Il Mibact ha acquisito le carte mai pubblicate, conservate a Villa Sant’Agata dalla famiglia Carrara/Verdi i cui componenti sono gli eredi del musicista di Busseto. Dopo molti anni finalmente questi cinquemila fogli saranno accessibili a tutti gli studiosi che vorranno approfondire le loro ricerche. Il 29 gennaio è stato presentato a Parma l’Annuario di Studi Verdiani 2018, con un saggio di Alessandra Carlotta Pellegrini già direttrice scientifica dell’INSV Istituto Nazionale di studi verdiani che illustra quali sono le particolarità e le curiosità trovate in questo inedito lascito. A Parma alla conferenza, oltre alla dottoressa Pellegrini, erano presenti Luigi Ferrari, appena nominato Presidente dell’INSV e Sandro Cappelletto direttore dell’Annuario.

La villa di Sant'Agata

"La villa di Sant’Agata forma ancora per il maestro Verdi il soggiorno più gradito. Quivi la sua attività prodigiosa di corpo e di spirito può svolgersi più liberamente che altrove…."
Queste sono parole che Antonio Ghislanzoni scrisse nel 1868 sulla Gazzetta Musicale di Milano, in un articolo La casa di Verdi a Sant’Agata. Il librettista era appena rientrato a Milano, la visita a Sant’Agata l’aveva suggerita Ricordi stesso, molto preoccupato perché il libretto di Forza del destino giaceva abbandonato nel magazzino dell’editore. Verdi addirittura voleva ritirarsi dall’impresa, ma per fortuna al suo ritorno Ghislanzoni si era rimesso al lavoro con una rinnovata energia.
La prima di Forza del destino ebbe luogo alla Scala il 27 febbraio 1869.
Giuseppe Verdi, che si definiva agricoltore, amava molto il suo buen retiro di Sant’Agata : vi si rifugiava al ritorno dai suoi viaggi in giro per l’Italia e l’Europa, per le rappresentazioni delle sue opere, o quando lasciava Genova dove amava svernare assieme a Giuseppina Strepponi e dove aveva casa, tanto da essere nominato cittadino onorario.

Verdi si legò profondamente al territorio di Sant’Agata in provincia di Piacenza : fece costruire case coloniche per dare lavoro ai contadini poverissimi di quelle campagne. Quando comprese che l’Ospedale più vicino per quelle zone era a Piacenza, a quasi 40 chilometri di distanza, pensò a far erigere un centro di cura, l’Ospedale di Villanova sull’Arda. Verdi lasciò a questo centro parte della sua eredità ; dopo anni divenne Casa di cura e ricovero per anziani ora è il “Centro di Recupero e Riabilitazione Funzionale Giuseppe Verdi”,  un Centro paralimpico.

Uno dei fogli inediti

Ma torniamo alle carte recuperate. Si sapeva dell’esistenza di questo “tesoro celato”, c’è stata una mobilitazione partita da un articolo della rivista “Classic Voice”, dalla tenacia dei Nicola Sani ex- direttore dell’INSV, dall’impegno di almeno cinquanta esponenti della cultura e dal lavoro generoso di Gino Famiglietti Direttore generale Archivi al Mibact.

Abbiamo chiesto a Sandro Cappelletto, direttore dell’Annuario di Studi Verdiani da quattro anni, di raccontarci come si è arrivati a recuperare le cinquemila carte inedite.

Sandro Cappelletto : "Finalmente dal gennaio 2017, forte dei principi stabiliti dall'articolo 9 della Costituzione italiana e dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, il MIBACT ha intrapreso un'azione che ha reso possibile portare il contenuto del baule all'Archivio di Stato di Parma. L'archivio ha a sua volta affidato all'Istituto Nazionale di Studi Verdiani l'incarico di provvedere a una catalogazione sistematica dei circa 5400 fogli di abbozzi musicali verdiani. Compito che è stato svolto in maniera egregia dalla dottoressa Alessandra Carlotta Pellegrini, già direttore scientifico dell'Istituto verdiano".

Annarita Caroli : è stato un iter complesso quello di trasferire questo patrimonio in mani pubbliche ?

S.C. "Direi di no, non particolarmente complesso ; una volta che la Direzione generale degli Archivi del MIBACT ha preso l'iniziativa, nonostante l'opposizione degli eredi Carrara-Verdi, proprietari delle carte.
Le leggi c'erano, è stato sufficiente applicarle" 

A.C. sono oltre 5mila fogli, sono tante e Verdi aveva chiesto che venissero bruciate alla sua morte. Questi fogli sono la conferma del grande lavoro e della cura incessante che Verdi metteva nel comporre le sue opere ?

S.C. "I fogli erano custoditi – e non sempre in maniera impeccabile – in sedici cartelle, ciascuna delle quali dedicata a un'opera. L'arco di tempo va dal 1848, con i primi schizzi su Luisa Miller, fino al Falstaff. Prenderne visione, significa entrare nel laboratorio creativo di Verdi, spesso seguire la nascita di un'idea, come avviene ad esempio per il nucleo originale della fuga finale di Falstaff. Vuol dire capire le esitazioni, i ripensamenti sul “Credo scellerato" di Jago in Otello. O ancora, osservando i canti popolari raccolti nella cartella del Trovatore, capire il ventaglio amplissimo degli interessi e degli stimoli musicali e culturali di cui Verdi si nutriva". 

A.C. Possiamo ritenere che lo studio del catalogo verdiano prenderà una nuova direzione e troverà una nuova chiave interpretativa, alla luce di queste carte inedite ?

S.C. "Sarà compito degli studiosi e dei musicisti capire il rapporto tra le partiture per come le conosciamo allo stato attuale ed eventuali nuove ipotesi di lavoro e di realizzazione esecutiva che questi documenti consentono". 

A.C. Dove sono conservate ora ? Saranno consultabili facilmente ?

S.C. "All'Archivio di Stato di Parma. L'augurio dell'Istituto Nazionale di Studi Verdiani è che il processo di digitalizzazione e di messa in rete si compia entro il 2019.  Così questi documenti saranno finalmente consultabili dalla comunità internazionale degli studiosi, in modo trasparente, oggettivo, senza personalismi, senza casuali favoritismi. Come già accade per tanti altri compositori. Una profonda lacuna sta per essere colmata".

Giuseppe Verdi (1813–1901)
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