart). E diverse orchestre si sono ritrovate in buca, finché nel 2016, quando ha fondato la "sua" orchestra Les Musiciens du Prince-Monaco, con Gianluca Capuano alla guida, ha trovato una sorta di ideale con due postulati.
Da un lato, un'orchestra essenzialmente legata alle sue produzioni e attività, un'orchestra di strumenti d'epoca, ma anche di strumentisti scelti quasi uno per uno, come solisti, nel modo in cui Boulez fondò un tempo l'Ensemble Intercontemporain. La geometria dell'orchestra è certamente variabile, ma i suoi componenti fanno parte di un gruppo già coerente, prevalentemente italiano ma non esclusivamente, e che lavora non su un repertorio di routine, ma su un progetto, per il piacere di fare musica insieme.
Gianluca Capuano, organista e direttore di coro, ma filosofo quanto musicista, è l'artefice di questo lavoro certosino e della rete di relazioni che hanno portato a questa orchestra di qualità esemplare. Un artigiano la cui ricerca e cultura non si limita al repertorio cosiddetto antico, ma che cerca costantemente di dimostrare come, soprattutto nell'Ottocento, la musica cosiddetta antica o quella cosiddetta romantica non possano essere separate. Se il giorno dopo questo Giulio Cesare esegue l'inaspettato Requiem Tedesco di Brahms, è perché Brahms era appassionato anche di Handel e Bach. Vedeva il repertorio che dirigeva in relazione all'intera storia della musica occidentale, con una mente ampia, ricca di riferimenti musicali e intellettuali.
È questo che rende unico questo ensemble, abituato a fare musica insieme "zusammenmusizieren" e quindi aperto all'esplorazione e alla sperimentazione, perché si confronta quotidianamente con un repertorio che è esso stesso fonte di costante esplorazione e di nuove scoperte, e la stessa Bartoli ha dimostrato di non smettere mai di esplorare nuove arie e spazi musicali nei vari dischi barocchi che ha registrato.

Quindi non fatevi illusioni. Nelle imprese della Bartoli, lo spettacolo è la punta dell'iceberg, ma dietro c'è apertura, ricerca, rigore, duro lavoro e intelligenza in un'atmosfera calda.
Gianluca Capuano non fa grande scalpore sui media, ma è l'architetto che consolida costantemente le fondamenta musicali di casa Bartoli e il suo lavoro si fa sempre più notare : basti pensare al folgorante successo a Salisburgo-Pentecoste 2023 de L'Orfeo di Monteverdi nella produzione per marionette di cui abbiamo riferito a suo tempo.
Gianluca Capuano non è nuovo a Handel, essendo apparso con i Musiciens du Prince-Monaco in Ariodante nel 2017 e Alcina nel 2019 a Salisburgo, e più recentemente in Semele nel 2023 alla Bayerische Staatsoper con la Bayerisches Staatsorchester. Questa volta affronta Giulio Cesare in Egitto con lo stesso rigore e precisione, ma anche con la stessa fantasia.
Nell'opera di Haendel c'è una vasta tavolozza di situazioni che corrispondono ugualmente a diversi stati d'animo musicali ; ci sono momenti vertiginosi di fantasia e altri più cupi, più interiori, in una successione drammatica che permette tutta una serie di effetti diversi che vanno da spettacolari fuochi d'artificio vocali a momenti più meditativi.

