Gaetano Donizetti (1797–1848)
Alfredo il Grande (1823)
Dramma per musica in due atti
Libretto di Andrea Leone Tottola
Prima esecuzione 2 luglio 1823 al Real Teatro di San Carlo, Napoli
Edizione critica a cura di Edoardo Cavalli ©Fondazione Teatro Donizetti

Direttore Corrado Rovaris
Regia Stefano Simone Pintor
Scene Gregorio Zurla
Costumi Giada Masi
Light designer Fiammetta Baldiserri
Video designer Virginio Levrio
Assistente regia Veronica Bolognani

Alfredo Antonino Siragusa
Amalia Gilda Fiume
Eduardo Lodovico Filippo Ravizza
Atkins Adolfo Corrado
Enrichetta Valeria Girardello
Margherita Floriana Cicìo*
Guglielmo Antonio Gares
Rivers Andrés Agudelo

Orchestra Donizetti Opera
Coro della Radio Ungherese
Maestro del Coro Zoltán Pad

*Allieva della Bottega Donizetti

Nuova produzione della Fondazione Teatro Donizetti

Bergamo, Teatro Donizetti, venerdì 24 novembre 2023, Ore 20.

Uno degli obiettivi del Festival Donizetti è quello di riportare alla luce opere dimenticate di Donizetti, in particolare quelle degli esordi, che hanno circa 200 anni, come nel caso di Alfredo il Grande, la prima opera del giovane Donizetti ad essere rappresentata al San Carlo di Napoli nel luglio del 1823, che fu un tale clamoroso insuccesso che non se ne sentì più parlare. 

Il Festival Donizetti la presenta in un allestimento altamente didascalico e semi-scenico del giovane Stefano Simone Pintor, diretto con energia e chiarezza da Corrado Rovaris, ed eseguito con grande impegno da un cast composto principalmente da giovani cantanti molto impegnati e dal più esperto Antonino Siragusa. La particolarità è che nessuno dei partecipanti alla produzione conosceva la partitura, compreso il direttore d'orchestra, che lo dichiara nel programma di sala. In effetti, si tratta (quasi) di una prima mondiale.

L'opera, afflitta da un libretto dal linguaggio roboante e dalla drammaturgia semplicistica, non aveva molti argomenti per durare, a parte la musica epica, saltellante e trafelata, che ricorda ovviamente Rossini ma non solo. Difficile dire se per questo titolo nato morto sia l'inizio di una nuova carriera, ma in ogni caso è una serata che passa piacevolmente e singolarmente, perché è un bagno di gioventù musicale che rende felice e sorridente la sala del Teatro Donizetti.
Inoltre, ci permette di immergerci in un periodo storico poco conosciuto, perché a forza di far iniziare l'Inghilterra con Guglielmo il Conquistatore, abbiamo l'impressione, da ignoranti quali siamo, che prima di allora non sia successo nulla oltremanica. L'opera di Donizetti ci invita a interessarci e ci mostra il contrario attraverso un re singolare da cui faremmo bene a trarre ispirazione. È ancora più deplorevole che ci siano state solo due rappresentazioni invece delle solite tre. 

« La cosa più triste per un uomo è che sia ignorante
la più eccitante è che sappia »

Alfredo il Grande

 


Un po' di storia

L'opera si basa sulla storia un po' "romanzata" di Alfredo il Grande, il re che, come Carlo Magno, organizzò scuole, arricchì i monasteri e le loro attività intellettuali, che insomma preferì i libri alla guerra, e che fu il primo a unificare il regno inglese negoziando una pace onorevole con il nemico danese, riuscendo così a conciliarlo e persino ad assorbirlo.
È conosciuto come "il Grande" non solo per aver sconfitto i danesi, ma anche per essere stato il primo a organizzare e consolidare uno Stato "anglosassone", la prima Inghilterra.

I primi anni del IX secolo in Inghilterra, che era divisa in diversi piccoli regni, furono segnati da spedizioni vichinghe spesso vittoriose, anche se verso la metà del secolo, all'incirca all'epoca della nascita di Alfredo (848 o 849), le cose sembravano andare meglio per gli inglesi. Ma per altri vent'anni circa, la divisione del regno (Wessex) tra fratelli e l'alternanza di vittorie e sconfitte fecero sì che Alfredo crescesse in un'atmosfera instabile.

