Jaroslav Kvapil, l'autore del libretto, ha sottolineato le fonti della sua storia (in particolare La Motte Fouqué e Andersen, oltre alle leggende ceche), ma i motivi e i temi dei racconti circolano nelle diverse tradizioni in modo evidente o, al contrario, segreto. Ninfe, spiriti dell'acqua malefici o meno (Lorelei) o laghi nelle profondità delle foreste sono atmosfere abituali, come i cacciatori incalliti che sono personaggi emblematici dei racconti : In tutti questi racconti soprannaturali, ci sono “universali” che si immergono in profondità nella mitologia o nelle mitologie…
Mentre la maggior parte delle storie da cui Kvapil ha tratto ispirazione non finiscono così male, Rusalka termina in una sorta di catastrofe generale, un “ti amo, ti uccido” in cui il Principe (non così azzuro) muore dopo aver baciato per l'ultima volta la giovane ninfa dell'acqua e lei ritorna nel mondo di isolamento che voleva lasciare all'inizio dell'opera.
Ancora una volta, questa storia del contatto fallito tra il mondo umano e quello soprannaturale è un topos presente fin dall'antichità… I contatti tra dei e mortali nella mitologia greca raramente si concludono positivamente per il mortale… i mondi sono paralleli, e ogni incontro è pericoloso. Lo scrittore sud-americano John Maxwell Coetzee lo ha illustrato magnificamente nel capitolo “Eros” del suo romanzo Elizabeth Costello.
Rusalka è la storia di questo fallimento e di questo pericolo, che nasce da un desiderio dell'altro che finisce nell'aporia ; Rusalka desidera un umano e scopre di essere totalmente isolata ed emarginata tra gli umani, ma anche dal suo stesso mondo da cui si è esclusa. Non può vivere in nessuno dei due mondi, e non può nemmeno morirci. Una situazione davvero tragica. Rusalka non è una fiaba, è una tragedia, resa ancora più violenta dal fatto che a Rusalka viene negato anche lo status di eroina tragica.
Dmitri Tcherniakov spiega nel programma di sala di non aver voluto mettere in scena quest'opera ma poi di non aver voluto continuare a trattarla come una favola (“lo scopo è di avere una Rusalka diversa, non una Rusalka da fiaba, ma una Rusalka vera… Ho tolto tutta la parte della favola e così i personnagi acquisiscono uno spessore psicologico”) Ma la tavolozza letteraria delle possibili narrazioni è ampia e per uno specialista nella riscrittura dei libretti – o nella loro rinnovata contestualizzazione – come Tcherniakov, la scelta questa volta è stata quella di una graphic novel, in stile “fantasy”, in qualche modo ispirata a Roy Lichtenstein, soprattutto per le figure umane, che riproducono gli interpreti dell'opera, perfettamente riconoscibili (Video di Alexey Poluboyarinov, animazioni di Maria Kalatosishvili). Ciò che Tcherniakov vuole mostrare in Rusalka è l'irrimediabile tragedia della solitudine attraverso un immaginario contemporaneo, non l'immaginario delle fiabe rivisitate nell’Ottocento alla Motte Fouqué, alla Andersen o addirittura alla Hoffmann : non gli interessa il romanticismo dark. Ciò che gli interessa è il destino di una giovane ragazza moderna e insoddisfatta che non appartiene a nessun luogo, che non si sente bene da nessuna parte. Inoltre, sebbene, come di consueto, scriva l'argomento atto per atto nel programma di sala, esso è ridotto all'osso, privo di qualsiasi dettaglio, totalmente incentrato su ciò che Rusalka sta vivendo, con una semplicità e una concisione che appaiono quasi spaventose. In questo modo, presenta la radicalità della sua scelta. Riproduciamo i suoi riassunti prima dell’analisi di ogni atto.
Atto primo
Rusalka racconta a Vodnik del suo amore per un certo Principe. Non conosce ancora il Principe, ma è pronta a qualsiasi cosa pur di stare con lui. Rusalka decide di abbandonare Vodnik per sempre. In cerca di aiuto si rivolge a Ježibaba, la quale l’avverte che Rusalka potrà comprare la sua felicità solo ad un prezzo crudele, perderà il dono della favella. Se la persona amata dovesse tradirla, lei tornerebbe indietro, ma rifiutata e dannata. In questo cas, l’amato dovrà morire.
Rusalka accetta ogni cosa.
