Giuseppe Verdi (1813–1901)
Simon Boccanegra (1857, rev. 1881)

Melodramma in tre atti
Libretto di Francesco Maria Piave e Arrigo Boito (seconda versione)

Orchestra e Coro del Teatro Carlo Felice

Direttore d’orchestra Andriy Yurkevych
Regia e scene Andrea De Rosa
Regia ripresa da Luca Baracchini
Costumi Alessandro Lai
Light e video design Pasquale Mari
Maestro del coro Francesco Aliberti

 

Simon Boccanegra Ludovic Tézier
Jacopo Fiesco Giorgio Giuseppini
Amelia Grimaldi Vittoria Yeo
Gabriele Adorno Francesco Meli
Paolo Albiani Leon Kim
Pietro Luciano Leoni
Un’Ancella di Amelia Simona Marcello
Fantasma di Maria Luisa Baldinetti

Allestimento Teatro Mariinskij di San Pietroburgo

 

Genova, Teatro Carlo Felice, venerdì 15 febbraio 2019.

Grandi emozioni in sala per la ripresa di Simon Boccanegra al Teatro Carlo Felice di Genova. A distanza di pochi anni torna in scena, seppur per poche recite, il bellissimo allestimento di Andrea De Rosa con una cast degno delle principali ribalte internazionali. Sotto la bacchetta raffinata di Andriy Yurkevych, spiccano le intense interpretazioni di Ludovic Tézier e Francesco Meli.

“Fui costretto di leggere non meno di SEI VOLTE attentamente questo libretto del Piave per capirne, o credere di capire, qualche cosa. Mi sforzerò di ridurre ad argomento personalizzato questo mostruoso pasticcio melodrammatico, su cui erano fondate tante speranze del maestro.”

(Studio sulle opere di Giuseppe Verdi di A. Basevi,
Firenze, 1859, pg.259)

Così comincia il capitolo XIX del primo importante studio monografico dedicato alle opere verdiane, pubblicato appena dopo la novità del Simon Boccanegra. E’ il prologo del racconto di un disastro, della perdita di ogni punto di riferimento, e continua : “Chi s’immaginava, che dopo il successo avventuratissimo della Traviata, [Verdi] avrebbe proceduto in questa medesima via ; altri pensavano si sarebbe guidato colla stessa scorta della Giovanna di Guzman.((Les vêpres siciliennes così debuttarono a Parma nel 1855, in italiano e con diversa ambientazione per passare indenni la censura))
[…] Il fatto è che il Verdi, con quest’Opera, per certa ricercatezza di nuove forme da adattarsi all’espressione drammatica, per maggior importanza data ai recitativi, e per minor sollecitudine quanto alla melodia, tentò una quarta maniera, accostandosi alquanto alla musica germanica. Io direi quasi volesse, almeno giudicando dal Prologo, seguitare, da lontano è vero, ma non di meno seguitare le traccie del famoso Wagner, il sovvertitore della musica presente.”((Basevi, op. cit., pgg. 264–265))
In uno studio su un’esperienza artistica che pareva giunta al capolinea (quante frecce ancora a disposizione del bussetano, si vedrà…), quest’avvio manifesta tutto lo stordimento, la perdita di punti di riferimento che prese il pubblico contemporaneo dinanzi alla piega assunta dalla drammaturgia musicale del Maestro. L’unica via di fuga, per mettere al riparo il cuore e la mente, restava la comoda accusa di Wagnerismo : una risposta sofferta del Vate, davanti all’esaurimento della vena melodica il rifugio in un cedimento verso un’Arte lontana dalla nobile tradizione italiana del belcanto.
Ironia della sorte, la musica di Lohengrin, la più “italiana” tra le opere di Wagner, sarebbe arrivata in Italia a Bologna, in forma integrale, solamente dodici anni dopo per la prima volta.