Sempre un po’ rigido sul podio, Gianluca Capuano non è certo un attorucolo alla Currentzis che attira l'attenzione. Ma se da un lato i suoi gesti precisi e il suo sguardo acuto mostrano un notevole rigore di approccio, dall'altro sa sprigionare una fantasia, un'immaginazione, una libertà timbrica che conferisce all'orchestra una presenza spesso più marcata, con colori molto ricercati, sonorità particolarmente lavorate nello spessore orchestrale che non sempre abbiamo l'opportunità di ascoltare in ensemble su strumenti d'epoca, e in questo repertorio. Con Gluck, a Salisburgo quest'estate e a Pentecoste, è stato in grado di trasmettere ritmi e modelli sonori che hanno mostrato anche l'influenza che Gluck avrebbe potuto avere sul futuro, ad esempio con Wagner. Crea effetti sonori sorprendenti, pause di tempo, tensione e, allo stesso tempo, una varietà di approcci che rendono l'esecuzione emozionante dall'inizio alla fine, soprattutto perché si preoccupa sempre di dare al continuo un vero ruolo teatrale. Ex direttore di coro, sostiene costantemente le voci, soprattutto quando ne percepisce le debolezze. Ciò che mi colpisce sempre del suo approccio, e che qui conferma, è sia il tempo vivace, che non corre mai a vuoto, sia la preoccupazione di dare peso e una vera presenza teatrale all'orchestra, che ovviamente suona magnificamente nella Salle Garnier, le cui dimensioni sono ideali per questo tipo di repertorio, e l'ouverture in due parti, con la sua rara vivacità, ci dà già un'idea…
Ed è anche in questo modo di accompagnare il palcoscenico senza mai nascondersi dietro le voci, ma anzi essendo uno dei protagonisti dell'esecuzione, che verifichiamo la qualità di un'orchestra che dimostra una padronanza tecnica non comune, uno slancio molto singolare e allo stesso tempo la voglia di andare il più lontano possibile, e persino di superare i limiti.
Ci sono direttori che dirigono velocemente, e ci sono altre ottime orchestre barocche, questo è ovvio, ma Capuano mantiene un tempo costante senza mai correre, senza mai sorvolare, senza mai dimenticare lo spessore della partitura, fornendo una lettura chiara, limpida, suoni puliti, qualunque sia il tempo, è in un certo senso orizzontale e verticale, lasciando respirare i musicisti senza mai imbrigliarli, ma senza mai abbandonarli per un momento, perché ha un'altra caratteristica importante : Guarda il palcoscenico, coglie la messa in scena, ne trae anche le conseguenze musicali e segue i ritmi dei cantanti e i loro movimenti. Quindi « compone » nel senso che decide sul momento quale respiro adottare in base a ciò che accade sul palco, o anche se ciò che accade è inaspettato o non del tutto pianificato. E l'orchestra, abituata all'esercizio e in piena sintonia con il direttore in questo Zusammenmusizieren, si adatta immediatamente.

Il risultato è chiaro : c'è una sorta di stretta corrispondenza tra il testo e le parole e gli strumenti dell'orchestra, non che l'opera sia un'opera di conversazione alla Richard Strauss, ma ogni momento ha il suo colore, ogni stato d'animo è disegnato, e gli stati d'animo sono molteplici e mutevoli, tanto che l'orchestra risponde all'espressività dei cantanti con una tavolozza di colori espressivi che estendono la voce e allo stesso tempo veicolano i meccanismi drammatici, come nel recitativo accompagnato Alma del gran Pompeo (Atto I, 7) e, in modo molto diverso, nella scena Achilla-Tolomeo-Cesare (Atto I sc. 9 ), dove tutta la conversazione è a mezzobusto o allusiva, o addirittura con frasi dal doppio significato, con un continuo vivace e a tratti quasi leggermente ironico, seguito dall'aria di Cesare, annunciata da una sequenza orchestrale fluidamente collegata a quella che la precede, La musica un po' pomposa apre la formidabile aria Va tacito e nascosto, che è un vero e proprio dialogo con l'orchestra, che risponde, prende l'iniziativa, scambia con la voce, e in cui il corno di Ulrich Hübner fa la parte del leone come seconda voce dell'aria. Parleremo ancora del duetto tra Thibault Noally al violino e Carlo Vistoli, un altro momento saliente dell'esecuzione, ma vorrei soffermarmi un attimo sull'aria di Achilla Tu sei il cor di questo core, dove alla voce profonda del basso-baritono fa eco la leggerezza dei violini, quasi a mettere in prospettiva le parole di Achilla, creando un sistema di contrasti.  Ogni volta l'orchestra si adatta, si accompagna e si circonda con una sorta di puntinismo a situazioni molto diverse con una flessibilità sorprendente. Non si ha mai l'impressione di una sorta di rituale recitativo-aria-da capo, in cui la trama è un susseguirsi di momenti interrotti da recitativi che riempiono i vuoti ; al contrario, si ha l'impressione di un insieme unitario, senza soluzione di continuità, in una fluidità sorprendente che dà al teatro musicale i suoi pieni diritti.
La qualità dell'orchestra gioca un ruolo decisivo, conferendo alle voci un comfort speciale e creando un contesto e un'atmosfera in ogni momento, rendendo questo Giulio Cesare una festa di colori che lega lo strumento e la voce in una vera unità.

