Perché il team di produzione (francese) ha disegnato per questo signor Bruschino scene di barche ormeggiate che riempiono il palcoscenico del Teatro Rossini ?
Vedo due possibilità :
- Essendo francese, il team conosce l’espressione “mener en bateau” (letteralmente portare a fare un giro in barca) che significa in francese “prendere in giro”.
- Abitando Venezia, dove Il signor Bruschino è stato rappresentato per la prima volta, forse hanno anche progettato questo set di barcone (o chiatta) e scialuppa, ben adatto a una Venezia portuale ?
Forse si mescolano le due possibilità per questa scenografia iperrealista e allo stesso tempo quasi onirica, con la bella illuminazione di Guy Simard, che impressiona e stupisce quando si alza il sipario. Lo spazio scenico è infatti triplice : il molo, il barcone e la scialuppa che si muove pericolosamente.
Tutto ciò conferisce all'opera un'atmosfera un po' antiquata, con i suoi costumi del primo Novecento, con domande (che non sono certo fondamentali) ma che toccano la mente del tipo, dove spariscono la cameriera Marianna, il commissario, Filiberto quando girano l'angolo del muro molo… Cosa succede dietro ? Naturalmente, è pura convenzione teatrale che si applica qui, dove la parte principale della farsa si svolge sul barcone a vela, che per l'occasione assomiglia quasi ad uno “yacht” ormeggiato in un moderno porto turistico, dove la gente si riposa all'ombra, beve aperitivi, si nasconde, e vive una comoda vita di ozio. Gaudenzio si gode la vita di una specie di capitano in pensione e probabilmente anche un po' decaduto.
Perché tutto sul palcoscenico serve alla trama : una cesta sulla banchina dove Florville nasconde i suoi veri vestiti da giovane aristocratico chic per indossare quelli di un piccolo marinaio, una scialuppa dove ci si nasconde per flirtare o per ascoltare quello che succede sul barcone, o quel telo che fa ombra per riposare sul ponte.
Si tratta di uno spazio un po' complesso, che costringe gli ensemble a dividersi tra la il molo e il ponte del barcone, centro dell'allestimento e quindi dell'azione.
Così la regia è prima di tutto una strutturazione inattesa ma seducente, evocativa, poetica dello spazio che restituisce la farsa a un universo che la taglia fuori dal suo aspetto di "farsa borghese" prefigurando le commedie alla Labiche o Feydeau dell’ultimo ottocento.
Per aggiungere l'insulto al danno, il "Castello" menzionato nel libretto è qua il nome del barcone (Il mio castello, che ricorda i nomi di certe casette di periferia, o della “banlieue” francese "Mio sogno", "Mio paradiso” “Mia pace”. Insomma, c'è un sorriso, una gentilezza in tutto questo, che prepara uno spettacolo piuttosto piacevole.
La Farsa è un genere musicale specifico che si sviluppò in Italia, in particolare a Venezia e Napoli, tra il 1790 e il 1830. È un genere adatto ai teatri più piccoli perché è breve (un atto), senza cambi di scena la maggior parte delle volte, e senza coro. Può quindi essere eseguito in condizioni accettabili quasi ovunque, anche con una piccola orchestra. Generali, Mayr, Donizetti e, naturalmente, Rossini furono tra i più notevoli compositori di farse che fiorirono all'epoca. In alcune stagioni c'erano fino a 200 farse, alcune delle quali non venivano necessariamente eseguite molte volte. Non è necessariamente una farsa nel senso della commedia dell'arte o della farsa di Molière del XVII secolo, e la trama deriva spesso dalla “nuova commedia” dell'antichità (Terenzio, Menandro), il cui tema essenziale è l'amore contrastato (per esempio da padri recalcitranti).
Questo può essere, per esempio, una commedia borghese, dove nobili squattrinati cercano di convincere un vecchio borghese ricco a sposare la figlia della casa ecc.… Non dobbiamo dimenticare la tradizione borghese rafforzata nel XVIII secolo dal “dramma borghese” di Diderot, che cercava di sostituire le tragedie troppo aristocratiche. Il Settecento fu infatti il secolo in cui la borghesia ricca prese il posto dell'aristocrazia rovinata, sempre alla ricerca di soldi, come da Goldoni (vedi La villegiatura), e la Rivoluzione francese segnò anche il trionfo della borghesia produttiva.
Il Signor Bruschino oppure il figlio per azzardo nasce da tutto questo contesto, fortemente ispirato da una commedia in cinque atti e in prosa, Le fils par hasard ou ruse et folie, di Chazet e Oubry, pubblicata nel 1804 e rappresentata per la prima volta a Parigi nel 1809, quattro anni prima dell'opera di Rossini.