Verdi decise che non sarebbe artisticamente morto tra cavatine, pertichini e cabalette.
Non era certamente facile, in quel momento, intravedere dall’esterno il coraggio della sfida (l’uomo non era uso a dar troppe spiegazioni) che per vie ignote si avviava ad indagare sempre più la socialità dei rapporti tra protagonisti e tra questi ultimi e la massa : l’ingresso della politica, della religione, l’interazione sociale dopo aver scandagliato le passioni individuali di padri e figli e giovani amanti, rendeva implicitamente evidente la necessità di superare la vecchia alternanza aria-recitativo.
Così, nel Boccanegra di ripensamento in rifacimento il popolo sarebbe passato dall’inizio in cui è semplice cornice, massa e in quanto tale solo in grado di essere manipolata sino a diventare parte integrante e testimone della vicenda politica della Repubblica.
Un prode, un popolan, Simone è circondato dalla codardia e dall’avarizia ma avverte con istinto sicuro l’autorevolezza del Petrarca e si solleva sui presenti nella scena del Senato con la superba invettiva :

Plebe ! Patrizi!…Popolo
Dalla feroce storia !
Erede sol dell'odio
Dei Spinola e dei Doria,
Mentre v'invita estatico
Il regno ampio dei mari,
Voi nei fraterni lari
Vi lacerate il cor.
Piango su voi, sul placido
Raggio del vostro clivo
Là dove invan germoglia
Il ramo dell'ulivo.
Piango sulla mendace
Festa dei vostri fior
E vo gridando : pace !
E vo gridando : amor !

E’ l’immagine della pacificata Genova cui egli anela, forte tra le forti, che non teme la rivale Venezia al punto da auspicare una saldezza d’intenti che le renderebbe incontrastabili protagoniste del Mediterraneo. Una Città unità, spiritualmente fiera e superbamente composta, non dilaniata da lotte politiche.
E poi c’è il mare…! Ovviamente ! Onnipresente, dalla memoria della marina di Pisa alla terrazza dal palazzo dei Grimaldi, è il co-protagonista dell’opera, non un semplice sfondo. E’ nei colori, nella musica, è il testimone di ogni accadimento, è l’opera stessa.
Verdi, contadino della bassa padana, gli si avvicina con soggezione, quasi intimorito lo descrive tramite la delicatezza dei tremoli degli archi, spaesato ne ritrae la brezza con bandistici arabeschi dei legni.
Separato da lui il Boccanegra, un pirata, lentamente perde la sua statura, la sua moralità, la sua fierezza. Il vero veleno che ne spegne la vita non è quello versato da Paolo, è proprio la lontananza da quel mare che sin dall’inizio aveva scelto per casa e per tomba.
Ma quel mare gli è fedele come la sua Maria e alla fine ritorna a prenderselo, entra in scena maestoso, solare, abbagliante. Inonda il palcoscenico e teatralmente gli lascia giusto il tempo per il concertato finale, una delle poche pagine dell’opera che piacque sin da subito.

Simon Boccanegra torna al Carlo Felice di Genova nello spettacolo messo in scena dal regista Andrea De Rosa nel 2015, produzione che seguiva quella di Pier’Alli del 1992 poi ripresa nel 2004. Coprodotto originariamente dal Teatro Carlo Felice e dal Teatro La Fenice di Venezia, in seguito acquistato dal Teatro Mariinskij di San Pietroburgo, la bellezza dello spettacolo ne giustifica la ripresa, conservando tutto il fascino di una tra le più emozionanti realizzazioni del titolo, che ne mette in luce i punti di forza sopra richiamati in maniera esemplare.
Nella visione del regista è proprio il mare a fungere da filo conduttore per tutta l’opera, e ci commuove con le suggestive riprese della costa ligure di Pasquale Mari.

Atto I scena seconda, il giardino de’ Grimaldi fuori di Genova. 

Dinanzi a questo mare, vivo, ripreso a tutte le ore del giorno, si staglia una rigorosa struttura geometrica cui minimi elementi conferiscono all’occasione l’aspetto del palazzo dei Fieschi, del giardino di un palazzo patrizio, della Sala del Consiglio.

Atto I scena undicesima, la Sala del Consiglio nel Palazzo degli Abati. 

Nell’ultima scena la medesima struttura si scarnifica sino a spalancare lo sguardo sulla costa al calar del giorno. Ed al tramonto della vita di Boccanegra torna anche quella Maria, che tanti lustri prima il pirata aveva amato, ad accoglierlo tra le braccia in una impossibile composizione del quadro familiare.

Il finale dell’opera.

