“Caro Carlino…. ci rivedremo a Napoli sicuramente. Anche Roma vuole la Bohème, Torino idem e Varsavia, Trieste. Sicuramente però si farà a Napoli, Torino e Roma … mi ha scritto De Lucia il quale per me rappresenta l’ideale di Rodolfo e la Bellincioni è l’ideale di Mimì, ma come averla ?”
Così scriveva Giacomo Puccini nell’agosto del 1895 a Carlo Clausetti, musicista che riceveva la sua posta presso il negozio Ricordi nella Galleria Umberto I a Napoli ; a Napoli la Bohème sarà in scena per la prima volta il 15 marzo 1896 – la prima assoluta fu a Torino il 1 febbraio dello stesso anno diretta da Arturo Toscanini – con Fernando De Lucia, Mimì era Elisa Petri.
Bohème è uno dei titoli più rappresentati al Teatro San Carlo, sono 60 edizioni e 580 recite in totale dal quel 1896. Quest’anno era molto attesa Eleonora Buratto nel ruolo della protagonista e sicuramente non ha deluso il pubblico vista l’accoglienza. Era reduce da una produzione del Teatro Nazionale Olandese di Amsterdam, terminata pochi giorni prima di arrivare a Napoli dove ha cantato in tre recite delle sei in programma ed è stato un grande successo anche al botteghino.
Eleonora Buratto ha confermato le attese, la voce piena ed espressiva, l’articolazione e l’accento sempre precisi e impeccabili sono il risultato di anni di studio e di attenzione ad un canto all’italiana della migliore tradizione che si rifà a Mirella Freni, a Renata Scotto fino alla Tebaldi. Non è un caso che il soprano mantovano ha studiato tre anni con Luciano Pavarotti e lei trova sempre l’occasione per ricordarlo. Già con la sua aria di esordio del primo atto ‘Mi chiamano Mimì’ è riuscita ad emozionare gli spettatori.
Ha detto di aver interpretato con molto piacere Mimì in un allestimento tradizionale – al Liceu di Barcellona e ad Amsterdam l’ambientazione era attualizzata dai registi, la prima intorno agli anni 30 del XXesimo secolo, la seconda ai giorni nostri. Lo spettacolo a Napoli arrivava dal Teatro Massimo di Palermo con la regia di Mario Pontiggia, Argentino, belli e raffinati scene e costumi di Francesco Zito, l’ambientazione è spostata alla fine del 1800 con una suggestione di epoca Liberty ; nel romanzo “Scene della vita di bohème” di Henry Murger la storia si svolge nel 1840. La regia però non ha colto pienamente la frenesia, la smania quasi della giovinezza che si impone, ma troppo presto sarà ferita dalla morte prematura della protagonista. Nella scena del Quartiere latino la festosità e l’allegria sono espresse molto bene dal coro dei bambini preparato con grande cura da Stefania Rinaldi. La sensazione di corsa verso la morte così veloce e così improvvisa ha sofferto la scelta di fare due intervalli, davvero troppo lunghi.
Rodolfo era Jean-Francois Borras, bella voce, corretto nel canto forse un po’ di pathos sarebbe stato richiesto dal personaggio. Davvero molto interessante il Colline di Fabrizio Beggi, anche se va detto che la zimarra il filosofo bohémien la indossa per tutta l’opera, fino al momento in cui la sacrifica al Monte di Pietà – nella speranza di aiutare la povera Mimì. Marcello era Mario Cassi e Musetta Francesca Dotto, poco sensuale in verità e un po’ in difficoltà negli acuti. L’Orchestra del teatro ha suonato bene diretta dal maestro Ranzani, suono compatto preciso sempre attenta alle indicazioni del maestro.
Il teatro era pieno alla prima dell’11 gennaio e tra il pubblico, come sempre al San Carlo, molti ragazzi delle scuole e dell’Università. Evidentemente si fa un gran lavoro con le istituzioni scolastiche per conquistare nuovo pubblico all’opera e ai concerti. In considerazione di ciò, la scelta degli allestimenti potrebbe essere più audace. Non sono una paladina dei registi che riscrivono i libretti d’opera però per un pubblico giovane e entusiasta, forse un’istituzione come il Teatro San Carlo potrebbe osare, a volte.