Egli stesso salì al trono alla morte del fratello Æthelred nell'871, in un momento molto critico in cui la pressione danese era forte. Ma i primi anni del suo regno furono segnati da una tregua di cinque anni, prima che le guerre riprendessero, alternando sconfitte e vittorie fino all'878, quando Alfredo ottenne la vittoria decisiva di Ethandun contro il re Guthrum (Atkins nell'opera), in seguito alla quale il re danese e i suoi compagni furono battezzati, ma a cui Alfredo concesse in cambio il dominio di un territorio a nord del Wessex, tra cui Londra, creando così le condizioni per una pace duratura. Questa vittoria è al centro dell'opera di Donizetti.

Ma le cose non finirono lì : ci fu una campagna finale in seguito all'indebolimento dei Vichinghi sul continente e alla loro decisione di ritirarsi in Inghilterra, ma i Danesi persero la maggior parte del loro territorio, ad eccezione di alcune regioni costiere a est. Il regno di Alfredo si ampliò e si consolidò, formando il nucleo dell'attuale Inghilterra.

L'opera di Alfredo fu molto importante, in primo luogo per riorganizzare il territorio e dotarlo di solide difese, fortificando le città, ecc. e, in secondo luogo, per incoraggiare la popolazione, in particolare i piccoli proprietari a prepararsi a difendersi, in modo da poter costituire rapidamente un esercito.
Fu importante anche sul piano religioso, poiché il cristianesimo faticava a radicarsi e Alfredo, spinto da una fede incrollabile, rivitalizzò il monachesimo, istituì scuole e guidò o ricreò il mondo intellettuale locale, sul modello di Carlo Magno.
Infine, sembrò mantenere buoni rapporti (soprattutto commerciali) con i vicini continentali e fu attento a mantenere un forte legame con il papato.

Lodovico Filippo Ravizza (Eduardo), Antonino Siragusa (Alfredo), Antonio Garés (Guglielmo)

Il libretto

Questi gli ingredienti del libretto di Andrea Leone Tottola, fedele librettista delle grandi opere napoletane di Rossini, Mosè in Egitto, La Donna del Lago, Ermione e Zelmira, quando Rossini era direttore musicale. Quando Rossini lasciò Napoli, Tottola scrisse per Donizetti La Zingara (1822), seguita da Alfredo il Grande (1823).

Donizetti e Tottola non furono i primi a interessarsi a questa storia, poiché il balletto tragico Alfredo il Grande di Vittorio Trento era stato rappresentato a Venezia già nel 1792, e poi a Milano nel 1803. Ancora più vicino alla prima napoletana, nel 1820, c'era un altro balletto storico a Vienna, Alfred le Grand, di Jean-Pierre Aumer (di Strasburgo). Forse anche l'opera del suo maestro Mayr, Alfredo il Grande, re degli anglosassoni, che aprì la stagione del Teatro Sociale di Bergamo nel 1819, gli diede l'idea, anche se il libretto di Bartolomeo Merelli è molto diverso. Resta il fatto che questa è la prima incursione di Donizetti nella storia dei sovrani inglesi, che diventerà un filo conduttore per tutta la sua carriera.

Fu quindi per un Donizetti ancora fortemente rossiniano che il non meno rossiniano Tottola scrisse un testo altamente improbabile (questo fu l'aggettivo largamente condiviso fin dalla prima rappresentazione), con colpi di scena tanto strani quanto incongrui, poiché di vittoria in vittoria, il sempre magnanimo e fiducioso Alfredo rimane minacciato dai danesi che, anche quando li risparmia, vogliono combatterlo e sconfiggerlo, finendo per rapire la moglie amata Amalia, finché tutto è bene quel che finisce bene con la vittoria definitiva di Alfredo, nell'euforia generale e nel riconoscimento del Grande Re che è, non senza una vertiginosa aria finale di Amalia (Che potrei dirti, o caro).