(Dmitri Tcherniakov)
Il punto di partenza è un club di nuoto sincronizzato, di cui Rusalka fa parte, e Vodnik, lo Spirito delle Acque, è un allenatore molto vicino con la mano errante e molto insistente… Tcherniakov mostra gli approcci di Vodnik nel cartone animato, ma non trae conclusioni leggibili o sottolineate, si limita a esporli : spetta allo spettatore fare le proprie osservazioni e conclusioni. Il desiderio di fuga di Rusalka è motivato dal Principe lontano che ha intravisto o dall'insistente allenatore che la molesta ?
Questa è una delle caratteristiche di questo spettacolo, tutto di suggestioni, in cui lo spettatore deve creare il legame tra il cartone animato e le scene teatrali in una sorta di affascinante balletto tecnico (e magico) che gioca sull'apparente semplicità (!) dei macchinari e sulla sottile illuminazione di Gleb Filshtinsky.
è infatti il cartone animato che spiega e chiarisce le questioni… Il Principe in bermuda e camicia aperta, come un playboy da spiaggia, guida una Ferrari rossa, con il suo amico cacciatore come passeggero. Lo "spirito del lago" è il coach che allena una squadra di giovani ragazze, che nel libretto originale è il padre di Rusalka, implica che questo spirito “paterno” con le mani vaganti si riferisce ovviamente all'incesto, un tema che Tcherniakov ha trattato magistralmente nel suo lavoro su Salomè ad Amburgo. Ma si riferisce anche chiaramente a tutti i casi di “comportamenti inappropriati nello sport” che hanno dominato e continuano a dominare le cronache, dove giovani ragazze (il più delle volte), affascinate dal loro allenatore, una sorta di secondo padre, hanno subito abusi deleteri, soprattutto in isolamento, lontano dalle loro famiglie o nella totale negazione dei loro cari che rifiutano di ammeterlo. Questo tipo di vicende sono su tutti i giornali, e ciò che Tcherniakov mette in luce è la sporca contemporaneità che distrugge le giovani personalità in formazione. All'inizio del secondo atto, ad esempio, il guardiacaccia e lo sguattero (cantati da un soprano) diventano il padre e la madre di Rusalka, una coppia affettivamente lontana dalla giovane ragazza, intrappolata e muta tra loro. Famiglie vi odio !
Tcherniakov dice tutto, rimandandoci a questo mondo deleterio e perverso, mostrando la giovane donna nella sua singolare innocenza, nella sua strutturale alterità, in relazione al mondo che abbraccia, quello degli umani (questa è la storia tradizionale), ma anche al mondo da cui fugge, il suo ambiente, altrettanto oscuro e ostile.
Il cartone animato fa luce sul contesto e dà un'immagine terribile del mondo che circonda i personaggi, iniziando con una piscina dove le giovani nuotatrici giocano, poi molto rapidamente l'allenatore in mezzo agli spogliatoi e le ragazze che si cambiano d'abito, poi all’incontro ravvicinato con Rusalka. Si passa dal balletto delle “giovani ninfe” alla realtà cruda dello spogliatoio e del backstage con il coach "voyeur": ecco il mondo delle acque. Quando si passa a quello degli umani, è un mondo visto da due angolazioni, da un lato – e il cartone animato lo sottolinea – visto con gli occhi di Rusalka, che vede solo il suo Principe, come se fosse solo al mondo – quindi il resto della scenografia è deserto – ma per lo spettatore è un mondo vuoto, un mondo concreto di alti edifici e marciapiedi vuoti, strade deserte, e interni gelidi fatti di lunghi corridoi di porte chiuse, altrettanto vuoti. Rusalka si concentra sul Principe senza vedere il resto, e noi vediamo questo mondo senz'anima, con il Principe visto essenzialmente di spalle, che seguiamo come se camminasse senza scopo.
Le scene cantate si svolgono in trasparenza nella totale spoglia teatrale, uno spazio vuoto con poche sedie : solo i costumi (di Elena Zaytseva, come sempre) permettono l'eco tra disegno e teatro e il rapporto tra il disegno (la storia vera e propria) e il palcoscenico (l'illustrazione della storia, quasi una nota a piè di pagina) con sottili giochi di focali, ampie, zoomate. Mi ha ricordato un po' l'immensa produzione di Peter Stein del Wozzeck al Festival di Pasqua di Salisburgo nel 1997 (scenografia di Stefan Mayer, Claudio Abbado in buca), che si basava anch'essa su questo gioco di cambi di focale a seconda della scena, focalizzando l'occhio in vari modi e mettendo costantemente lo spettatore nella posizione di voyeur.
