Franz Schubert (1797–1828)
Fierrabras (1823)
Opera eroico-romantica in tre atti
Libretto di Josef Kupelwieser

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala di Milano

Direttore d’orchestra      Daniel Harding
Regia                                  Peter Stein
Ripresa da                         Bettina Geyer e Marco Monzini
Scene                                  Ferdinand Wögerbauer
Costumi                             Anna Maria Heinreich
Luci                                    Joachim Barth
Maestro del coro             Bruno Casoni

König Karl           Sebastian Pilgrim
Emma                  Anett Fritsch
Roland                 Markus Werba
Eginhard             Peter Sonn
Boland                 Lauri Vasar
Fierrabras           Bernard Richter
Florinda              Dorothea Röschmann
Maragond           Marie-Claude Chappuis
Brutamonte        Gustavo Castillo*
Ogier                    Martin Piskorskiµ
Una damigella   Alla Samokhotova

*Solista dell’Accademia Teatro alla Scala

Produzione Salzburger Festspiele

Milano, Teatro alla Scala, mercoledì 27 giugno 2018

Il Fierrabras di Schubert per la prima volta alla Scala nel segno di Claudio Abbado. Nei giorni in cui il maestro milanese avrebbe compiuto ottantacinque anni, il direttore Daniel Harding ed il regista Peter Stein, rispettivamente allievo e prediletto regista, portano in scena un raffinato spettacolo originariamente presentato a Salisburgo durante il festival estivo del 2014. Un giovane ed affiatato gruppo di cantanti restituisce al meglio l’immagine di un titolo colmo di musica raffinata, carente di una vera teatralità operistica.

Il 26 giugno 2018, un giorno prima della recita cui abbiamo assistito, Claudio Abbado avrebbe compiuto il suo ottancinquesimo compleanno.
Da lui, dal lavoro di tanti anni dedicati a studiare anche i titoli più noti sin nei minimi dettagli andando alla ricerca delle fonti originali, si trattasse di Verdi, di Musorgskij o di chiunque altro che fosse in cartellone, con scelte certo personali ma sempre esito di una ricerca profonda, riparte anche la storia del Fierrabras di Franz Schubert, dalle Wiener Festwochen del 1988 durante le quali venne portato sulle scena per la prima volta in forma integrale e secondo le intenzioni dell’Autore, quel titolo che avrebbe dovuto consentirgli di “sfondare” nel popolare mondo dell’opera secondo il percorso che si andava delineando da Mozart a Weber, su su fino al Fidelio di Ludwig van Beethoven.
La storia andò diversamente, l’opera neanche arrivò alla prima rappresentazione. Completa in ogni sua parte, il modesto esito del precedente Euryanthe suggerì di rimandare, e in breve di Fierrabras si persero le tracce. Rimase sulla carta negli scaffali della Biblioteca Nazionale di Vienna per comparire su di un palcoscenico, a Karlsruhe, solo nel 1897. Dopo occasionali tentativi, nel 1988, appunto, l’amata Vienna aprì finalmente le porte del Theater an der Wien per la vera prima teatrale.

Claudio Abbado, Ruth Berghaus, un valido cast di giovani interpreti (è un’opera in cui i giovani sono i protagonisti, agitati da passioni come marionette ma senza mai arrivare a rendersi conto delle trame del loro destino, lo intuì efficacemente la regista), la prima registrazione integrale e Fierrabras uscì dall’oblio pur non diventando un’opera lirica di repertorio.
E tale non potrà essere mai, per il semplice motivo che non è un ‘opera lirica. Pagine si susseguono di splendida musica, sin dall’ouverture iniziale, alternate con momenti magari non memorabili ma senza mai una vera e propria caduta.
Pure, questa lunga sequenza musicale, 23 numeri ricamati con raffinatezza nelle forme più diverse a dimostrare quanto impegno e fiducia Schubert vi riponesse, non si trasforma mai in una vera e propria opera da palcoscenico.
L’alternarsi delle arie e dei pezzi d’insieme non è baciato dal senso della drammaturgia teatrale, dall’urgenza del colpo di scena quanto piuttosto da una scienza radiosa, da una musicalità straordinaria, dalla facilità insolente nel comporre squisite melodie di romantica semplicità ed immediatezza, adatte tuttavia più ad un oratorio o ad altre strutture musicali. Ugualmente, non definiremmo opera lirica un capolavoro di leggerezza come Ein Sommernachtstraum di Mendelssohn.