Il signor Bruschino, che fu inizialmente un fallimento (una sola rappresentazione), racconta ancora una storia d’amore contrastato : Sofia, la pupilla del nobile Gaudenzio, ama Florville, il figlio di un suo nemico, ma Gaudenzio ha promesso la pupilla al figlio di un certo signor Bruschino (qui ritroviamo la questione aristocrazia/borghese), un figlio che nessuno ha mai visto. Florville assume quindi l'identità del figlio Bruschino, che è trattenuto in una locanda perché non ha pagato i suoi debiti all'oste Filiberto.
Bruschino-padre arriva a casa di Gaudenzio e ovviamente non riconosce Florville come suo figlio, che dice di essere stato abbandonato… Tutti pensano che Bruschino stia mentendo per nascondere la vergogna, e Bruschino stesso è confuso. Ma quando viene a sapere che Florville è il figlio del nemico di Gaudenzio, lo riconosce come il figlio perduto, per vendicarsi di Gaudenzio che ha messo in dubbio la sua parola. Gaudenzio, di fronte al fatto compiuto acconsente al matrimonio di Florville e Sofia.
Questa è una storia sul denaro che getta una luce non troppo buona sui fallimenti delle classi superiori e degli aristocratici che improvvisamente stabiliscono contratti lucrativi senza considerare i sentimenti dei loro figli.
Ci sono molti soldi in giro. Si intuisce che a Florville non manca nulla (indossa una fascia di lutto, probabilmente di suo padre, e torna a Sofia per conquistarla, ormai unico gestore della sua vita e del suo denaro) e che garantirà alla sua innamorata un futuro confortevole. Nemmeno Bruschino, elegantemente vestito, che evidentemente cerca di piazzare un figlio costoso oltre il dovuto ; il denaro è anche quello che spinge l'oste Filiberto a ricuperare i debiti. Insomma, l’argent fait tout, e forse Gaudenzio è un nobile rovinato ridotto a vivere la sua pensione sul barcone, unico relitto di una vecchia fortuna esaurita.
Come si vede, c'è una leggerezza un po' finta, nella misura in cui tutti cercano di uscire da una situazione che è a priori problematica per una ragione o per l'altra, e gli amanti cercano semplicemente di vivere la loro vita, aggirando delicatamente gli ostacoli sotto il bel sole italiano. Non così farsesco, il nostro Gioachino !
La regia e le scene permettono un uso abbastanza abile di equivoci, dissimulazioni e sostituzioni, e l'atmosfera marittima, che dà al tutto un colore piuttosto solare ed etereo, non cambia la trama, che si svolge secondo il libretto nel castello di Gaudenzio.
L'opera possiede ritmo, e rimane sempre elegante, senza mai cadere nella volgarità ; tra l’altro, non c'è nulla di volgare né di grossolano nella trama, e non ci si deve aspettare procedure farsesche nel senso usuale della parola. È piuttosto una piccola opera buffa che una "farsa" dove si può dire che il grande Rossini stendhaliano stava già emergendo sotto il giovane Gioacchino, appena ventenne. Così va il Genio.
André Barbe (scenografo) e il regista Renaud Doucet (conosciuti come Barbe & Doucet) danno a questa sordida storia una "leggerezza gentile", senza mai essere pesanti, il che rende alla fine lo spettacolo molto dolce perché mai sopra le righe, e installa attraverso le scene inabituali questo piccolo passo laterale che è la parte del sogno. Così ce ne usciamo abbastanza felici : non è questa la cosa principale ?
L’opera è allo stesso tempo semplice e intrigante. È musicalmente più elaborata del previsto, essendo il 1813 l'ultima stagione in cui il Teatro San Moisè presentò farse in un atto unico. La sinfonia è piuttosto riuscita, le arie non mancano di difficoltà, soprattutto quella di Sofia, cosa insolita in questo tipo di opera : l'opera oppone due bassi buffi, i due padri, un tenore e un soprano (i figli), il figlio Bruschino, che arriva alla fine dell'opera, è un tenore, e Filiberto, l'oste, è anche lui un basso. Tutto sommato, uno schema vocale abbastanza comune, ma ben elaborato e raffinato.
Usciamo felici, sì ! Ma fa caldo come dice Bruschino nel suo famosissimo uh ! che caldo ! modulato in ogni modo possibile da un ottimo Pietro Spagnoli che canta Bruschino. Il basso italiano, una delle più belle carriere della penisola, mostra un timbro sempre piacevole, uno stile impeccabile e una reale facilità scenica, con bel fraseggio e una voce che non ha perso ne proiezione, ne spessore. Come sempre, è nel modo in cui si dice il testo che vediamo i grandi, compreso nelle opere di Rossini, e Spagnoli un maestro nella colorazione delle parole e nelle variazioni di ritmo, dialogo e accenti. È vero che gli manca l'incredibile snellezza di Claudio Desderi una volta, ma nella schiera di cantanti che hanno affrontato il ruolo, lui sta tra i primi.
