Gaetano Donizetti (1797–1848)
Don Pasquale (1843)
Dramma buffo in tre atti di Giovanni Ruffini da Ser Marcantonio, libretto di Angelo Anelli per l'opera omonima di Stefano Pavesi (1810)
Prima rappresentazione : Parigi, Théâtre-Italien, 3 gennaio 1843
Edizione critica a cura di Roger Parker e Gabriele Dotto © Casa Ricordi, Milano
con la collaborazione e il contributo del Comune di Bergamo e della Fondazione Teatro Donizetti

Direttore Iván López-Reynoso
Regia Amélie Niermeyer
Scene e costumi Maria-Alice Bahra
Coreografie Dustin Klein
Luci Tobias Löffler
Assistente alla regia Giulia Giammona

Don Pasquale Roberto de Candia
Norina Giulia Mazzola*
Ernesto Javier Camarena
Dottor Malatesta Dario Sogos*
Un notaro Fulvio Valenti

*Allievi della Bottega Donizetti

Performer Alessandra Bareggi, Hillel Pearlman, Vittorio Pissacroia

Orchestra Donizetti Opera
Coro dell’Accademia Teatro alla Scala
Maestro del Coro Salvo Sgrò

Nuova produzione della Fondazione Teatro Donizetti
Allestimento dell’Opéra de Dijon

 

Bergamo,Teatro Donizetti, domenica 17 novembre 2024, ore 15.30.

Delle tre opere in programma per il 2024, Don Pasquale è chiaramente la più “popolare”, soprattutto perché negli ultimi anni sono apparse qua e là molte nuove produzioni. Questa pomeridiana domenicale conclude la prima serie del Festival e sembra aver convinto il pubblico, che ha lasciato il Teatro Donizetti entusiasta.

In due giorni, il pubblico avrà potuto ascoltare il Donizetti dell'inizio con Zoraida di Granata e il Donizetti della fine con Don Pasquale, una delle sue ultime opere, l'ultima opera buffa di un Donizetti maturo e sicuro di sé. A volte dimentichiamo che tra L'Ajo nell'imbarazzo, Convenienze e inconvenienze teatrali, l'Elisir d'amore, La fille du régiment e poche altre, ha lasciato alcune opere leggere o comiche che sono tra i grandi successi dell'opera ottocentesca.

La ricetta del Don Pasquale è ben nota ; è il solito schema di quella che io chiamo commedia media (quella nata in Grecia da Menandro e a Roma da Terenzio): un vecchio rimbambito vuole sposare una giovane ragazza, e tutta la storia serve a fermarlo. È anche tutta la tradizione e il filone della Commedia dell'Arte che trova qui la sua gioiosa conclusione, con i personaggi dell'opera, i suoi stereotipi, Pantalone (Don Pasquale), Arlecchino (Malatesta), gli innamorati (Norina ed Ernesto), che qui troveranno una nuova e definitiva giovinezza.

La produzione viene dall’Opera di Digione ed è diretta da Amélie Niermeyer, molto nota in Germania dove lavora nei maggiori teatri oltre che nei teatri d'opera e dove ha diretto anche case importanti come la Schauspielhaus di Düsseldorf. In particolare, ha diretto il grande successo dell'Otello della Bayerische Staatsoper e, anche se è meno noto, ha diretto una produzione de La Favorite a Monaco e una Lucia di Lammermoor ad Amburgo. Questa è la sua prima produzione in Italia.

 

Vita tranquilla prima dell'uragano Norina

Alcune premesse

Rossini ancora e ancora, Il Barbiere di Siviglia ancora e ancora ; ma anche Beaumarchais ancora e ancora, che della trilogia di Figaro (le sue opere più note) ne ha lasciate due alla leggenda dell'opera, per motivi diversi : Il Barbiere di Siviglia e Le nozze di Figaro. Ma spesso però si dimentica che scrisse il libretto dell'opera Tarare di Salieri (1787).

È vero che la commedia francese del Settecento era fortemente influenzata dalla tradizione italiana, e per la prima metà del secolo la “Comédie italienne” fu la compagnia ufficiale che mantenne viva la commedia dell'arte in Francia, come ben lo sa Marivaux. Beaumarchais ne prese il posto, rivestendo i personaggi della commedia dell'arte in una cornice tradizionale in cui trasformò Arlecchino/Scapin in Figaro, il tuttofare, il serbatoio di idee. Figaro nasce nel 1775 come personaggio francese, creato al Théâtre Français dopo che una prima versione (rifiutata) era stata proposta ai “comédiens italiens” . Figaro era l'ultimo avatar francese di un'intera tradizione italiana che era stata filtrata anche attraverso lo stile di Molière, con variazioni come Scapin.