Tcherniakov sostituisce una narrazione, la fiaba, con un'altra, molto contemporanea, la graphic novel come già detto, raccontando una storia con la stessa posta in gioco, provocando gli stessi drammi, in cui Rusalka è al centro, costantemente in scena o quasi, testimone degli altri o protagonista, persa nella sua solitudine, nella sua fragilità e incomprensione e soprattutto nella sua fuga.
Questa Rusalka “non umana”, in visita agli umani per amore di un bel principe visto in riva al lago, sperimenta la differenza, l'alterità, la marginalità che lei non sente all'inizio perché è tutta amore per il suo principe, ma che gli altri vivono come estranea, strana, soprannaturale. Come simbolo della sua alterità è muta : fa parte del contratto di umanizzazione che ha firmato con Ježibaba la strega. Lo stare muto è un ulteriore “strato di alterità” che la isola, la rende parzialmente impermeabile agli altri, la rende un “oggetto”, un oggetto d'amore forse, ma che difficilmente potrà esprimere il proprio amore.
Il contratto con Ježibaba visto come una sorta di consultazione in un comodo salotto (in disegno) e dove Tcherniakov imposta la scena “teatrale” come una presa di potere schiacciante da parte di una Ježibaba imperiosa che in realtà sta solo dispiegando esattamente ciò che accadrà nell'opera, come una visione del futuro, l'amore in cui lei dà tutto, ma che presto diventa disamore da parte del Principe, e la fine, nella maledizione e nella necessaria morte del Principe.
In questo primo atto, Rusalka è vestita con abiti troppo grandi per lei, un maglione con cappuccio in cui galleggia, ancora una volta segno di inadeguatezza : è a disagio, mal vestita e già singolare, come una senzatetto, una senzatetto del mondo intero.
Tcherniakov concepisce l'incontro con il Principe come un incidente in cui lei finisce sul cofano della gigantesca Ferrari. È inanimata, il che non è una cattiva idea.
Incidente significa “qualcosa che accade”, come qualcosa che ti cade addosso e non puoi evitarlo. Rusalka cade sul Principe (sulla Ferrari che lo simboleggia) inanimata e muta, come se in qualche modo questo stato muto fosse la conseguenza dell'incidente… caduta dal Cielo, e offerta perché inanimata e completamente nelle mani del Principe… Offerta, un altro status di oggetto. Così caduta dal cielo, diventa oggetto del Principe.
Atto secondo
Una sera, il principe riceve degli ospiti. Rusalka vive in casa sua già da qualche tempo. Tra gli invitati si sparge la voce che il Principe abbia trovato da qualche parte una ragazza assai strana e intende sposarla. Ma il Principe dedica sempre meno attenzione a Rusalka. Passa il tempo con la Principessa straniera, che è arrivata in visita. Rusalka è disperata. Invano implora l’aiuto di Vodnik, che di nascosto si è introdotto nella casa del Principe. Nemmeno lui può aiutarla. Rusalka abbandona la casa del Principe.
(Dmitri Tcherniakov)
Il secondo atto è forse il più terribile dei tre, perché è caratterizzato da aspre opposizioni e contrasti…
Singolare audacia di Antonín Dvořák : la sua eroina è muta. Il silenzio nell'opera è ovviamente come il nadir per il sole, in altre parole l'impensabile. È muta praticamente per tutto l'atto, e in questa messa in scena non esce mai dal palcoscenico, in una sorta di statuaria fissità contrapposta a uno sguardo vivace e mobile : nulla le sfugge e tutto è un dolore.
Ovviamente, anche in un allestimento tradizionale, è necessario una cantante con una personalità scenica particolarmente forte per incarnare questo momento così particolare in cui il personaggio esiste perché tace e non perché canta.
Asmik Grigorian rimane fissa per lunghi minuti, con lo sguardo tuttavia vivo, con una presenza moltiplicata che fa sì che lo sguardo dello spettatore sia costantemente concentrato su di lei.
Nelle scene con il Principe e la Principessa straniera ci stupisce con i suoi gesti, che a volte sono bruschi, sfasati, quasi asociali, mentre in altre mostrano una naturalezza di movimento che rende le sue reazioni ancora più particolari : questo è il risultato della combinazione tra il genio di Asmik Grigorian come attrice e il lavoro meticoloso di Tcherniakov sui movimenti, il contatto visivo e la fluidità dei gesti. Tcherniakov rivela immediatamente la “normalità” umana e la singolarità della ragazza, guardata, incompresa, presto ignorata e quasi derisa. La “normalità” umana diventa poi aggressione, quasi insopportabile e straziante.
