Il regista Jacopo Spirei, a lungo collaboratore di Graham Vick, ha scelto una ambientazione parigina contemporanea con l’intenzione di riportare l’opera alle origini dell’opéra-comique. Carmen è una spogliarellista in un club di genere, coristi e comparse il pubblico in sala (sul palco), Escamillo una pop star glitterata, resta l’impronta militaresca per Don Josè e gli altri in divisa, agenti impegnati nel servizio d’ordine. Nonostante aperte polemiche al riguardo, il libretto non sembra invero stravolto dalla idea registica, la maggior parte delle cose funzionano e tornano con la musica. Soltanto il terzo atto, in una periferia urbana degradata e in mano a bande di malavitosi, è apparso meno compiuto e comprensibile degli altri. Efficace il finale, sul red carpet : Carmen viene uccisa davanti al flash e alle telecamere a colpi di macchina fotografica in testa.
Spettacolo di grande impatto visivo, anche merito dei costumi luccicanti e colorati e della scena fissa ma funzionale di Mauro Tinti e delle coreografie appropriate di Johnny Autin, il tutto valorizzato al massimo dalle bellissime luci di Giuseppe Di Iorio. Il muro di mattoni dello Sferisterio è coperto da una alta parete di strisce argentate, una sorta di tenda che connota in modo netto il fondale e su cui si staglia una enorme gamba femminile su tacco 12. Come detto, l’epoca e il luogo vengono confermati dai costumi. All’inizio di ogni atto due coppie di equilibristi si dondolano sull’alto muro dello Sferisterio, effetto magari privo di significati specifici ma bello a vedersi e mai visto prima a Macerata.
Ciò che è mancato è la passione che invece domina l’opera : non sembra crearsi abbastanza tensione emotiva tra i personaggi, tale da giustificare le scelte e i fatti a esse conseguenti.
Irene Roberts ha un fisico perfetto per il ruolo pensato dal regista ; il soprano dà prova di grande abilità soprattutto nel primo atto, in condizioni di particolare difficoltà, per esempio mentre si spoglia e balla (peraltro assai bene); pur abbigliata da spogliarellista, la Roberts non è mai volgare, anche se appare dotata di personalità non forte a scapito dell’interpretazione vocale. Meno in evidenza i due comprimari che lottano per il suo amore, il monolitico Don Josè di Matthew Ryan Vickers e l’Escamillo poco sfaccettato di David Bižić. Bene la Micaela di Valentina Mastrangelo in un ruolo che, semplicemente, ne sottolinea la estraneità al contesto ambientale (lei, giova ricordarlo, come Don Josè viene dalla Navarra ed è straniera in Andalusia). Adeguati nel complesso i comprimari : Tommaso Barea (Le Dancaire), Saverio Pugliese (Le Remendado), Stefano Marchisio (Moralès), Gaetano Triscari (Zuniga), Francesca Benitez (Frasquita), Adriana Di Paola (Mercédès). Con loro il Bohèmien di Andrea Pistolesi e la Merchande d’oranges di Olga Salati, provenienti dalle fila del Coro Lirico Marchigiano, perfettamente preparato da Martino Faggiani insieme a Massimo Fiocchi Malaspina.
Notevole la direzione orchestrale di Francesco Lanzillotta che garantisce tempi serrati e suoni curati, ma soprattutto un buon appiombo tra buca e ampio palco in uno spettacolo complesso dal punto di vista delle masse impegnate. Il Maestro è attento alle finezze strumentali e a rendere nitidi e brillanti i colori della partitura ; mai chiassosa, l’Orchestra Filarmonica Marchigiana si esprime con un bellissimo suono, nerboruto e vario nella dinamica, non trascurando una raffinata eleganza che ben si accompagna a un allestimento così particolare.