Il Figaro nell'opera inizia con Paisiello, con il primo Barbiere di Siviglia (1782), poi con Mozart ne  Le Nozze di Figaro nel 1786. Solo nel 1816 Rossini fissò definitivamente il personaggio, senza mai che la tessitura sia cambiata (baritono o basso-baritono), a differenza di Almaviva, che era tenore con Paisiello e Rossini, e basso-baritono con Mozart.

Per iniziare questo richiamo è necessario sottolineare che Don Pasquale è forse l'ultima opera buffa (dramma buffo) a seguire il modello aperto dalla commedia dell'arte. È stata la fine di un genere, e forse la fine di un periodo dell'opera.

In un segno quasi celeste, per un'incredibile coincidenza, proprio l'inizio del 1843 vide Don Pasquale a Parigi il 3 gennaio, e un giorno prima, sulle rive dell'Elba, Der Fliegende Holländer di Richard Wagner il 2 gennaio a Dresda. Lo stesso giorno, o quasi, la fine di un mondo operistico e l'inizio di un altro. Affascinante.

La trama di Don Pasquale si basa su un'opera rappresentata per la prima volta alla Scala nel 1810, Ser Marcantonio di un compositore particolarmente prolifico dell'epoca, Stefano Pavesi, su libretto di Stefano Anelli, che ebbe un grande successo (54 rappresentazioni) e fu ripresa prima a Parigi e poi altrove, concludendo la sua (notevole) carriera a Vienna nel 1842, un anno prima che Donizetti vincesse con il suo Don Pasquale. È molto probabile che il successo immediato di Donizetti abbia mandato l'opera di Pavesi all'oblio.

Giulia Mazzola (Norina): l'uragano

Se abbiamo insistito sullo schema tradizionale della storia, e sulle sue fonti e motivi da ricercare non solo in Pavesi, ma anche e sempre in Rossini, è chiaro invece che Donizetti voleva anche scrivere un'opera che fosse in sintonia con i tempi e le mode dell'epoca. Una delle leggi della commedia – che era molto diversa dal dramma o dalla tragedia, almeno in quel periodo – era che doveva essere al passo con i tempi, che il pubblico doveva riconoscere la musica e i ritmi dell'epoca, una sorta di modernità. È un paradosso, ma questa modernità è la condizione per entrare nel repertorio, cioè nel Museo e nel Conservatorio delle opere…

La commedia deve parlare direttamente al pubblico, attraverso il suo tono, i suoi personaggi, la sua musica e i suoi ritmi. E Donizetti voleva questa modernità. Per esempio, usava i ritmi del valzer, la danza che all'epoca esplodeva nei salotti e nei balli.

Solo con La Traviata di Verdi e poi con la Carmen di Bizet, i drammi si sono messi a loro volta in presa diretta con i tempi.

Infine, è una donna ad essere al centro dell'opera : le produzioni di Donizetti presentano principalmente personaggi femminili, sia nel melodramma che nel buffo. È il caso di Norina, alle prese con un ridicolo Don Pasquale e un pallido Ernesto.
Donizetti è stato affascinato dalla varietà dei personaggi femminili e dal loro desiderio di prendere in mano il proprio destino : Elisabetta, Maria Stuarda e tutta la galleria di personaggi femminili singolari che riempiono l'immensa produzione donizettiana, a partire da Zoraida (di cui abbiamo parlato in un precedente articolo), a Lucia per finire con Leonor de Guzman, La Favorite. Anche nelle commedie, che si tratti di Convenienze e inconvenienze teatrali (Viva la mamma), dove la “mamma” è centrale (e cantata da una voce maschile…), o di Marie ne La Fille du régiment o di Adina ne L'Elisir d'amore (una galleria a cui possiamo aggiungere Norina), ogni volta emerge un personaggio femminile forte, donne che sanno quello che vogliono.

Ecco perché diffido di quelli che chiamano la visione di Niermeyer “femminista”. In realtà, la messa in scena si limita a sottolineare un personaggio di cui Donizetti affermava la libertà e la forza di volontà già nelle mode del suo tempo, mentre Niermeyer la sottolinea con i luoghi comuni del nostro tempo, che vorrebbero farci credere che ogni affermazione di una donna libera sia femminista. Per me è assolutamente naturale e legittimo che la donna sia libera. Non è “femminista” affermarlo.

