Wolfgang-Amadeus Mozart (1756–1791)
Don Giovanni (1787)

Direttore : Stefano Montanari
Regia : Damiano Michieletto
Scene : Paolo Fantin
Costumi : Carla Teti
Light designer : Fabio Barettin

Don Giovanni
Alessandro Luongo 
Leporello
Omar Montanari 
Donna Anna
Francesca Dotto 
Donna Elvira
Carmela Remigio
 
Don Ottavio
Antonio Poli 
Masetto
William Corrò 
Zerlina
Giulia Semenzato
Il Commendatore
Attila Jun

Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Maestro del Coro ⎮ Claudio Marino Moretti

Teatro La Fenice, 18 ottobre 2017

Qualcuno si è mai messo a calcolare il numero di conquiste di Don Giovanni ? Sicuramente sì, ma – dato che non ho voglia di cercare su Google – faccio da me : 640+231+100+91+1003 dà 2065. Una cifra vertiginosa, da capogiro, come vertiginoso è il Dissoluto punito rappresentato al Teatro La Fenice dal 13 al 26.10.2017 (la cui somma, per inciso, dà 2066). Non si tratta di una produzione nuova ma senza dubbio di una che fa abbondantemente parlare di sé. È un Don Giovanni della vertigine, della spirale estetica e sensoriale, dell’incubo e dell’ossessione quello diretto da Stefano Montanari giù in buca e da Damiano Michieletto su, sul palcoscenico ; ma tentiamo di procedere con ordine.

Don Giovanni (Adrian Sampetrean)

Don Giovanni, o la vertigine.

Qualcuno si è mai messo a calcolare il numero di conquiste di Don Giovanni ? Sicuramente sì, ma – dato che non ho voglia di cercare su Google – faccio da me : 640+231+100+91+1003 dà 2065. Una cifra vertiginosa, da capogiro, come vertiginoso è il Dissoluto punito rappresentato al Teatro La Fenice dal 13 al 26.10.2017 (la cui somma, per inciso, dà 2066). Non si tratta di una produzione nuova ma senza dubbio di una che fa abbondantemente parlare di sé. È un Don Giovanni della vertigine, della spirale estetica e sensoriale, dell’incubo e dell’ossessione quello diretto da Stefano Montanari giù in buca e da Damiano Michieletto su, sul palcoscenico ; ma tentiamo di procedere con ordine.

don giovanni foto

Sin dall’Ouverture l’orchestra fornisce l’immagine acustica del suo Don Giovanni : un suono sfavillante, coloratissimo, grandioso e senza paura alcuna ; una lettura che sa essere precisa e distinta quanto morbida e suadente ma che non di rado pecca d’imprudenza : il direttore tende ad abbassare generosamente il corsoio del metronomo, il che fa presagire fin da subito dei rischi. Leporello (Omar Montanari) non convince subito in pieno ; la voce è splendida : piena, agile e ricca. Ma il baritono calca moltissimo sugli accenti forti che alla lunga risultano stonati e la balbuzie – che questa regìa sagacemente gli attribuisce – appare eccessiva, affettata. La mimica è però eccellente e si scopre che l’iperaccentazione riguarda principalmente i recitativi, non di rado oltremodo rapidi, affannosi. Nei pezzi solistici e d’insieme fa decisamente ricredere e sfrutta al meglio il suo timbro e la sua bravura attoriale che gli consentono un Leporello iperattivo quanto il padrone, nevrotico e impacciato, davvero comico. Questi apre l’opera accasciato su una poltroncina parte di un grazioso interno di gusto galante nei toni dell’azzurro e del grigio, colori e scenografie che percorrono tutta l’opera, caratterizzata da un impianto scenotecnico – per l’appunto – vertiginoso curato da Paolo Fantin.