Immagine finale : in alto, Carlo Vistoli (Cesare) e Cecilia Bartoli (Cleopatra), e il coro

Anche se il coro diretto da Stefano Visconti non ha un ruolo decisivo nell'opera, i suoi interventi sono sempre controllati e vivaci, trasmettendo una gioia di vivere che corrisponde a quiello che chiamiamo show boat…

Secondo elemento dell'equipaggio : le voci

L'altro punto di forza di questo Giulio Cesare in Egitto è il cast, dove a parte Péter Kálmán (Achilla), che è un basso, le donne hanno voci piuttosto gravi (due mezzosoprani, e che mezzosoprani ! ) e tre controtenori si dividono i ruoli maschili (acuti), il che dal punto di vista del colore vocale dell'ensemble è piuttosto singolare e allo stesso tempo entusiasmante perché ogni voce, anche in registri vicini, ha una sua personalità e una duttilità, un timbro e un'espressione che la distinguono da tutte le altre.

Come ripetiamo sempre, un cast per essere pienamente riuscito deve essere omogeneo dall'inizio alla fine, a partire dai ruoli di supporto, in questo caso Luca Vianello (Curio) e Federica Spatola (Nireno), sono entrambi ineccepibili.

Péter Kálmán (Achilla)

Achilla è Péter Kálmán, un basso-baritono ben noto sui palcoscenici internazionali e familiare ai cast delle produzioni di Cecilia Bartoli (Alcina, Norma e altre): qui è Achilla, a metà strada tra il serio e il buffo, e Livermore lo trascina verso il basso-buffo, dove eccelle. Il personaggio inizia come anima dannata (o soldato fedele) al servizio di Tolomeo, ma ha la debolezza di gettare un occhio insistente su Cornelia, la vedova di Pompeo ora libera, a sua volta ambita da Tolomeo. Lei glielo rifiuta, così lui passa dall'altra parte, quella di Cesare, sentendo che la sua fedeltà è stata mal ripagata. Si è distinto per i suoi recitativi vivaci e altamente espressivi, ed è stato molto convincente sul palco, nei panni di un personaggio un po' goffo e alla fine abbastanza innocuo, tipico di un album di Tintin. Vocalmente non ha la duttilità degli altri, soprattutto nei vocalizzi, che mancano un po' di elasticità, ma ha espressione, proiezione e presenza vocale, ad esempio nell'aria Dal fulgor di questa spada del terzo atto o nella più trattenuta e distante Tu sei il cor di questo core.