Per l’occasione di questa prima comparsa nella sala del Piermarini, il Teatro alla Scala ha scelto di proporre l’opera nell’allestimento che nel 2014 andò in scena a Salisburgo, durante il festival estivo, con la regia di Peter Stein, anch’egli artista che intrecciò la propria parabola artistica con quella di Claudio Abbado in diverse importanti occasioni.

Schubert’s brille : gli occhiali di Franz Schubert protagonisti, sornioni dall’alto, della messa in scena.

Teatralmente agli antipodi della concezione scenica di Berghaus, Stein ha ideato uno spettacolo apparentemente semplice, elegante e piuttosto statico, in una cornice che ricrea un vero e proprio racconto fiabesco, tutto giocato su toni di bianco e nero come un gigantesco fumetto, in cui il colore compare solamente nell’ultima scena, con un enorme cuore tra palme intrecciate, a suggellare il lieto fine della vicenda.
Se le immagini sono garbate e piacevoli, la staticità dello svolgimento e delle relazioni tra protagonisti non giova certo alla scarsa teatralità di un titolo che, abbiamo detto, è ben distante dalla tradizionale opera lirica, contribuendo a renderlo ancor più una garbata successione di splendide pagine musicali legate tra loro da un esile filo narrativo.

E’ indelebile ed emoziona sempre, ogni volta che lo vediamo salire sul podio, l’immagine di un Daniel Harding ragazzino, poco più che ventenne, nella sala del Mozarteum di Salisburgo mentre impugna la bacchetta per dirigere un brano da far tremare i polsi come il Pierrot Lunaire di Arnold Schoenberg.

Claudio Abbado aveva voluto dar vita nel 1994 ad una rassegna da camera laterale in seno all’Osterfestspiele salisburghese, denominata Kontrapunkte, occasione per indagare i legami tra i classici in scena sul palcoscenico maggiore e la musica da camera, soprattutto quella moderna e contemporanea. Le prime parti dei Berliner aderirono con entusiasmo.
Per il festival del 1997, sul palcoscenico del Grosses Festspielhaus, dopo anni di trionfali recite milanesi e viennesi, Claudio Abbado portava alla testa dei suoi Berliner Philharmoniker il Wozzeck, proprio con la regia di Peter Stein, per due recite che sono già un riferimento nella storia interpretativa di Berg.((22 e 31 marzo 1997, nei ruoli principali Albert Dohmen (Wozzeck), Jon Villars (Tambourmajor), Hubert Delamboye (Hauptmann), Deborah Polaski (Marie)))
La mattina del 31 marzo, lunedì di Pasqua, Daniel Harding suscitò incredibile emozione per un Pierrot Lunaire con la voce recitante di Barbara Sukowa e musicisti quali Bruno Canino, Emmanuel Pahud, Manfred Preis, Rainer Kussmaul, Wolfram Christ, David Riniker.
Nella sala, stracolma, si scatenò l’entusiasmo. Girarsi e vedere tra il pubblico, due file dietro, un Claudio Abbado sorridente ed emozionato per la prova di quel giovane assistente fu la conferma di quel suo disegno, del Zusammenmusizieren eretto a modello di vita artistica.

Il direttore d’orchestra Daniel Harding.

