Felice intuizione quella di riallestire la Madama Butterfly con la regia di Renata Scotto, caso pressoché unico di spettacolo nato all’aperto (Verbania), poi adattato al chiuso (Novara), riportato all’aperto (Savona, Fortezza Priamar) e poi organizzato in una tournée di nuovo al chiuso nei teatri marchigiani (Ancona, Ascoli Piceno, Fano e Fermo) e a Savona (Teatro dell’Opera Giocosa). Uno spettacolo che resterà in modo indelebile nella memoria di chi lo ha visto, perché rappresenta la perfezione di un allestimento tradizionale ma non “polveroso” nell’impostazione, attualissimo nelle interazioni tra i personaggi e nella loro caratterizzazione individuale.
Il sipario chiuso è circondato da tre rami di ciliegio, da un lato in fiore, dall’altro con petali cadenti, dall’altro ancora spoglio : le tre età della vita affidate alla pianta simbolo del Giappone. Le scene di Laura Marocchino, dipinte a mano, sono realizzazione artigianale di livello eccelso : un interno di casa tradizionale rialzata su un piccolo podio di legno ; alle spalle un giardino con un albero solitario, che si intuisce posto alla cima della collina erbosa ; di fronte, verso il pubblico, un terrazzo tipico con rocce e piante, uno spazio che rimanda ai dettami della spiritualità zen che suggerisce una calma e una pacificazione interiori che, nella vicenda, sono assai ardue da raggiungere o mantenere. Lo spazio è perfettamente funzionale all’azione, oltre a essere indicibilmente bello e curato, un Giappone non pretenzioso e non da cartolina, capace di accogliere in modo ottimale i protagonisti e il coro, oltre che di favorirne i movimenti con fluidità e naturalezza, come se la vicenda si svolgesse a prescindere dalla presenza del pubblico. I costumi di Artemio Cabassi sono perfetti per il tipo di allestimento ; anch’essi, come le scenografie, tradizionali e curatissimi, legati all’epoca dell’ambientazione (inizio Novecento) ma decisamente non lontani dal gusto di decenni successivi e così, in sostanza, fuori dal tempo.
Lo spettacolo nasce con la regia di Renata Scotto e l’impronta della grande cantante e regista si riconosce in tutto, sebbene vada sottolineato come il ruolo di Renato Bonajuto, che nel programma di sala viene indicato come autore del “riallestimento”, sia ben più importante e rilevante. Bonajuto sicuramente rispetta le scelte e l’impronta della Scotto, ma il suo apporto personale è rispettoso e al tempo stesso decisivo, soprattutto nella gestualità dei singoli interpreti e nelle movenze del corpo. Così la storia diventa di universale emozionalità e gli spettatori sono al contempo divertiti e commossi, sempre sollecitati lungo tutto l’arco dell’opera, che fortunatamente viene rappresentata in modo opportuno con una sola pausa e dunque senza cesura tra secondo e terzo atto, di modo che al coro a bocca chiusa faccia seguito l’introduzione al terzo atto.
Va rilevato l’apporto fondamentale del direttore Francesco Angelico, maestro impegnatissimo all’estero ma al suo primo podio operistico in Italia. Angelico tratteggia con la musica il percorso interiore della protagonista, che vive come sospesa al di sopra del mondo reale, trova conforto in una illusoria transitorietà (inconscia, senza dubbi) e drammaticamente si alimenta di molteplici elementi di perdita : del padre, dell’agiatezza economica, dell’innocenza, dei familiari, delle amicizie, della religione, dell’amato Pinkerton e, infine, del figlio. Un percorso di tale tragicità affrontato dall’Orchestra Sinfonica Rossini attraversando molteplici sfaccettature musicali e nella giusta dinamicità.
Protagonista indiscussa Myrtò Papatanasiu : la voce è dorata e screziata a sottolineare in ogni momento l’interiorità di Cio-Cio-San, dall’incredulità iniziale per un amore totale e travolgente che la toglie da una vita grama e non scelta all’attesa lunghissima e solitaria, alla tragica presa di coscienza ; nella sua interpretazione nessun luogo comune, nessuna moina, nessun gesto studiato ma tutto appare naturalissimo, tutto nasce da una miracolosa spontaneità che emana da sensibilità interiore : è evidente che la cantante non sia l’adolescente del libretto (ma quando lo sono mai) eppure la voce evocatrice e l’intensità dell’interpretazione sono strabilianti (è la gestualità tradizionale giapponese, che appare naturalissima, a colpire lo spettatore : le mani in particolare).
Accanto a lei assai convincente la prova di Giuseppe Infantino in un giovane e superficiale Pinkerton. Straordinaria Manuela Custer nella parte di Suzuki, forse al momento la migliore in circolazione. Sergio Vitale è uno Sharpless ideale, dando voce all’uomo sensibile e all’aplomb del diplomatico. Grande prova quella del Goro di Raffaele Feo, serpentino e insinuante. Da rilevare come anche tutti i ruoli di contorno siano stati affidati a ottimi interpreti, merito del direttore artistico Vincenzo De Vivo : Wooseok Choi è il Principe Yamadori,
Yongheng Dong è lo Zio Bonzo, Rza Khosrovzade è il Commissario Imperiale, Valentina Dell’Aversana è Kate Pinkerton (alcuni di loro provengono dall’Accademia Lirica di Osimo). A completare il cast, provenienti dai ranghi del Coro Lirico Marchigiano preparato da Francesco Calzolaro, Alessandro Pucci (Ufficiale del Registro), Valentina Chiari (Cugina) e Tamara Uteul (Madre). Ha particolarmente conquistato il favore del pubblico la piccola Ashlly Perez, interprete di Dolore.