Sara Mingardo (Cornelia), Kangmin Justin Kim (Sesto)

Straordinariamente mobile e giovanile, a volte persino volteggiante, il giovane controtenore Kangmin Justin Kim (che si è anche specializzato nell'imitazione di Cecilia Bartoli) è una rivelazione in questo cast, un Sesto dotato di una forte presenza scenica che contrasta con la rigidità romana della Cornelia di Sara Mingardo. Le due voci si combinano bene anche nel duetto son nata a lagrimar, in un preciso lavoro con l'orchestra che ho trovato stupefacente, prima con il recitativo accompagnato in buca dal continuo in una forma non di accompagnamento ma di dialogo nel lamento e poi nel duetto, con accenti sia nell'orchestra, veramente coinvolta, sia nelle voci, che riprendono l'una la voce dell'altra in una sorta di duetto d'amore che, oserei dire, mi ha ricordato per un attimo Pur ti miro da L'Incoronazione di Poppea. Il canto di Kangmin Justin Kim ha una sorprendente energia, freschezza e virilità adolescenziale (la sua aria in II,11 L'aure che spira tiranno e fiero). Il timbro non ha la purezza di altri controtenori e non è privo di una certa acidità, ma la voce ha una forte espressività, un senso di pathos e un'energia che funzionano perfettamente in questa produzione, ma forse meno in un'esecuzione in forma di concerto.

Péter Kálmán (Achilla) Sara Mingardo (Cornelia)

Sara Mingardo rimane uno dei punti di riferimento del canto barocco, qui nel ruolo di Cornelia, la (seconda) moglie di Pompeo e matrigna di Sesto. Familiare con il ruolo, ha una presenza scenica impeccabile, un timbro inalterato, una scienza dell'emissione e un senso della parola che restano stupefacenti. Il suo Deh piangete o mesti lumi (II, 3), meravigliosamente e delicatamente accompagnato, è un miracolo di chiarezza, semplicità e nobiltà disadorna. Sara Mingardo è una pietra miliare del canto barocco.

Max Emanuel Cenčić (Tolomeo)

Max Emanuel Cenčić è Tolomeo e affronta il Cesare di Carlo Vistoli : due controtenori di due generazioni diverse. Cenčić è uno stilista, di rara eleganza, che forse non si accorda con l'idea che abbiamo di Tolomeo, il malvagio e brutale sovrano d'Egitto. Innanzitutto va salutata la composizione scenica, in cui interpreta un personaggio velenoso e instabile, una sorta di adolescente ritardato che gioca con il suo potere e con il popolo come con un pallone da biliardo, senza fede né pietà. Un personaggio negativo, che deve rendere evidente nel suo canto, che riflette l'ineleganza dell'anima. Dà al personaggio una forte presenza scenica fin dalla sua apparizione. Attraverso i suoi gesti e il modo in cui si muove, fa sentire il divario tra sé e gli altri. A prima vista, trasuda tradimento. E il suo canto incisivo, incredibilmente preciso ed espressivo, è interamente al servizio dell'incarnazione del personaggio, come ne L'empio, sleale, indegno (I,6) con un canto vigoroso e omogeneo, morbido malgrado brutali cambi di registro, sempre chiaro nell'emissione e di notevole potenza negli acuti, o la suprema eleganza di Belle dee di questo core (II,9). Riesce a non essere mai una caricatura, ma sempre più inquietante e velenoso in un ruolo che spesso viene reso come un cattivo brutale e caricaturale.