La regia di De Rosa non si limita solo a comporre immagini suggestive, scandaglia con efficacia tanto i rapporti umani quanto i rapporti tra le classi sociali. Tutto si svela con linearità sulla scena : i rapporti tra persone, la trama politica e il conflitto  sociale.
Ricorderemo così a lungo quel Doge che si staglia nella Sala del Consiglio sul suo seggio, circondato da tutti, umanamente sullo stesso piano del popolo e dei patrizi, con l’autorevolezza di un Boris Godunov, prima di salire a dominare la scena da una balconata.

Di gran livello la prova dei complessi stabili del Teatro, Orchestra e Coro al meglio delle loro possibilità, ad ogni istante sorretti dalla guida ispirata e sicura del maestro Andriy Yurkevych, che per tutta la serata cerca e trova un suono pulito, legato, elegante.Il direttore non insegue gravi imperiosi degli archi o scoppi esteriori ma piuttosto, concedendosi talvolta tempi più larghi dell’usato, avvolge l’opera di sonorità morbide e pastose, delicate, sognanti, degne di quel mare che vigila paternamente su tutta l’opera.

Trionfatore della serata, è un grande regalo per le scene italiane la presenza di Ludovic Tézier in splendida forma vocale a vestire i panni di un Boccanegra raffinato, duttile nella vocalità, imperioso quanto basta ma senza mai alzare la voce, dalla dizione perfetta, che si affida frequentemente al suono legato e morbido della mezzavoce. Piena e ricca di armonici nei centri e nei gravi, la voce si alleggerisce salendo all’acuto senza mai perdere l’appoggio sul fiato, l’interpretazione si contraddistingue per una continua varietà di fraseggio fino a spegnersi in un commovente finale che lo rende Doge di riferimento dei nostri giorni.

Simon Boccanegra (Ludovic Tézier)

Nei panni di Gabriele Adorno era molto attesa la presenza del tenore genovese Francesco Meli che, dopo i recenti Lombardi torinesi, si conferma tenore romantico per eccellenza.La parte gli calza a pennello, per la maggior parte giocandosi sui suoni centrali, la voce perfettamente in maschera risuona rigogliosa in sala nel canto a voce spiegata e, più spesso ancora, convince la ricerca di ogni inflessione e preziosità di fraseggio, senza leziosità. Meritata l’ovazione che lo attende al termine della grande scena quinta del secondo atto, che culmina in un largo, commovente Cielo pietoso, rendila.

Un intenso momento di Gabriele Adorno (Francesco Meli)

Corretta l’Amelia Grimaldi di Vittoria Yeo, la cui prova resta tuttavia un gradino sotto quella di baritono e tenore. Spinta nel registro acuto al limite dello sforzo, la voce non è sorretta dalla ricerca di una varietà d’espressione che avrebbe certamente giovato a far passare in secondo piano un registro medio-grave dalle sonorità evanescenti. Dotata di brillante presenza scenica, incarna magistralmente nel duetto del primo atto una Amelia, dapprima altezzosa e scontrosa, che si trasforma poco alla volta nell’amorevole figlia del Doge.

Amelia Grimaldi e Simon Boccanegra nel primo atto (Vittoria Yeo, Ludovic Tézier)

Buone le prove degli altri interpreti, tra cui è giusto ricordare almeno il Fiesco giovanile alla figura di Giorgio Giuseppini (bello il suo Lacerato spirito iniziale) e il credibile Paolo di Leon Kim.

Al termine della recita applausi per tutti gli interpreti, particolarmente prolungati per Tézier, Meli, Yurkevych e Yeo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Paolo Malaspina
Paolo Malaspina, nato ad Asti nel 1974, inizia a frequentare il mondo dell’opera nel 1989. Studia privatamente canto lirico e storia della musica parallelamente agli studi in ingegneria chimica, materia nella quale si laurea a pieni voti nel 1999 presso il Politecnico di Torino con una tesi realizzata in collaborazione con Ecole Nationale Supérieure de Chimie de Toulouse. Ambito di interesse musicale : musica lirica e sinfonica dell’ottocento e novecento, con particolare attenzione alla storia della tecnica vocale e dell'interpretazione dell'opera lirica italiana e tedesca dell'800.

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