Rispetto alle donne, gli uomini sono più pallidi, almeno i tenori. Qualche giorno fa abbiamo parlato di Roberto Devereux, ma anche ne L'Elisir d'amore, dove Nemorino è un agnellino gentile che deve essere guidato e manipolato, come Ernesto nel Don Pasquale, che senza Malatesta sarebbe un po' smarrito… Potremmo persino trovare una sorta di somiglianza tra Gaetano Donizetti e Richard Strauss nel loro lavoro sulla vocalità femminile e sui personaggi femminili che dominano la scena. Die Schweigsame Frau è un po' come il Don Pasquale di Richard Strauss.

La produzione

È proprio la questione della donna che Amelie Niermeyer affronterà dapprima in modo abbastanza tradizionale, poi in modo più sottile, nel suo allestimento, che gioca sia sul buffo che sulla malinconia, e lavora, soprattutto nella prima parte, in modo raffinato sul contesto, che ha reso contemporaneo, trasformando la visione del personaggio di Don Pasquale, che non è ridicolo e superficiale come in altre visioni.

Dario Sogos (Malatesta), Roberto De Candia (Don Pasquale)

È il modo di Amelie Niermeyer di lavorare con il contesto che convince di più, e meno, da un punto di vista strettamente scenico, nello scivolamento verso il “performativo”, il “musical” sorridente e roteante, che poi annega un po' il soggetto nel colore e nel disordine gioioso del secondo tempo, come per ammorbidirne l'effetto.

È quindi proprio la prima parte, quella che precede il matrimonio di Don Pasquale, che ho trovato più curata, non priva di profondità e che evita la caricatura.
Nella storia tradizionale, Don Pasquale è un vecchio avaro (come quasi tutti i vecchi da commedia) che vuole diseredare il nipote Ernesto sposando una giovane vedova proposta dal dottor Malatesta, il “Figaro” dell'occasione.

Javier Camarena (Ernesto), Dario Sogos (Malatesta)

Naturalmente, come ogni buon Figaro, Malatesta lavora per Ernesto e quindi aggirerà Pasquale organizzando un finto matrimonio con un finto notaio, ecc. Come abbiamo detto, è un po' la trama del Barbiere di Siviglia ma con un taglio più contemporaneo, con Norina un po' più trasgressiva di Rosina (anche se avrete notato la somiglianza tra i due nomi).

Amelie Niermeyer ambienta la storia in un contesto moderno, diciamo negli anni 1970–1980, in una villa abbastanza lussuosa con piscina, dove un agiato Don Pasquale in pensione vive felicemente badando a se stesso e a se stesso soltanto. Non sembra affatto “avaro”, ma piuttosto esclusivamente preoccupato di se stesso, del suo corpo, compreso l'esercizio fisico, e delle sue comodità (un bar riccamente rifornito). Per lui, il nipote Ernesto è di scarsa importanza, più che altro un ostacolo alla sua propria vita e alle sue scelte, un elemento di disturbo in un'esistenza impostata sul suo orologio personale. Tutto è al suo servizio, e Niermeyer sottolinea questo aspetto con i tre domestici (tra l'altro ottimi attori) e tutto il suo piccolo mondo che ruota intorno a lui. Pianeta Pasquale.

Pianeta Pasquale : Roberto De Candia (Don Pasquale)

La scenografia di Maria-Alice Bahra (che ha disegnato anche i costumi) è allestita su palco girevole, che da un ambiente pieno d’aria dolce (siamo su una terrazza, il tempo è bello, la vita è fresca) che ci permette di vedere sia il luogo, la villa, il comfort, la ricchezza, sia l'altro lato, le pattumiere da una parte, una R5 rossa dall'altra dove accadono cose di cui a Don Pasquale non importa nulla e dove vive una Norina vagamente senzatetto, o almeno vagabonda…

Sottilmente, Niermeyer costruisce due mondi che si ignorano, quello dei “ricchi” e quello dei poveri o della classe lavorativa, il mondo delle luci e quello delle ombre. La presenza dei bidoni della spazzatura è solo un segno di un mondo che lavora per il benessere dei più ricchi attraverso il lavoro degli “altri”, gli “invisibili” che li servono.