Entriamo rapidamente nei dettagli di questa storia, anche se ci rendiamo conto che l'essenza è altrove.
L'opera è ambientata in Inghilterra, sull'isola di Athelney nel Somerset, dove Alfredo riorganizzò le sue truppe per la vittoriosa battaglia di Ethandun durante le guerre danesi di cui abbiamo parlato prima.
La regina Amalia e il generale Eduardo sono alla ricerca di re Alfredo d'Inghilterra, che si è nascosto per sfuggire ai danesi. Arrivano travestiti da contadini nel Somerset, dove Guglielmo, un pastore, li accoglie nella sua capanna, dove trovano (per la più grande delle coincidenze…) il re che vi si è rifugiato.
Ma sono inseguiti dal generale danese Atkins (Guthrum nella storia) che, sotto mentite spoglie, costringe Alfredo a lasciare la capanna, dicendogli che è stato scoperto. Usciti da un passaggio sotterraneo, vengono sorpresi dai danesi, ma i pastori e i contadini guidati dai soldati di Guglielmo ed Eduardo arrivano appena in tempo per circondare i danesi.
Alfredo, vista la netta superiorità del suo contingente, lascia andare i nemici e li raggiunge sul campo di battaglia, per poterli sconfiggere.

Adolfo Corrado (Atkins), Valeria Girardello (Enrichetta), Gilda Fiume (Amalia)

I danesi furono schiacciati, ma Atkins, insieme ad alcuni soldati, riuscì a prendere in ostaggio la regina Amalia, che fu infine liberata dagli inglesi e poté raggiungere Alfredo, acclamato come liberatore della sua patria.

Gilda Fiume (Amalia), Antonino Siragusa (Alfredo), Lodovico Filippo Ravizza (Eduardo)

Un’organizzazione scenica senza pretese e seducente

Per due rappresentazioni di un'opera di cui non si conosce ancora il destino moderno, il Festival ha optato per un allestimento semiscenico, con il coro che legge la partitura, e talvolta i cantanti, ma non sempre, e tutti con costumi piuttosto semplici, quasi didascalici (di Giada Masi): gli inglesi con la croce di San Giorgio, i danesi con la bandiera danese e l'elmo cornuto, e i pastori con un mantello di pelle di pecora, con qualche dettaglio in più, qualche armatura e qualche mantello che fanno il resto. Ma tutto inizia come in una versione da concerto (abiti lunghi, giacche da sera) e si sposta gradualmente nell'azione scenica, con il coro che non si muove mai dalla sua posizione di fronte al direttore d'orchestra, con azione dei cantanti relativamente limitata.

L'allestimento di Stefano Simone Pintor non ha pretese che vadano al di là di un libretto piuttosto sommario e improbabile, ma cerca con semplicità di rendere l'insieme coerente e leggibile, in una scenografia (di Gregorio Zurla) che dà ampio spazio al video (di Virginio Levrio), dove si susseguono manoscritti, miniature e pergamene, che sembra aperto come un libro e poggia su pile di volumi sparsi agli angoli del palcoscenico e in proscenio.

Il lavoro di Stefano Simone Pintor, a mio avviso un giovane regista promettente, non si impantana in inutili complessità, concentrandosi non tanto sulla recitazione piuttosto convenzionale (si tratta di una messa in scena lievemente contestualizzata), ma cerca con una certa accuratezza e non senza umorismo di rendere leggibile la trama e di trascendere il libretto piuttosto ridicolo in una battaglia tra cultura e barbarie.

I testi proiettati dominano, simboleggiando la cultura

L'idea centrale è quella di dimostrare che se Alfredo è chiamato "il Grande", è perché ha fatto la guerra perché non poteva evitarlo, cercando di non umiliare l'avversario, come un politico lungimirante che era più uno stratega che un tattico. Mentre difendeva i suoi territori (che alla fine riconquistò completamente, unendo Wessex (all'incirca il sud dell'Inghilterra) e Mercie (all'incirca il centro-nord)), stimolò l'istruzione e la cultura come forze indispensabili in un grande Paese.