Sì, perché quel che inizialmente appare come un innocuo interno di palazzo patrizio si gira, ri-gira e ri-ri-gira ancora e ancora per un numero incalcolabile di volte. Lo spettatore perde presto il conto dei cambi di scena e degli ambienti di cui la macchina è capace e in cui i personaggi si muovono con disinvoltura quasi inconsapevole, come all’interno di un’allucinazione. Don Giovanni fa la sua comparsa tra le gambe di Donna Anna e dà subito prova di quella che sarà una recitazione quanto mai fisica, vitalistica. È infatti una notevole prova d’attore quella di Alessandro Luongo, Don Giovanni perennemente ilare e spregiudicato, instancabile, insaziabile e onnipresente, da un lato perché le vuol tutte, dall’altro perché Michieletto sa che nessun personaggio ha senso né vita senza di lui. La Donna Anna di Francesca Dotto è un’immagine riflessa e capovolta di Don Giovanni : bella, vitale e passionale, cassata dalla vita aristocratica che la vuole sposa del pusillanime Don Ottavio (Antonio Poli), elegante, composto e irritante proprio come ci si aspetta. Anna invece spicca : la sua voce è piena e scura, tragica ; il vitalismo del libertino si riflette in lei distorto in una spasmodica sete di vendetta, che Dotto sa rendere con un’interpretazione da eroina tragica, poderosa nel momento dell’agnizione, contrita nella successiva analessi.

Attila Jun, uomo statuario dalla voce tartarea, è un perfetto Commendatore. Questi viene massacrato a bastonate da Don Giovanni preda – manco a dirlo – dei sensi e lasciato a giacere sul letto, teatro oramai di non solo donnesche imprese. Nel duetto tra Anna e Ottavio, in cui lei – alienata – si chiede dove sia il padre, l’orchestra sfoggia il suo miglior legato con una sonorità morbida, ben diversa da quella aguzza e sferzante con cui ha dipinto la lotta tra Don Giovanni e il Commendatore. Purtroppo, volendo adottare un tempo vertiginoso, si è persa la vertigine delle biscrome degli archi, pressoché inudibili. La scenografia girevole si rivela perfetta per le innumerevoli entrate e uscite di personaggi, di cui si fatica a seguire la logica ; Donna Elvira compare da una delle porte (alla fine di questo Don Giovanni non avrà più senso chiedersi che cosa accada e con quale criterio) e recrimina i misfatti del barbaroCarmela Remigio interpreta un’Elvira che di Don Giovanni ha la pervicacia, l’insistenza di chi non molla mai nonostante i mille soprusi e soperchierie. Voce candida e leggera, debole e non sempre presente nel registro medio-grave, tanto importante nel suo brano d’esordio. Nell’infame aria del catalogo – in cui Leporello fa interiormente a brandelli la povera Elvira – il servo non si mostra concupiscente né invidioso, bensì zelante sino allo spasmo nel catalogare e nell’assolvere al suo compito presso un folle che lo conduce evidentemente alla nevrosi ; c’è ragione di pensare che, prima di Don Giovanni, Leporello non fosse balbuziente.

Anche il matrimonio campestre si svolge in una delle sale di questo onirico e potenzialmente infinito palazzo-labirinto, in una scena brulicante di vita. Intonazione impeccabile e timbro argenteo quello di Giulia Semenzato, perfetta Zerlina che non indugia in eccessiva malizia ma che si dimostra seriamente infatuata di Don Giovanni. Del seduttore Zerlina ha la vitalità e Semenzato guizza sul palcoscenico con il bel Masetto di William Corrò, unico autentico e fiero oppositore di Don Giovanni. Tra le numerose raffinatezze registiche spicca la realizzazione della melensa La ci darem la mano, in cui Don Giovanni tenta (con successo) di irretire Zerlina che sta in un’altra stanza, oltre un muro di cui il pubblico non vede che la sezione, ma che separa realmente i due interpreti sulla scena. È la stessa Zerlina ad aprire la porta che li separa per concedersi all’aristocratico, se non fosse per l’intervento di Elvira, che s’invola con la paesana in un corridoio grottesco.

L’orchestra ha di Don Giovanni l’onnipresenza : traspare la consapevolezza di essere chiamati a dare ininterrottamente vita a musica magnifica e la cura si fa sentire in alcuni dettagli, come il solo di violoncello quando Zerlina evoca pace. Un picco di spasmodica vitalità si tocca con una furiosa “Aria dello champagne”, il cui tempo forsennato in altri contesti si potrebbe ascrivere a esigenze drammaturgiche, ma in questo caso è frutto del tritatutto metronometrico montanariano. Impeccabile invece il lucidissimo delirio poliritmico in cui Mozart fa suonare insieme tre danze con tre tempi diversi : il meccanismo dell’orchestra non si inceppa in quello che è un passaggio delicatissimo e di vero e proprio virtuosismo compositivo. Il sestetto finale illustra visivamente il Don Giovanni-burattinaio, che tende e allenta a suo piacimento i fili del destino di ciascuno, in una scena irreale in cui si palesa addirittura un potere taumaturgico del libertino.