Nella narrazione,o meglio nello schema narrativo del racconto, il secondo atto è l'atto di rottura, con, nella tradizione di Vladimir Propp nella sua Morfologia della fiaba, e di Algirdas Julien Greimas e Claude Brémond, un elemento “dirompente”, la principessa straniera.
Il Principe si è innamorato di Rusalka, anche se è muta, e si preparano a celebrare le nozze, ma circola la voce che egli sia già stanco di questa misteriosa e muta giovane donna e che una “principessa straniera” susciti il suo interesse.
È interessante notare che Rusalka è altrettanto “straniera” della Principessa straniera, anzi lo è doppiamente : è straniera sia per la sua origine che per la sua stranezza, mentre la Principessa straniera è semplicemente straniera, senza alcuna “stranezza” ne marginalità, e quindi mostra una rassicurante “normalità” agli occhi del principe e della corte.
Nella visione di Tcherniakov, la Principessa straniera è davvero l'elemento che disturba, nel senso che è l'opposto di Rusalka : parla quando l'altra tace, ama, si mostra, si muove in volute sensuali quando l'altra è irrimediabilmente fissa e immobile, ridotta a guardare. La principessa “straniera” può essere straniera, ma non è una "diversa”.
Dmitri Tcherniakov fa della principessa straniera una donna sensuale che sa cosa significa sedurre, la cui unica funzione è quella di rivelare ciò che finora non è stato menzionato : il desiderio, il calore del desiderio e la passione carnale. Questa relazione (e la sua rapida evoluzione) si svolge in tutta la sua crudezza e carnalità sotto gli occhi di Rusalka : è una rivelazione del potere della carne, ma anche della frustrazione provata dal Principe che parlando a Rusalka non solo ripete più volte “voglio possederti”, ma nota anche la freddezza della giovane, i suoi baci gelidi contro i quali essa non può fare nulla. Ha assunto la forma umana senza averne appreso o sperimentato il calore, il suo sangue delle acque è freddo e non può rispondere al calore della passione. Aporia.
La principessa straniera si frappone tra i due e inizia così una seduzione che allo stesso tempo fa intravedere al Principe tutto ciò che Rusalka non può dare, cioè la sua totale mancanza di impegno sensuale.
Il contrasto scenico tra la rigidità della giovane e la sinuosità della principessa (la superba Ekaterina Gubanova, famosa Venus nel Tannhäuser di Tobias Kratzer a Bayreuth) è impressionante, ma ciò che è ancora più tragico è l'irrimediabile solitudine, una solitudine che viene dagli altri – la corte, gli sguardi, il mondo umano – ma anche da se stessa, perché non può dare ciò che non ha e ciò che non conosce e sta per scoprire, il maledetto calore umano…
Segue una delle scene più terribili dell'intera serata, quando, di fronte alla corte, è proprio lei l'oggetto di questi sguardi e di questa ostilità ottusa e sarcastica…
Ancora vestita con la tuta da ginnastica, affronta una corte (o un gruppo di amici del Principe) tutta in costume caricaturale, tutta travestita, il travestimento che diventa ovviamente ciò che nasconde la naturalezza e crea l'artificio del rapporto sociale. Come al solito, si comincia con il disegno che rappresenta l'assemblea, che poi appare in forma teatrale
con il principe al centro e Rusalka davanti a tutti, come una povera ragazza smarrita di fronte a tutti questi sguardi scortesi.
Nel mezzo interviene Vodnik, lo Spirito del Lago (il “coach”), e Rusalka va a vestirsi “con gli abiti più sontuosi che ha”, secondo le parole della Principessa straniera.
E alla presenza di Vodnik che Rusalka cambia vestito, Vodnik è sempre presente al “momento giusto”, e la ragazza si veste con un sontuoso costume da sirena, il costume di una Ninfa delle Acque, che indossa a fatica, con cui cammina a fatica, come se questo costume – che è il suo costume in qualche senso “reale”, che corrisponde alla sua natura – fosse difficile da indossare, da trascinare, da sopportare.
E davanti all’assemblea, inizia una danza solitaria come quella che abbiamo visto all'inizio del primo atto. Il genio di Tcherniakov è quello di costringerla, in questo costume, a fare movimenti che vogliono essere eleganti e sensuali, ma che in realtà sono rigidi e goffi, mimando un movimento che in acqua sarebbe superbamente elegante ma che sulla terraferma è goffo…
Questa Sirena che danza falsamente è come l'Albatros di Baudelaire, che cammina pesantemente invece di volare superbamente.
Ce voyageur ailé, comme il est gauche et veule !
Lui, naguère si beau, qu’il est comique et laid !
Com’è fiacco e sinistro il viaggiatore alato !
E comico e brutto, lui prima così bello !