Rivolte oggi

La messa in scena, basata principalmente su video, mostra le rivolte di oggi, le manifestazioni in cui le biblioteche vengono messe a soqquadro, e mostra anche le immagini del 6 gennaio 2021, quando il Campidoglio di Washington fu invaso da quella che sembrava un'orda di barbari (Jacob Chansley, il famoso manifestante con il suo copricapo e le corna di bufalo, assomiglia vagamente ai danesi in scena), mostrando che i barbari sono tra noi oggi, proprio come i vichinghi del IX secolo… sic transit. Evidenziando le scene di violenza di strada che riempiono i nostri telegiornali, e facendo in eco vedere libri e scritti vari, Pintor sottolinea ovviamente il ruolo pacificatore che la cultura e l'educazione dovrebbero avere, e fa di Alfred il portavoce di questa esigenza. Di fronte ai barbari, il video ben realizzato contrappone alle immagini di rovine e guerre le illuminazioni, le immagini di manoscritti, libri e testi ovunque presenti e proiettati, e tutti i cantanti tengono libri in mano, essendo il palcoscenico stesso un libro aperto su cui vengono proiettate immagini e video.

I cattivi danesi : Adolfo Corrado (Atkins)

Ma gioca anche con i costumi : i vichinghi con i loro pelosi copricapi e corna, i pastori con i loro mantelli di pelle di pecora, mentre Guglielmo (il pastore che ha accolto il re che si nasconde, poi Amalia ed Eduardo) è vestito da prete. Pintor gioca così sulla parola pastore, che in italiano significa sia pastore che sacerdote, e trasforma Guglielmo in un pastore un sacerdote che, perché no, ospiterebbe il re in un monastero, il che avrebbe senso visti gli sforzi storici di Alfredo per far rivivere il monachesimo.
Sono dettagli, ma mostrano uno sforzo di lettura dell'opera che cerca di andare oltre il libretto senza essere pesante o insistente.

In un certo senso, c'è una sorta di cartone animato in questa produzione, con la sua continua vivacità, la sua ovvietà, il suo gioco di colori e il modo in cui i personaggi si identificano tra loro : abbiamo parlato dei vichinghi e dei pastori, ma il coro, a seconda che sia vichingo o inglese, ha le partiture che usa a seconda delle circostanze, ricoperte di colori inglesi 

o danesi.

Lo stesso Re Alfredo, riconosciuto da Amalia ed Eduardo alla fine del primo atto in un bel terzetto molto rossiniano, oh dolce momento di gloria… lascia il suo mantello di pecora per indossare il vessillo di San Giorgio. In questo modo, Pintor gioca con gli spunti visivi più che con il movimento o con il compito piuttosto difficile di dirigere attori con personaggi così caricaturali (Atkins è una sorta di cattivo alla Walt Disney e con una psicologia da supermercato rispetto ad Alfredo, che si sforza costantemente di dare una possibilità di redenzione agli esseri umani). Pintot gioca anche sul rapporto con il testo e il libro : abbiamo visto che il coro la legge, i solisti cantano generalmente senza partitura, ma a volte si passano un testo l'un l'altro, ad esempio negli ensemble, oppure, nel secondo atto, prima della battaglia, l'aria di Alfredo Che più si tarda è concepita come un discorso alle truppe, dietro un leggio e Antonino Siragusa indossa gli occhiali per leggerlo, segno che ha la partitura davanti a sé. Pintor gioca così sull'ambiguità tra la versione da concerto e quella da palcoscenico, utilizzando sotterfugi che fluidificano l'azione senza spezzare i ritmi o ostacolare i cantanti. Non è detto che tutti i solisti vogliano davvero imparare ruoli che forse non interpreteranno mai più…

Antonino Siragusa (Alfredo), coro, preparazione al confronto

Il fatto sta che tutte queste scelte sono visibili senza mai mettere in ombra l'insieme, i suoi ritmi, la sua logica, e anche la logica scenica. Alla fine, il cattivo Atkins è pacificato e vestito con la bandiera inglese, segno di dignitosa sottomissione, e si stringe la mano con Eduardo.  E in questo finale “a cassetti che si aprono uno dopo l’altro”, gli ultimi momenti tornano a essere "concertanti", con i solisti che lasciano i loro costumi e si riuniscono in smoking/abito lungo per cantare insieme le battute finali. È questo il virtuosismo del lavoro di questo giovane regista : gestire questo libretto impossibile rendendolo possibile e soprattutto leggibile senza grandi effetti, facendo fluire il tutto con eleganza.