Una Norina un po' fuori dalle norme (Giulia Mazzola)

Per quanto riguarda la macchina, una Renault R5 dove vive Norina, è un po' meno semplicistico : insieme a Malatesta, è colei che vive una vita ai margini, ma che vuole beneficiare delle ricadute della vita di chi può, da qui il suo rapporto con Ernesto, da qui il ruolo di Malatesta, finto medico, ma vero “parassita”…

Il riferimento esplicito del regista è Parasite (2019) di Bong Joon Ho, un film su questi scontri di classe.

Così Amelie Niermeyer mette da una parte Don Pasquale, ricco ed egoista fannullone, e suo nipote Ernesto, che non sembra fare molto neanche se non aspettare la sua eredità (anche lui è una specie di parassita), e dall'altra Malatesta e Norina, i due parassiti che escogitano il piano per “divorare” la tranquilla vita di Pasquale dall'interno, come simpatiche mantidi religiose.

Non si tratta di una pura buffonata, ma di una commedia che ha come tema le differenze sociali (evito volutamente l'espressione “lotta di classe”), ma Niermeyer lo fa con il sorriso. L'introduzione di Norina vestita di nero come una vedova, ma discretamente “allegra” con gambe attraenti  ben in vista scatena la risata, così come il suo matrimonio con un notaio che è esilarante e molto ben interpretato da Fulvio Valenti.

Nessuno dei personaggi è ridicolo in questo contesto, e Don Pasquale trasuda ozio e desiderio di una vita un po' più “nella norma” con una moglie agli ordini del marito. Il sogno di Don Pasquale è un sogno piccolo-borghese, abbastanza tipico della Monarchia di Luglio (La Monarchie de Juillet) di Luigi-Filippo in Francia(siamo nel 1843)…

Striscione di nozze e di avvertimento

Ma uno striscione opportunamente brandito al momento del (finto) matrimonio ci dice innanzitutto che l'amore non ha età, e questo vale per Don Pasquale, ma soprattutto che non ha confini – sociali e non – e questo è un chiaro avvertimento di ciò che avverrà nella seconda parte. Ricordate questo striscione, ne apparirà un altro alla fine.

L'altra domanda riguarda Ernesto. Niermeyer lo descrive come amoroso, impulsivo e irascibile, e dice che non riesce ad entrare in sintonia con Norina. Il problema di Ernesto è che non fa nulla, che vive alle spalle degli altri e che non ha uno status se non quello di “innamorato”. Non ha uno scopo, non ha un'utilità sociale e non è all'altezza di Norina

Javier Camarena (Ernesto)

Anzi, in un certo senso lei gli fa scoprire il suo vuoto, ed è commovente. È sempre commovente scoprire che non sei granché…

La seconda parte crea deliberatamente confusione. Niermeyer usa il coro per farne i traslocatori che trasformeranno la casa.
Questo è il punto più problematico per me : avrei voluto un disordine più definitivo, una sorta di distruzione totale della casa ordinata che Don Pasquale aveva costruito, come il passaggio di un uragano. Tutto ciò che otteniamo è un balletto sorridente.

Roberto De Candia (Don Pasquale) in mezzo alla follia

In mezzo a questo balletto di canti di mossi e agitatori, Pasquale è perso, ma vorremmo vederlo un po' più perso, un po' più disperato, un po' più solo, un po' più “drammatico”.

Lo vediamo più chiaramente in Ernesto, che sembra disorientato e quasi escluso da ciò che sta accadendo, soprattutto nella sua aria Cercherò lontana terra con una tromba solista molto commovente, come un mendicante in cerca di fortuna. È una scena che, nella sua semplicità e accuratezza, riassume il messaggio di Niermeyer, che capiremo alla fine.

Il gioioso disordine si trasforma in una commedia musicale, con follie colorate, confusione di generi, un elefante rosa degno di un balletto da spettacolo per bambini, con perfino  mariachi, senza dubbio perché Camarena si senta a casa (o il direttore d'orchestra, anch'egli messicano).

Mariachi

È un mondo completamente squilibrato e folle, che si è ribaltato nello spettacolo, l'opposto dei canoni tranquilli di Don Pasquale, un mondo che sta trasformando se non distruggendo la sua vita ordinata, ma è un mondo di entertainment più che di dramma buffo : Niermeyer fa esplodere anche il genere dello spettacolo, andando verso il musical o l'operetta… l'operetta… di nuovo un genere che nasce quando con Don Pasquale un mondo finisce.