La sottigliezza della messa in scena non mette in ridicolo la giovane donna, ma traduce la sua goffaggine e la sua sventatezza in movimenti che le sono naturali in acqua ma che appaiono goffi o rigidi sulla terraferma, afflitta da un costume che la trattiene. Non appartiene al mondo umano e il suo costume da sirena, un travestimento come un altro, sembra rivelare il suo malessere e il fallimento del destino che ha scelto per sé.
Rusalka si presenta a corte in costume, ma vestita come se stessa, come una ninfa d'acqua, una sirena e persino con un'ingombrante coda di pesce. Si offre rivelando il suo mistero, ma per gli altri questo svelamento è un costume, e quindi una dissimulazione, un gioco, una maschera. Sta mimando se stessa e nessuno la vede o la identifica, così, mentre si mostra, è ancora vista come “altra”… Ancora una volta è incompresa, singolare, sola, avvolta nelle sue squame e nella sua disperazione. Ogni suo gesto, ogni sua iniziativa è come un colpo nel buio.
Tcherniakov ha messo in spettacolo la sensualità dove lei è esclusa, la “maledetta passione umana” come lei la chiama. La Principessa straniera e il Principe hanno convolato insieme con tanto calore, sotto gli occhi della ragazza… Quando alla fine dell'atto il Principe se ne va con la Principessa, Rusalka allora si getta tra le sue braccia e lo bacia, con quel bacio ardente ma gelido che è il primo passo che condurrà il principe stordito alla morte. Ti amo ti uccido… È una sorta di bacio di Kundry, con le stesse ambiguità, e poi segue il suo destino di donna/ninfa rifiutata e maledetta… e vederla crollare e contorcersi in preda alle convulsioni proprio alla fine dell'atto è impressionante perché queste convulsioni, che contrastano con un personaggio che il più delle volte se ne sta in disparte, senza muoversi, con lo sguardo su tutto ciò che lo circonda, sono tutte violenze represse che iniziano a fuoriuscire qui, ed è profondamente commovente.
Atto terzo
Qualche tempo dopo, Rusalka è in preda a un'angoscia senza speranza, Ježibaba le consiglia di lavare via l'offesa con il sangue del Principe. Rusalka rifiuta con orrore. Ama ancora il Principe ed è pronta alle sofferenze più atroci purché lui viva felice. Il Principe incontra Rusalka, che gli dice che il suo bacio per lui sarà mortale…
(Dmitri Tcherniakov)
Il terzo atto è quello della disperazione e della risoluzione.
Dove vado, dove sono, chi sono, non lo so più, ho perso la testa…[1].
Tcherniakov utilizza il cartone animato come promemoria (con titoli intermedi per orientare lo spettatore) per concentrarsi ancora di più sul teatro e sulle scene successive che confermano l'irrimediabile desolazione di Rusalka : torna nel suo mondo, ma ne è esclusa ; anche i suoi vecchi amici si allontanano. Nel suo mondo è da sola.
Va a consultare Ježibaba.
Il risultato è un susseguirsi di scene particolarmente curate nella struttura del movimento e nella definizione dei personaggi, con Rusalka che è allo stesso tempo il personaggio fragile e indifeso che attraversa l'opera, ma allo stesso tempo ostinato, che insegue il suo sogno e la sua meta. Nella fissità del personaggio, che è una delle caratteristiche della regia di Tcherniakov, c'è l'immagine di un'impossibilità plurale : Rusalka è costantemente ostacolata da se stessa e dalla sua condizione di giovane “diversa” e dagli altri, la corte, il principe, la principessa straniera, ma anche Vodnik, il sostituto paterno troppo protettivo nella storia qui raccontata, e naturalmente Ježibaba, che ha previsto tutto e possiede le soluzioni.
La scena con Ježibaba è sorprendentemente violenta, con i movimenti brutali e definitivi di una Anita Rachvelishvili totalmente impegnata, una bestia feroce del palcoscenico senza alcuna empatia, che determina il destino di Rusalka, e Rusalka che, nella sua debolezza e disperazione, riesce a dire di no in una scena di “battle” tra due forze che finiscono per combattersi.
Ježibaba le dà un coltello per uccidere il Principe, al fine di riacquistare il suo antico status e liberarsi dalla sua maledizione, cosa che fa inorridire Rusalka ancora innamorata. In realtà, si tratta di una ridondanza : il Principe è destinato a morire comunque, come sappiamo fin dal primo atto. Il coltello è la morte sacrificale, in modo che il sangue scorra, purificando, un accenno a note scene mitologiche. Ma Rusalka non vuole questo sacrificio.
