
La serenata in due parti Marc’Antonio e Cleopatra è ideale per essere messa in scena in epoca di Covid, in quanto non solo prevede due cantanti e un gruppo molto ristretto di strumentisti ma, essendo praticamente priva di plot, non necessita di particolari allestimenti o movimenti. Qui Lucio Diana prova a catturare l’attenzione dello spettatore con costumi vicini a un neoclassicismo rivisitato e una gestualità tesa a sottolineare i contenuti delle arie e dei recitativi ma, in fondo, ben si poteva prestare la serenata a essere rappresentata puramente in forma di concerto. Soprattutto per l’ottima prova dell’Accademia Bizantina diretta da Ottavio Dantone, che, sulla lineare successione di arie e recitativi che appaiono abbastanza convenzionali, cerca e sottolinea ogni palpito, ogni differenza su cui concentrare l’attenzione dei bravi strumentisti. La musica dell’epoca e del genere ha la funzione principale di intrattenimento (e infatti Hasse scrive la serenata in occasione del compleanno di Elisabeth, consorte del kaiser Carlo VI : siamo negli anni in cui Napoli era sotto il governo asburgico) ma Dantone dà giusta enfasi al sostegno che la musica consente al canto e i numerosi da capo sembrano sempre rinnovarsi con insolito vigore.
La scena si svolge all’indomani della battaglia di Azio e i due amanti sconfitti si chiedono cosa sarà del loro futuro : fra nostalgia del passato e della grandezza perduta e rinnovati giuramenti d’amore, essi decidono di morire piuttosto che umiliarsi davanti al vincitore Ottaviano, però il clima di fosca tragedia nel finale si capovolge nella visione profetica di una nuova coppia che rifulge come astri in cielo, Carlo ed Elisabetta d’Asburgo per l’appunto, restauratori della gloria antica sulle rive del Danubio.

Pregevoli le interpreti : Delphine Galou dalla scura voce contraltile a suo agio nelle agilità di Marc’Antonio, capace di venarsi di languido patetismo alternato a contenuto furore nell’aria “Come veder potrei” e Sophie Rennert, soprano agile dalla voce cristallina e dal trillo sgranato che eccelle nell’acrobatica e pirotecnica aria “A Dio trono, impero a Dio”.

Il numeroso pubblico, distanziato come da disposizioni ministeriali, ha riservato agli interpreti molti generosi applausi, sia a scena aperta nella parte seconda sia nel finale. Da considerare che l’allestimento all’aperto nello splendido cortile della Mole Vanvitelliana, architettura metafisica di neoclassica purezza pur nei rispettosi interventi successivi, in una tiepida notte stellata, ha avvicinato gli spettatori alle suggestioni ambientali di quella prima rappresentazione, quasi tre secoli fa, presso il casino Carmignano a Piscinola di Napoli.