Questo preludio per segnare il debutto del soprano russo nella parte di Aida. Avrà prossimamente quarantasei anni con un repertorio sempre più drammatico all’orizzonte, a prova il debutto come Tosca a New York o una prossima Salome’. Quest’Aida salisburghese con Muti in buca costituisce in qualche modo una sfida decisiva per lei stessa, laddove Mirella Freni s’avventurava nel ruolo nel 1979 con Karajan, Carreras e Horne.
L’Aida di Netrebko è sontuosa e raffinata. Lo strumento eccezionale del soprano russo si piega a un profilo servile, anche umiliato del personaggio. Ma questa Aida non sembra mai debole, e più vulnerabile che sottomessa. Dal punto di vista vocale, è certo che sentiamo di più Netrebko che Aida perché la natura del materiale vocale s’impone anche al personaggio. A parte qualche grave in agguato, dobbiamo sottolineare piani di bellissima fattura e centri suntuosi nelle sue due scene e nei duetti con Amneris, Amonasro e Radamès. Allo stesso tempo, la sua superiore capacità ad imporsi nei concertati cantando con disinvoltura sopra coro e orchestra ne fa la voce la più identificabile nell’insieme delle voci. Come lo ha confidato in esclusiva a Platea Magazine in un’intervista che verrà prossimamente pubblicata, deve cantare il ruolo in Russia e in una nuova produzione del MET di New York nel 2020/21.
Di fronte a Netrebko, c’era Francesco Meli, nella parte di Radamès, formato dalle mani di Muti come voce verdiana quando Muti stava in carica a Roma. Meli è un Radamès esemplare, perché capisce perfettamente la doppia natura lirica e eroica della parte. La sua aria, Celeste Aida è contemplativa e poetica, sognante, trattenendo sempre la voce ; con alla fine forse una piccola delusione perché la mezza voce non dà il morendo che è scritto. Con intelligenza canta la parte nel momento esatto che quadra con i suoi mezzi, in diretto legame con la direzione chiara di Muti. La voce suona liberata e ampia, nella grande sala del Festspielhaus di Salisburgo. Ciò nonostante, Meli arriva un po’ stanco nel quarto atto, dove però dà momenti bellissimi, ma dove anche certe mezze voci sono ogni tanto sull’orlo della rottura.
Daniela Barcellona sostituiva l’ammalata Ekaterina Sementchuk. Arrivata all’inizio del pomeriggio dopo un lungo viaggio in macchina, con pochissimo tempo per inserirsi nella produzione e tutto quello che implica : provare i costumi, discutere le indicazioni di regia…etc. In queste condizioni, la sua prestazione stupenda come Amneris prende quanto più valore, con il suo temperamento e la sua eleganza, ritratto della figlia del Re di grandissima dignità. L’approccio belcantista si sente molto bene per un ruolo che spesso è caduto nelle mani di voci grosse e sonore, ma poco raffinate e incapaci di evidenziare il conflitto interiore che vive Amneris, qualcosa in cui Barcellona ha brillato con la propria luce.
Del resto del cast, è da sottolineare il grande Amonasro di Luca Salsi, altro interprete formato nelle mani di Muti, bel fraseggio, voce sonora e stile verdiano impeccabile. Il suo terzo atto con Netrebko e Muti è uno dei momenti migliori della serata.
Da un Macbeth con regia di Peter Stein nel 2011, Riccardo Muti non è tornato a dirigere nella buca del Festival di Salisburgo. Curiosamente, tutto il tempo che Alexander Pereira (Tutt’ora sovrintendente del Teatro alla Scala) ha passato a capo del Festival di Salisburgo. E’stata la nuova direzione artistica di Markus Hinterhäuser che ha tenuto a porre fine a questa lunga assenza, facendo della presenza di Muti uno degli eventi più attesi di quest’edizione. Confesso che fu particolarmente commovente poter ascoltare “in diretta” questa partitura sotto la bacchetta di Muti, per quello che rappresenta per i miei inizi nell’opera la sua incisione EMI di Aida nel 1974 con Caballé e Domingo.
È sicuro che Riccardo Muti firma una versione di riferimento, come si poteva aspettare, molto al di sopra della sua prestazione sinfonica un giorno prima.
Tutto calcolo, fermo, con momenti di autentica bellezza, anche se calcolati, però autentici, è certo che domina la rappresentazione con una straordinaria autorità, dando fiducia e sicurezza a tutta la compagnia di canto. Il secondo atto è da manuale, e la rappresentazione va crescendo, con un terzo atto incredibilmente teatrale e un quarto atto di raffinata bellezza. A parte i momenti più marcati e marziali, l’Aida di Muti a Salisburgo è poetica, favolosamente lirica, con una grande concentrazione interiore, alleggerita di ogni spessore inutile, traendo vantaggio straordinario dagli archi e fiati dei Wiener Philharmoniker, dedicata corpo e anima a questa esecuzione eccezionale. Sono stati criticati i suoi tempi lenti e fin troppo dilatati, quello che non condivido in nessun modo. Sua Aida non è né morbida né lenta : è lirica, narrativa, meno sinfonica e più cameristica.
La nuova produzione firmata dall’artista iraniana Shirin Neshat è semplicemente decorativa. Non esiste un’idea teatrale che sostenga l’azione sul palcoscenico, oltre le proiezioni di immagini di rifugiati, che sembrano cercare una connessione tra il libretto originale e la realtà contemporanea di tante zone in conflitto. Però il tentativo è così minimo, così timido, che non quadra in assoluto come proposta drammatica. Insomma non c’è altro che una scenografia con pareti bianche e luci minimaliste assai. Una vera miseria, perché la produzione artistica di Shirin Neshat si distingue par la sua determinazione a denunciare la condizione della donna in molte società orientali. Con tale precedente, si sarebbe potuto aspettare molto di più della sua prima incursione nella lirica.