Il Principe, dal canto suo, non riesce a togliersi Rusalka dal cuore, è posseduto da lei, stregato da lei, fin dal bacio alla fine del secondo atto. Deve morire, perché dal momento in cui l'ha tradita, ha condannato se stesso. Il paradosso è che ogni bacio d'amore di Rusalka diventa un bacio di morte… In un certo senso, questo finale tradizionale, in cui Rusalka bacia il Principe, consapevole e desideroso di morte, per amore, ricorda la scena finale del Fliegende Holländer, dove il dono supremo è il sacrificio della propria vita, solo che qui è l'uomo a sacrificarsi alla ninfa e non la donna all'uomo.
Nella visione di Tcherniakov, lo scambio tra Rusalka e il Principe è estremamente dolce e delicato, una di quelle scene in cui ogni gesto, ogni movimento, ogni respiro è un atto d'amore, come di un amore finalmente liberato da ogni calore, da ogni passione consumante, ma di una sorta di desiderio fusionale definitivo, dove, leggendo le parole, tutto viene a galla : il tradimento, la passione “umana”, l'amore intenso e definitivo di Rusalka e l'amore sacrificale e suicida del Principe preso dal desiderio di baciare la giovane, che è un desiderio di morte.
Le parole finali di Vodnik suonano allora terribili :
“Invano muore tra le tue braccia, tutti i sacrifici sono stati vani, povera pallida Rusalka, ahimè, ahimè, ahimè…” quando le parole di Rusalka richiamano l'anima del Principe alla misericordia divina, in nome della ‘passione umana’ che ha vissuto, ma anche in nome della sua stessa maledizione che ha segnato il suo destino di ninfa caduta dalle profondità delle acque…
Nel libretto, la risoluzione è la morte del Principe, una morte d'amore, e poi il declino di Rusalka, declino con amore in cui nulla è stato dimenticato della catena di causalità che ha portato al disastro.
Tcherniakov invece non costruisce una morte d'amore : costruisce un sacrificio. Sangue…Sangue…Vodnik usa il coltello che Rusalka ha rifiutato di usare per sgozzare in modo quasi rituale un principe offerto, e poi per portare con se Rusalka, uccellino da proteggere in un altrove che è il suo reame … La ragazza dovrà vivere un altro inferno…
È innegabilmente una scena sacrificale. Ma in tutta questa violenza, non possiamo fare a meno di vederci un omicidio dell'uomo che "vendica" la giovane donna, vendicando anche se stesso e riprendendosi la “sua proprietà”. Il disastro si spinge ancora più in là rispetto al racconto, e la visione finale della giovane nuotatrice nella piscina, completamente fuori sincrono e che affonda sul fondo, è il segno definitivo. Tcherniakov ci regala una storia la cui unicità è di essere irrimediabilmente cupa..
Rusalka è un racconto di ineffabile poesia che ci fa sognare ? Sia nella sua versione tradizionale che in quella rivisitata, è una storia eminentemente crudele sull'inadeguatezza, sull'ignoranza, sull'impossibilità di amare quando la definizione dell’ amore non è la stessa per tutti, e soprattutto sull'impossibilità di liberarsi dalla propria condizione. Non ho mai annoverato Rusalka tra i racconti che fanno sognare, ma piuttosto tra quelli che amareggiano e lacerano. Una fiaba davvero crudele, vestita di gocce d'acqua ghiacciata.
Che Tcherniakov lo trasformi in un'introspezione dove i sogni di una ragazza nascono dagli incubi e ritornano agli incubi, è una visione altrettanto crudele, che, come ho detto, punta un ferro rovente su un personaggio vittima delle proprie fragilità e del disprezzo degli altri. Ecco perché Tcherniakov ha voluto trasformare personaggi a priori inutili come il guardiacaccia o lo sguattero in personaggi dell'entourage di Rusalka che ne rafforzano l'isolamento, in questo caso i genitori, poco empatici, indifferenti, il cui atteggiamento distante spiega perché la ragazza si lasci trascinare nell'avventura del nuoto e nelle mani vaganti di Vodnik. C'è coerenza qui.
Così come c'è coerenza nel modo in cui le ninfe dell'acqua si allontanano dalla sorella (una visione tradizionale), trasformata qui in una squadra sportiva in cui un membro abbandona, segno di debolezza e di tradimento del gruppo e quindi degno di disprezzo nei rapporti di emulazione e di potere che possono trasparire in certi club sportivi. Tutto questo è visto con rara finezza e precisione, e in presa diretta con il mondo contemporaneo.