Usciamo felici, sì ! Ma fa caldo come dice Bruschino nel suo famosissimo uh ! che caldo modulato in ogni modo possibile da un ottimo Pietro Spagnoli come Bruschino. Il basso italiano, una delle più belle carriere della penisola, mostra un timbro sempre piacevole, uno stile impeccabile e una reale facilità scenica, con un bel fraseggio e una voce che non ha perso la sua proiezione ne il suo spessore. Come sempre, è nel modo in cui si dice il testo che vediamo i grandi cantanti, anche nelle opere di Rossini, e Spagnoli un maestro nella colorazione delle parole e nelle variazioni di ritmo, dialogo e accenti. È vero che gli manca l'incredibile sveltezza di Claudio Desder una voltai, ma nella schiera di cantanti che hanno affrontato il ruolo, lui sta tra i primi.
Giorgio Caoduro è un Gaudenzio che regge anche lui, forse un po' meno inventivo del suo collega. Ha un po' di difficoltà a calarsi nel ruolo, ma tutto sommato lo difende con eleganza, anche con un bel fraseggio e una presenza reale in una messa in scena dove nulla è enfatizzato troppo : tutto è giusto e senza eccessi. Con una bella agilità e una notevole cura del colore, si cala con sicurezza nel ruolo di un personaggio che si incrina a poco a poco con lo svolgersi della trama, mentre Bruschino arriva al contrario come un sempliciotto che sarà "preso per i fondelli" ma si rifà alla fine.
Gli altri ruoli meno importanti sono molto ben sostenuti, in particolare l'espressivo Filiberto di Gianluca Margheri, ma anche il Commissario di Enrico Iviglia e la bravissima Marianna di Chiara Tirotta. Una piccola delusione per il Bruschino-figlio di Manuel Amati, il cui timbro molto bello avevamo sottolineato l'anno scorso nella Petite Messe Solennelle, ma che qui non riesce a imporre una voce piuttosto piccola nonostante le evidenti qualità, mentre la sua apparizione finale dovrebbe essere un "colpo di scena".
Rimane la coppia di amanti, Jack Swanson come Florville ha le qualità tecniche eminenti dei cantanti americani, un bel controllo e un bel timbro, ma gli manca un'autorità vocale che non riesce a imporre, nonostante una presenza scenica evidente e buone qualità recitative. Per cantare questo tipo di ruolo, deve allontanarsi dalla semplice e un po' anonima "avvenenza", deve ancora acquisire maturità.
Queste produzioni più leggere ci permettono di proporre nuove personalità vocali e sceniche con meno rischi, come è stato l'anno scorso con Giuliana Manfaldoni, Fannì in La cambiale di matrimonio, ed è di nuovo il caso della giovane Marina Monzó, anch'essa passata per l'Accademia Rossiniana, che si mostra nella sua aria, di per sé difficile (cosa sorprendente in una farsa), e anche dalla sua posizione insolita all'inizio dell'opera, una sicurezza di tono, una solidità, una tecnica esemplare che dovrebbero essere qualità che scopriremo presto in altre opere, ma che sono anche un modo di affermare intelligentemente il personaggio che, lungi dall'essere la ragazzina timida ed obbediente, si rivela ferma e piena di carattere e autorità.
Ci si chiede perché l'orchestra sia stata distribuita anche quest'anno al posto della Platea vuota. Anche se la buca è piccola e dunque con distanza fisica difficile da rispettare, da un lato, la vaccinazione dovrebbe aver risolto molti problemi di contaminazione, e dall'altro, trattandosi di una "farsa" che può essere adattata per definizione a varie condizioni e molteplici spazi, l'orchestra potrebbe essere ridotta e collocata nella buca.
Questo non è stato, e l'udito per gli spettatori seduti nei palchi rimane sbilanciato con un'orchestra che forma un muro di suono in primo piano, e inoltre il direttore è lontano dai cantanti, meno visibile, causando in questa prova generale per stampa e sponsors alcuni “décalages” e alcuni difetti di precisione, certo veniali, che di sicuro sono stati risolti durante le rappresentazioni col pubblico.
Infatti, Michele Spotti, a capo della Filarmonica Gioachino Rossini, rivela un gesto sicuro, deciso, una spinta che colpisce subito. Il ritmo c'è, l'energia anche, ma soprattutto la precisione e l'intelligenza della situazione. Nonostante tutto, Spotti cerca di non coprire mai i cantanti e dà un vero colore all'accompagnamento (segnaliamo anche i recitativi ben accompagnati al pianoforte da Giorgio d'Alonzo). Dimostra un vero senso dell'orchestra rossiniana, attento ad accompagnare le voci, in particolare curando le sfumature con raffinatezza, anche se l'orchestra, nel complesso molto dignitosa, non è sempre all'altezza delle esigenze del direttore, che ci tiene a produrre un risultato impeccabile e rigoroso. Non c'è dubbio che abbiamo qui un giovane direttore d'orchestra che ha un grande talento con un grande potenziale nel futuro.
Quindi, tutto sommato, questo spettacolo è elegante, ben diretto, messo in scena in modo efficiente e con un cast equilibrato e molto impegnato. Pretendere di più ? Rossini era qui, tra noi, in questa sera d’agosto !