Show Boat : Carlo Vistoli (Giulio Cesare) come Showman

Di fronte a lui c'è Carlo Vistoli, un Cesare performante e (quasi) da operetta, il che non è assolutamente una critica, visto che la messa in scena lo trasforma nel gentile e sorridente capitano del Musical americano. La performance si compie nella sua aria Se in fiorito ameno prato, in Rock star con microfono e grida in inglese (one, two, three…) di fronte al virtuoso violino di Thibault Noally sul palco, una sorta di "pezzo ironico chiuso" in cui trionfa, per la potenza, l'espressione, lo spirito e i ritmi, e soprattutto per un'ampiezza vocale e una linea di canto che non mancano di stupire. La voce si è allargata, si è fatta più solida e corposa, e conferisce a Cesare un'incredibile presenza scenica, impegnata e complice della messa in scena, con un'intelligenza e un tempismo assolutamente seducenti. Si dimostra davvero versatile, ironico o addirittura comico, a volte patetico (come nell'aria Aure deh per pietà, preceduta dal bellissimo recitativo Dall'ondoso periglio), variando le sfaccettature del personaggio senza mai perdere una certa distanza, come se sapesse in anticipo qual è il gioco del potere, anche con Cleopatra con cui forma una coppia forse più "politica" che sentimentale, una coppia per i paparazzi e i giornali. Arriva in Egitto come politico : la sua prima apparizione e la sua prima aria Presti omai l'egizia terra è vista da Livermore come una sorta di conferenza stampa.   Qui ci ha regalato una vera e propria composizione. La voce è densa, formidabilmente duttile nelle sue agilità, ma anche capace di tenere una linea perfetta nei momenti più cupi, con regsitro grave insolito per questo tipo di voce, ma anche con un registro centrale carnoso. C'è qualcosa di vivo e vibrante in questa voce, qualcosa di eminentemente teatrale, che lo rende uno dei Cesare più adatti che abbiamo visto negli ultimi anni. Una performance magnifica, e ancora una volta un vero e proprio "slancio".

Cecilia Bartoli (Cleopatra)

Infine, Cecilia Bartoli, per la terza volta in scena nel ruolo di Cleopatra, ha dimostrato un singolare adattamento ai contesti e alla propria voce. La Bartoli ha sempre saputo lavorare con i propri limiti vocali e le proprie qualità intrinseche, con un'intelligenza non comune che conferisce a ogni sua interpretazione una particolarità, una versatilità che mira a dare ogni volta il massimo possibile in uno stile che non cede mai alle facili vie di mezzo. Il ruolo di Cleopatra è travolgente, con molte arie, ma anche momenti più languidi, più meditativi, più malinconici, ma con cambi di umore all'interno delle arie stesse, come in Piangerò la sorte mia. Come Mingardo, è una "narratrice" del testo, conferendogli una rara chiarezza ed espressività. La messa in scena gioca sul suo personaggio mitico alla Elizabeth Taylor e sul suo personaggio privato, inizialmente relegato come ho detto al rango di passeggera di lusso sulla nave Tolomeo, e gioca su queste due facce dello stesso Giano nel modo in cui affronta le arie, il pubblico e il privato, che corrisponde ogni volta a un modo diverso di cantare, a volte giocoso nei fuochi d'artificio, a volte interiore, a volte per se stessa, a volte per gli altri, compreso Cesare, dando a ogni momento un'inflessione diversa, usando trucchi tecnici diversi. Ha un modo unico di tradurre le evoluzioni psicologiche, giocando sui volumi, sul colore, sulla falsa fragilità e sulla vera solidità. Gioca con il pathos in Se pietà di me non senti (II,8) con una padronanza tecnica impeccabile. Come tutti le grandi cantanti, mette il suo stato vocale del momento, o addirittura della serata, al servizio dell'espressione, rendendo ogni esecuzione un momento singolare e intenso. Riesce a fare della scienza di Belcanto non un'esibizione tecnica di artifici acrobatici, ma un'arte della carnalità vocale, dove la parola, le parole e il respiro per primi conferiscono al personaggio un'incredibile umanità. Ecco perché la donna che qualche anno fa era un'incredibile Norma è oggi una Cleopatra ancora insostituibile.

 

Se riuscirete a fare il viaggio, avrete l'opportunità di assistere a questo spettacolo di riferimento all’Opera di Vienna i 6 e 9 luglio 2024, con la stessa orchestra, lo stesso direttore e lo stesso cast.  Non perdetevi queste due date.

Article précédentIl mio pianeta Abbado
Article suivantUn'Aida “messinese”

Autres articles

LAISSER UN COMMENTAIRE

S'il vous plaît entrez votre commentaire !
S'il vous plaît entrez votre nom ici