Eppure Tcherniakov non tradisce nulla dello spirito dell'opera, dei rapporti tra i personaggi, dei sogni e delle disillusioni. Al contrario, il contesto ne accentua la durezza e la musica colorata e delicata che illustra questo racconto cupo rafforza la tragica ironia di una storia che finisce in un vicolo cieco. La musica ci fa costantemente sognare, ma il tentativo di sognare si scontra con il mondo e la sua crudeltà sanguinaria e mortale. Questo gioco di suoni e immagini, la doppia immagine del teatro e della grafica che rafforza il rapporto tra reale e irreale, rafforza la nostra perplessità di fronte a un mondo a cui spesso non crediamo più : un vertiginoso gioco di maschere.
Il cast
Per un lavoro teatrale così delicato e preciso, era necessario assemblare un cast complessivamente disponibile per questo tipo di approccio, un cast “ Tcherniakov-friendly ” di voci adattate, e persino talvolta sovradimensionate per il loro ruolo. È il caso di Andrey Zhilikhovsky nel modesto ruolo del cacciatore, qui compagno del Principe nella sua Ferrari, che è stato l'indimenticabile Principe Andrej Bolkonski nella gigantesca e premiata produzione di Guerra e Pace di Prokofiev e firmata Tcherniakov alla Staatsoper di Baviera. Lo considero uno dei baritoni più sensibili e dotati della sua generazione, e sentirlo qui in questo piccolo ruolo, con la sua voce rotonda, il suo timbro caldo e la sua dizione impeccabile, anche per poche battute, dimostra la cura con cui è stato composto il cast.
Le tre ninfe, Julietta Aleksanyan, Iulia Maria Dan e Valentina Pluzhnikova, hanno voci fresche, ben assortite, precise, che sanno aggiungere colore a un insieme che appunto deve fare del colore l'elemento determinante.
Sebbene questi ruoli siano complementari e a volte addirittura tagliati, Tcherniakov fa del guardiacaccia e dello sguattero i genitori un po' caricaturali di Rusalka. Ne fa dei perfetti ruoli di carattere, con cantanti tutt'altro che di secondo piano : Peter Hoare, nel ruolo del guardiacaccia (il padre), è uno dei più grandi tenori di carattere oggi nei teatri, un Mime, un Hauptmann del Wozzeck, dotato di una non comune intelligenza del testo, di una rara finezza interpretativa, molto aperto alle regie “moderne”. La sua emissione chiara e la sua dizione perfetta sono un vero piacere, soprattutto perché la sua partner Maria Riccarda Wesseling, nel ruolo dello sguattero (in questo caso la madre), non è da meno, con una voce potente e ben proiettata, anch'essa dotata di grande chiarezza e particolarmente espressiva, con una presenza scenica che colpisce : Due veri personaggi ben disegnati, due grandi artisti.
Nel ruolo di Ježibaba, siamo felici di ritrovare Anita Rachvelishvili, assente dalle scene da qualche tempo. Sappiamo anche cosa deve a Lissner, che l'ha fatta debuttare in Carmen alla Scala, e Lissner ha le sue fedeltà artistiche. In Ježibaba troviamo innanzitutto una voce con note gravi profondi e acuti di incredibile volume che contribuiscono a caratterizzare il personaggio e a dargli quel profilo imperioso a fronte di una Rusalka fragile. È incredibilmente impegnata sul palco, con una presenza autentica e potente, nei movimenti, nei gesti bruschi che si fondono con il testo che canta. Tuttavia, la voce presenta delle irregolarità e delle rotture, che ovviamente in questo caso servono perfettamente al personaggio e all'interpretazione, ma che sarebbero meno resistenti in altri ruoli, soprattutto italiani. Resta comunque il fatto che le possibilità si aprono per lei in questo tipo di personaggio, dove può diventare rapidamente un punto di riferimento. Il suo successo è meritato.
Ho sempre avuto qualche riserva su Gábor Bretz, che ho sempre trovato piuttosto inespressivo nonostante la sua voce potente. Nel ruolo di Vodnik, invece, dimostra una vera espressività (segno del lavoro con Tcherniakov), una notevole presenza vocale e scenica con una particolare potenza e un lato a volte persino struggente. Inoltre, il suo timbro piuttosto soave è particolarmente adatto al ruolo e alla musica di Dvořák. Un'ottima interpretazione che merita di essere sottolineata.