Le sue scelte sono coerenti con un libretto ellittico e privo di una vera logica e drammaturgia, e con una musica di salti e balzi che ansima sempre senza mai prendere fiato. Questa storia potrebbe riassumersi in Titti e Silvestro nel paese di Donizetti

E funziona perché la messa in scena, i video e i movimenti dei cantanti non sono mai invadenti o incongrui, e il tutto si svolge con una fluidità sorprendente per un libretto così disomogeneo. Un bel lavoro.

 

Un alto livello musicale

Antonino Siragusa (Alfredo)

Senza intoppi di sorta, l'impressione generale è positiva, alimentata da una vera coerenza musicale e vocale, chiave del successo della serata. Come spesso accade, il Festival Donizetti ha riunito giovani cantanti all'inizio della loro carriera e artisti più esperti per produrre una musica sorprendente e vigorosa. In questo modo, continua la strada aperta tanti anni fa a Pesaro per Rossini, e cerca di creare voci donizettiane che siano esposte a questo repertorio in una fase molto precoce, riuscendo spesso a offrire set di qualità spesso invidiabile, quando vediamo ciò che le istituzioni di più ampio respiro non riescono a ottenere in questo repertorio, pur avendo "grandi nomi" che a volte sono persino estranei a questo stile.

Valeria Girardello (Enrichetta), Floriana Ciclo (Margherita), comparsa, Gilda Fiume (Amalia) sedute

Questa serata, cantata da cantanti dell'ultima generazione o della Bottega Donizetti, conferisce un colore vivace all'insieme che conquista il pubblico.

Eppure Donizetti, desideroso di brillare al San Carlo, il grande teatro di riferimento dove l'opera viene rappresentata al superlativo, non ha risparmiato sforzi per offrire una partitura vocalmente adatta a voci d'eccezione, come quella del baritono Andrea Nozzari, anch'egli bergamasco, scelto allora per Alfredo, dotato di un'ampia estensione per un ruolo in cui tutti i registri sono chiamati in causa, o come il basso (Atkins) Michele Benedetti, uno dei pilastri del San Carlo, che aveva partecipato anche a prime rossiniane (ha creato il ruolo di Mosè) in questo teatro. Il ruolo di Amalia era cantato da Elisabetta Ferron, soprano di origine inglese.

A Bergamo la prima cosa da notare è l'omogeneità del cast : in questo caso significa che nessuna voce è fuori posto e che tutti, dalla giovane Floriana Ciclo della Bottega Donizetti all'espertissimo Antonino Siragusa in Alfredo, hanno dato una prestazione di altissima qualità, rendendo quest'opera, da cui nessuno si aspettava molto, forse il più grande successo del Festival 2023.

È doveroso menzionarli tutti, il Rivers (compagno di Atkins il danese) di buona qualità del tenore Andrés Agudelo, che avevamo sentito al Verbier Festival in un Duca di Mantova ancora esitante ma di cui avevamo già notato il timbro attraente, la vigorosa Enrichetta cantata dalla rossiniana Valeria Girardello, la cui voce ben proiettata e il colore scuro la rendono un vero e proprio personaggio sul palcoscenico, sia scenicamente che vocalmente, in particolare nel suo rondò molto rossiniano dell’atto secondo Quando al pianto e all'affanno ? eseguito con stile impeccabile e bella omogeneità vocale, e infine la Margherita di Floriana Ciclo, non meno preparata (nell'incubatrice donizettiana della locale Bottega), dalla voce di soprano dal timbro cristallino.
Guglielmo, il "pastore", è il giovane tenore spagnolo Antonio Garés, con un bel timbro chiaro, un'emissione impeccabile, un fraseggio preciso e un'ottima presenza, con una coloritura rossiniana alla Almaviva.

I due bassi, Adolfo Corrado (Atkins) e Lodovico Filippo Ravizza (Eduardo) hanno ciascuno un timbro caldo e piuttosto soave. Adolfo Corrado è il cattivo dell'opera e la qualità della sua voce si distingue per la potenza, la qualità vocale sostanziale e della linea, il buon uso della modulazione e del fiato, nonché il fraseggio impeccabile e la capacità di colorare.