Le presenza di Harding per Fierrabras alla Scala è, dunque, intelligentemente inquadrata in questo omaggio al genius loci.
Attenzione, però : l’omaggio non è il frustrante tentativo di riproporre un modello che resta comunque a se stante. La direzione di Harding è per molti versi distante da quella di Abbado. Se comune si coglie la necessità di indagare il testo nei più remoti dettagli, il maestro inglese porta piuttosto in primo piano la delicatezza ed omogeneità stilistica delle pagine musicali, tutte condotte con estrema raffinatezza ed eleganza, l’opera è per lui una ballata romantica piuttosto che lo scontro impetuoso di giovani agitati da passioni e sogni di gloria.
L’orchestra segue felicemente le intenzioni del direttore mettendosi in luce con suoni delicati nella sezione degli archi e precisi in quella dei legni e di eccellente livello è, al solito, il contributo del coro.
Legato a quest’ultimo, in merito all’efficacia scenica del titolo di Schubert e del perché sia rimasto così lontano dai teatri d’opera, la dice lunga la differenza di clima musicale tra l’innocuo coro delle  damigelle che tessono un pegno d’amore al levarsi del sipario dopo l’ouvertüre e l’analoga situazione che apre il secondo atto del Fliegende Holländer

Protagonista sul palco un gruppo di giovani scenicamente credibili, la distribuzione ricalca in parte quella dell’originale produzione salisburghese e di questo si avvantaggia anche la parte scenica.

La splendida Florinda con Maragnod (Dorothea Röschmann, Marie-Claude Chappuis)

Spicca tra tutti la splendida Florinda di Dorothea Röschmann che nel pieno della maturità vocale ha la giusta esperienza dell’interprete di lieder per affrontare al calor bianco, ma senza passare la misura del canto, la sua aria del secondo atto Die Brust, gebeugt von Sorgen, dopo aver già emozionato nel duetto Weit über Glanz und Erdenschimmer, grazie anche alla presenza dell’ottima Maragond di Marie-Claude Chappuis.

Emma e Fierrabras (Anett Fritsch, Bernard Richter).

Il primo atto dell’opera fa centro sull’altra figura femminile, la giovane Emma figlia di re Carlomagno, validamente interpretata dal soprano Anett Fritsch, che sfoggia linea vocale controllata e sorretta da voce di timbro omogeneo e sonoro, con qualche problema negli estremi acuti, particolarmente nel primo duetto con Eginhard.
A Peter Sonn è affidato quest’ultimo ruolo, che affronta con sicurezza mettendo in luce soprattutto il lato amoroso del personaggio. L’altro momento ispirato della serata, la toccante romanza Der Abend sinkt auf stille Flur, si deve a lui e alla delicata concertazione di Harding, che dosa con maestria i pizzicati degli archi e gli interventi di oboi e clarinetti.

Emma, Fierrabras e Eginhard (Anett Fritsch, Bernard Richter e Peter Sonn).

Complessivamente all’altezza anche il Roland di Markus Werba, che sostiene con fraseggio vario, accenti ben dosati e bel colore vocale la propria parte, pur senza poter sfoggiare voce imponente.
Appena discrete le prove degli altri interpreti, tra cui si ricordano Bernard Richter nel ruolo di Fierrabras (protagonista che scompare per l’intero secondo atto…), Lauri Vasar come Boland e Sebastian Pilgrim nel ruolo di Carlomagno, alternatosi nel corso delle recite a Tomasz Konieczny.

La scena finale con tocco di colore.

Al termine della rappresentazione applausi convinti per tutti gli interpreti.

Sulle loro teste, a far corona all’arco scenico, gli occhiali di Franz Schubert sorvegliano (ironicamente?) lo svolgersi della vicenda.

 

 

 

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Paolo Malaspina
Paolo Malaspina, nato ad Asti nel 1974, inizia a frequentare il mondo dell’opera nel 1989. Studia privatamente canto lirico e storia della musica parallelamente agli studi in ingegneria chimica, materia nella quale si laurea a pieni voti nel 1999 presso il Politecnico di Torino con una tesi realizzata in collaborazione con Ecole Nationale Supérieure de Chimie de Toulouse. Ambito di interesse musicale : musica lirica e sinfonica dell’ottocento e novecento, con particolare attenzione alla storia della tecnica vocale e dell'interpretazione dell'opera lirica italiana e tedesca dell'800.

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