Lo stesso vale per Ekaterina Gubanova, la cui gamma espressiva non smette mai di stupire e che si trova a suo agio tanto in Kundry, Venus o Brangäne quanto in Eboli, Santuzza, o Judit e Marguerite, e naturalmente in ruoli del repertorio russo come la Marina di Boris Godunov. È innanzitutto un'interprete sempre attivamente impegnata e particolarmente espressiva, e qui è impressionante nel ruolo della seducente e perversa Principessa straniera, con una voce magnificamente proiettata e potente, che conferisce al personaggio una singolare presenza e intensità.
Adam Smith, discutibile nel ruolo di Pinkerton ad Aix, è qui il Principe, e il suo personaggio di playboy un po' superficiale gli si addice bene ; è anche impegnato nella recitazione e in sintonia con la messa in scena, che lo trasforma in un monello viziato. La voce è chiara, la qualità del timbro reale, ma l'emissione rimane molto (troppo) aperta, con il difetto persistente di andare costantemente in forte, sacrificando sfumature e delicatezza, soprattutto nell'ultimo atto. Il Principe è un ruolo delicato e difficile che richiede sia una voce forte che un reale controllo delle parole, delle sfumature, delle variazioni e dei colori : qui rimane un po' monocromatico. Per questo ruolo ci vorrebbe un tenore tipo Tito che possa poi cantare Lohengrin o anche Tristano, come Ben Heppner che ha cantato meravigliosamente sia il Principe che Tito e Tristano… In ogni caso, un tenore che sappia cesellare e affinare… ci siamo più scenicamente che vocalmente.
Infine, c'è Asmik Grigorian, che lascia letteralmente senza fiato per l'incredibile varietà della sua interpretazione, per la sua presenza scenica e per il carisma intrinseco che emana dal momento in cui sale sul palco. Mentre nella versione di Warlikowski del Macbeth di Verdi a Salisburgo appariva come una grande dama, nella Salomè di Tcherniakov ad Amburgo è più minuta, e in Rusalka è un fragile uccellino, al tempo stesso indifeso e ostinato, che non si arrende al suo destino, anche se si tratta di essere sconfitta. E la voce la segue, sa essere debole e deliberatamente dominata dall'orchestra, sembrare annegata negli effluvi acquatici, per poi emergere in una sinfonia di colori, ombre e luci nella canzone della luna (Mĕsíčku na nebi hlubokém), un capolavoro di posa vocale, delicatezza, sottigliezza, ma allo stesso tempo di controllo della proiezione e del volume. La voce è sempre condotta secondo la situazione drammatica, con grida roche o melismi, e in questo ruolo rimane impressionante anche nel secondo atto dove è muta, con uno sguardo mobile particolarmente vivo e attento, che costringe lo spettatore a concentrare lo sguardo su di lei. È una Rusalka struggente che, come nelle buone tragedie, suscita costantemente pietà : è una di quelle rare artiste che non sembra recitare o cantare, ma piuttosto essere hic et nunc ciò che recita e canta. Un vero miracolo che lascia con un groppo in gola.
Il Coro del Teatro San Carlo, diretto da Fabrizio Cassi, si presenta a pieni voti in un'opera in cui non ha una presenza marcata, ma i progressi fatti negli ultimi anni sono evidenti.
La direzione musicale di Dan Ettinger cerca di riflettere appieno la varietà di questa musica, la sua ascendenza wagneriana e le sue tradizioni locali, i suoi molteplici colori e sfumature, la sua poesia, i suoi ritmi e il suo respiro fluido. Sa come far risaltare gli aspetti impressionistici della partitura mantenendo un reale vigore drammatico : sa quando essere presente e quando essere discreto, delicato, sottile e persino evanescente. Il primo atto è particolarmente riuscito, curando il caleidoscopio colorato che è questa musica, e il terzo mostra una vera delicatezza, con una riserva drammatica che è invece un po' spettacolare nel secondo atto : questa è una direzione che rende piena giustizia all'opera, a capo di un'orchestra che ha anche fatto progressi, ma che ha ancora alcune imprecisioni, in particolare negli ottoni, che vorremmo vedere più accurati e precisi.
Nel complesso, questa apertura di stagione è un grande momento di musica, canto e teatro, ed è l'ultima produzione inaugurale di Stéphane Lissner alla guida del Teatro di San Carlo. Il suo successo (la risposta del pubblico è stata davvero positiva) riflette la qualità del lavoro svolto. Quando i pianeti si allineano a tal punto in una produzione in cui un cast di prim'ordine è dominato da una delle tre grandi stelle del mondo della lirica di oggi, con un solido direttore d'orchestra che ha saputo lavorare in totale armonia con un regista geniale, è il segno di una istituzione che respira e può essere orgogliosa di se stessa.
[1] Plauto, L'Aulularia