Comprendiamo l'intenzione di Niermeyer, di deviare l'amarezza o quello che potrebbe essere il dramma o la malinconia verso la gioia e il disordine gioioso, ma anche di rompere l'ordine iniziale, borghese, che potrebbe allo stesso tempo travolgere musicalmente il pubblico e diluire il messaggio rompendo anche il genere musicale, dimostrando la rottura totale su tradizione, abitudini, e facendo di Norina una donna della rottura totale. Non è la parte più riuscita, anche se si capisce l'intenzione e anche se è intelligente. Ma a Francesco Micheli deve sicuramente essere piaciuta questa follia…

Il finale è molto più inaspettato.

Quando Pasquale è ormai allo stremo delle forze, si arrende a questa virago Norina che si mangia tutti i suoi soldi senza badare a spese, dividendoli addirittura con i suoi amici (la sua troupe, il suo gruppo), sulla quale non ha più alcun controllo (ne ha mai avuto?): non è più padrone della sua casa né della sua vita : capiamo che il suo sogno di una moglie sottomessa è svanito da tempo e che desidera solo la sua pace, tornare al suo egoismo primordiale. Si arrende. Tutto torna come Malatesta aveva previsto, Ernesto è salvo.…

Amore libero… lo striscione fatale

Pensiamo che tutto sia risolto, perché nella festa finale appare lo striscione “ amore libero”, che fa il paio con quello delle nozze della prima parte con Don Pasquale. Questa volta è la fine ad essere anticipata…
Norina parte dopo il suo rondò, seguita da Ernesto, ma Norina salta in auto da sola, verso altre avventure : ha scelto la libertà, un valore ancora più grande che la crescita sociale che Ernesto avrebbe potuto darle…
In viaggio verso Carmen.…

Giulia Mazzola (Norina)

Il lavoro di Amelie Niermeyer è intelligente e solleva questioni sociali e di società, toccando la gerarchia dei valori. È chiaro che l'amore romantico alla Ernesto non fa per questa Norina, né la vita ordinata della moglie di un erede. In questo senso, la donna manda in frantumi l'intera trama costruita da Malatesta. Alla fine, l'unico a uscirne indenne e a tornare alla sua dolce vita da pensionato è Don Pasquale. Un modo intelligente per trasformare completamente la morale della storia.

Il cast

Il Festival va lodato per aver fatto in modo che la Bottega Donizetti permettesse a cantanti di talento di partecipare alle produzioni in ruoli importanti piuttosto che in ruoli di supporto. Questo è stato il caso di Zoraida di Granata con Lilla Takács e Valerio Morelli, (meno per Tuty Hernàndez), e in particolare nel Don Pasquale con Dario Sogos (Malatesta) e Giulia Mazzola (Norina). E tutti ne sono usciti molto bene, anzi più che bene.

L'unico ruolo “di supporto” del cast è quello del notaio, interpretato dall'ottimo Fulvio Valenti, con l'aggiunta di tre attori molto impegnati e vivaci, Alessandra Bareggi, Hillel Pearlman e Vittorio Pissacroia, nei panni dei servitori un po' birichini di Don Pasquale ; Tutti loro formano un “entourage” particolarmente divertente, mai volgare, e il Coro dell'Accademia della Scala, sempre diretto da Salvo Sgrò, si diverte un mondo in questa festa di colori e baraonda di generi.

Dario Sogos (Malatesta), Roberto De Candia (Don Pasquale)

Dario Sogos, come già accennato viene dalla Bottega Donizetti.  Canta la parte di Malatesta. la voce forse non ha ancora il rilievo e la proiezione desiderati, manca di volume, soprattutto nel duetto cheti cheti immantinente con Don Pasquale dove il giovane cantante soffre il confronto con un baritono di grande esperienza come De Candia, ma ha già molte qualità di fraseggio, di emissione, di chiarezza di dizione e di vera tecnica (con buoni sillabati in particolare). Inoltre, si impegna molto nella recitazione, con una vera presenza scenica : è un debutto convincente, anche se ovviamente avrà bisogno di essere riascoltato.