Spassosa la lite tra servo e padrone in apertura del second’atto, convulsa la scena dello scambio di abiti. Un episodio in cui la regia si rivela particolarmente forte è l’aria Vedrai carino, in cui Zerlina si offre, nella sua immaginazione, a un Don Giovanni fisicamente presente in scena e sostituito solo sul finale dal malconcio Masetto, cosa che lascia la sposina spiacevolmente sorpresa e lo sposo amareggiato.Non si può non parlare del “finale tragico”, apice del delirio dei sensi di Don Giovanni, il cui vortice coinvolge (verrebbe da dire « corrompe ») anche Leporello. La scena è un autentico baccanale composto con brutale eleganza : quattro o cinque donne discinte e a seno nudo adagiate o impegnate ad amoreggiare in promiscuità con i due uomini in una stanza caotica ; i due ridono e si muovono spasmodicamente sulla scena in preda a un delirio di ebbrezza. Non c’è traccia di banchetti, solo di sesso ; la metafora cibo-sesso (pecoreccia e più che evitabile la femminilizzazione di fagiano) coinvolge alla pari Leporello e Don Giovanni, complici di un turbinio sensuale rovinoso e autodistruttivo che porta il servo a reagire ai colpi del redivivo Commendatore non con terrore, ma con un’agghiacciante risata isterica. Tutto è perduto. Si palesa Jun-Commendatore, voce tonante che par risuonare da un soldato di terracotta di Xi’an. Spiace per il tempo ancora troppo veloce che tenta di aggiungere tensione a una musica già di per sé tesa e concitata all’inverosimile ; si finisce col mettere in difficoltà il basso coreano, i cui péntiti risuonano ridicolmente dentalizzati. L’effetto è comunque riuscito : il vortice delle scenografie che ruotano incessantemente tiene paralizzati alla sedia ; il fumo sarà un espediente abusato, ma ha sempre la sua tetra efficacia : il siam tutti morti di Leporello assume un tono di perdita totale.
Nel finale apollineo Don Giovanni rientra in scena invisibile agli altri e torna ad avere ragione su di essi, che cadono come sacchi vuoti a un suo gesto corredato dalla sua sardonica risata, su cui scende la tela.

Tentando di riassumere : la Fenice ha riproposto un Don Giovanni di sicuro successo, controverso, bello, efficace, audace. Musicalmente apprezzabile nel complesso : un ottimo cast composto da voci eccellenti e bravi attori, tutti dotati del physique du rôle adatto al loro personaggio. Un’orchestra elegante e precisa, capace di sonorità al contempo iridescenti e delicate, perlacee e vellutate ; grande varietà e presenza costante, dunque. La direzione musicale ha calcato decisamente la mano con scelte di tempo talvolta azzardate nel segno dell’isteria e del vitalismo a ogni costo, che ha sortito in alcuni momenti l’effetto opposto. Scene e costumi di un Settecento trasognato e irreale, un’allucinazione proto-espressionista composta con cura e grande bravura da maestranze e personaggi che fa sperare che a teatro si possa ancora sognare.

Tutto ci comunica principalmente una cosa : il teatro di Mozart ribolle di vita e ha sempre molto da dire.

Mauro Masiero
Mauro Masiero (16 Aprile 1987) compie studi musicali, linguistici e musicologici. Nel corso della carriera universitaria approfondisce sia dal punto di vista filologico ed ermeneutico che dal punto di vista musicale e analitico il rapporto tra letteratura, poesia e musica, con particolare attenzione all'area germanofona. Dottorando in Storia della musica presso l'università Ca' Foscari di Venezia, collabora con diversi enti musicali e culturali della città tenendo lezioni, ascolti guidati e redigendo articoli e note di sala : l'Associazione Richard Wagner, la Fondazione Ugo e Olga Levi, Asolo Musica. Interessato alla divulgazione, dal 2014 realizza il programma radiofonico Radio Ca' Foscari Classica per la web-radio dell'ateneo veneziano, ritrasmesso su La Fenice Channel. Segue con particolare interesse le produzione operistiche, i concerti di musica sinfonica e cameristica.

Autres articles

1 COMMENTAIRE

LAISSER UN COMMENTAIRE

S'il vous plaît entrez votre commentaire !
S'il vous plaît entrez votre nom ici