Giulia Mazzola (Norina)

La collega Giulia Mazzola usciva da problemi di salute che l'hanno tenuta in bilico fino all'ultimo, ma il giovane soprano ha affrontato il ruolo di Norina con grande grinta e impegno. Per Norina si sarebbe potuta preferire una voce da soprano più francamente lirico, ma la tecnica c'era, così come la presenza, e ha affrontato la tanto attesa prima aria So anch'io la virtu magica con vera espressività e un vero senso del colore. Per la maggior parte del tempo è stata sicura di sé, grazie alla sua fine musicalità e alle agilità controllate e ben realizzate (rondò finale). Ma soprattutto Giulia Mazzola si è impadronita del personaggio vivace e marginale, giovane ed energico, con un senso scenico compiuto, tanto da immedesimarsi nella messinscena con una disinvoltura che delizia e incanta il pubblico. Un bel debutto, ovviamente ancora da confermare.

Javier Camarena (Ernesto)

Javier Camarena uno dei tenori di riferimento in questo repertorio, non era nella sua forma migliore, ma ha mostrato evidenti qualità di chiarezza, fraseggio e delicata raffinatezza, in particolare nella sua romanza com'è gentil nel terzo atto, nonostante alcuni problemi di intonazione sorprendenti nel suo caso. Ma dov'è lo scintillio, dov'è la proiezione ? Il timbro ha perso la sua grazia e l'intera performance sembra singolarmente spenta e poco brillante, mentre nel 2021 era ancora un Nemorino di classe su questo stesso palcoscenico. Speriamo che si tratti solo di un momento di stanchezza, perché Camarena sa ancora dare al personaggio poesia ed emozione.

Roberto De Candia (Don Pasquale)

Quello che ci piace del Don Pasquale di Roberto De Candia è che non è mai caricaturale, mai esagerato, mai ridicolo. Non è mai clownesco, e abbraccia la messa in scena con grande intelligenza e sensibilità. Non è mai dimostrativo nel senso sbagliato del termine, ma sempre solido, sempre preciso, con qualità invidiabili di proiezione e volume, e un'espressività che sa cogliere emozioni, indignazione e sbalzi d'umore con una precisione che non viene mai meno. A questo si aggiunge una tecnica di sillabato che lascia senza fiato. La messa in scena non distrugge il personaggio e lo rende una sorta di vittima, ma riesce a essere commovente, forse uno dei più commoventi in assoluto. Grande interpretazione. Roberto De Candia ha avuto una carriera solida, mai spettacolare, ma sempre di eccellenza.

Direzione musicale

Affidata al giovane direttore messicano Iván López Reynoso, la direzione dell'ensemble colpisce per la sua vivacità. La sua vasta esperienza nel repertorio operistico gli conferisce un'evidente sicurezza e un vero senso del teatro ; ha lavorato a Pesaro con Alberto Zedda, dove ha diretto Il Viaggio a Reims , e dirige gran parte del repertorio italiano. Questa esperienza si sente, e si può anche apprezzare la presa sull'Orchestra Donizetti, molto precisa, con attacchi puliti e un suono ben definito, con un senso del ritmo e un vero rilievo nell'approccio, lasciando anche momenti di vera poesia (l'aria Com'è gentil di Ernesto) e sapendo modulare un volume che a volte pero tende a lasciare andare oltre il ragionevole (l'ouverture). Il controllo del volume orchestrale negli ensemble, e anche in alcune arie, è davvero l'aspetto un po' problematico di questa direzione. Giulia Mazzola dimostra di essere una Norina potente perché sa superare il flusso orchestrale, un po' eccessivo per i miei gusti, il che è tanto più deplorevole perché Iván López Reynoso sa anche – e lo dimostra – essere delicato e sensibile con una certa raffinatezza. Un difetto di gioventù ?

In definitiva, qualche rapida osservazione su questo Festival 2024 : avremmo gradito un addio di Francesco Micheli, ma per civetteria ci frustra, proponendo tre produzioni di altri, di cui due provenienti da altrove : è possibile che anche a Bergamo i tempi siano duri perché una produzione come Don Pasquale sia stata presa da un altro teatro può stupire, ma che importa visto il successo riscosso dalle tre serate d'opera.

Francesco Micheli ha dato a questo Festival un'anima, una vita, e ha diffuso la gioia in tutta la città, cercando sempre di coinvolgere il territorio nell'evento (anche se la città di Bergamo non offre una logistica efficiente per i frequentatori del Festival…). In questo senso, il suo contributo è originale. Il Festival Donizetti non è elitario, è sempre gioioso, spesso sorprendente, e amplia la nostra cultura musicale in modo incredibile. Questa partenza è un peccato, perché per il Consiglio della Fondazione sarà difficile trovare un direttore artistico altrettanto fantasioso e reattivo come Micheli.

La follia del show

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