Lodovico Filippo Ravizza (Eduardo)

Lodovico Filippo Ravizza è il basso gentile, il generale che protegge Amalia ed è sempre leale e pronto a combattere. Il timbro è di qualità simile a quello del suo collega, con un bel legato, un senso della parola (sempre chiaro), ma anche una bella ampiezza su tutto lo spettro accompagnata da un certo impegno scenico.
Due nomi da tenere d'occhio…

Gilda Fiume (Amalia)

Da tenere d'occhio anche Gilda Fiume, per me una vera scoperta, che canta Amalia con una grinta sorprendente. Il debutto non è stato del tutto convincente, ma la voce è cresciuta rapidamente in sicurezza, e questo è ciò che serve per un ruolo pieno di agilità, acuti bruschi e ritmo vertiginoso, con molti ensemble particolarmente riusciti (il trio del ritrovamento nel primo atto, Sposo!… e il concertato conclusivo del primo atto).

È stata ben educata come allieva di Mariella Devia, e la sua aria finale, Che potrei dirti, o caro, di cui abbiamo parlato prima, quell'incredibile rondò di virtuosismo tipicamente rossiniano belcantista, si colloca come un finale alla Cenerentola su cui si chiude l'opera, ma che per me prefigura soprattutto le arie delle grandi scene finali di opere future come Anna Bolena. Gilda Fiume è una voce sicura, potente, fresca, magnificamente proiettata e, un'autentica voce italiana che vibra e suona. Splendida.

Antonino Siragusa (Alfredo)

Infine, dominando questo cast piuttosto giovane per la sua esperienza, Antonino Siragusa, eccezionale tenore rossiniano, interpreta il saggio re, le cui arie sono un discorso di incoraggiamento alle sue truppe e al suo popolo. Può non piacere il timbro, un po' acido, non sempre aggraziato, ma la voce è maturata, si è allargata e suona decisa. Il fraseggio è impeccabile, la dizione esemplare (Siragusa è un tecnico eccezionale), gli acuti sono controllati e brillanti e l'omogeneità vocale è un modello. Infine, la messa in scena si addice a questo cantante, che non è un attore incarnato, per cui tutto ciò che implica la fissità, il canto dietro a un leggio o la parvenza di un discorso viene recepito perfettamente.  Ha raccolto con Gilda Fiume un grandissimo successo.

Scena finale : coro, fanfara, solisti

Ma questa opera seria (sì, è così che si chiama questo dramma per musica) è anche un'opera eroica, per tutti i suoi salti, balzi e affanni. Richiede quindi che i guerrieri si affrontino in ensemble che vogliono essere imponenti. Per questo il ruolo del coro è molto importante in tutta l'opera. Il coro qui è il Coro della Radio Ungherese diretto da Zoltán Pad, invitato per la prima volta. Nella forma prevista dall'allestimento, il coro non fa movimenti in scena, ma tradizionalmente disposto in fila di fronte al direttore, e vestito semplicemente con la regalia dell'occasione, la croce inglese di San Giorgio o lo stendardo danese, come gli spartiti nascosti dalle coperte che servono a identificare chi canta da chi. Mettere in scena il coro e farlo muovere avrebbe presupposto l'apprendimento della partitura, e non è detto che il Coro della Radio Ungherese possa inserire Alfredo il Grande nel suo repertorio ordinario. Da qui questa scelta, che non è affatto sconvolgente vista la fluidità del movimento generale, e il fatto che i suoi interventi sono così sicuri, sonori e sempre suggestivi, seguendo perfettamente i ritmi a volte vertiginosi. Un debutto che speriamo sia seguito da altri inviti.

Alla guida dell'eccellente Orchestra del Donizetti Opera c'è Corrado Rovaris, una vecchia conoscenza bergamasca che ci ricorda di essere stato il primo direttore musicale del Festival e di avervi diretto una memorabile Anna Bolena.
Dirige questa musica in tutti i suoi colori. Come tutti, ha scoperto la partitura : si trattava infatti solo della seconda – il 19 novembre – e della terza – il 24 novembre – rappresentazione dell'opera in tutta la storia della musica (sembra infatti che a Napoli non ci siano state altre rappresentazioni oltre alla prima, in ogni caso non ce n'è traccia), e il giovane Donizetti offriva al capoluogo partenopeo una sorta di melting-pot della sua già vasta cultura musicale.
Come peraltro molte opere ancora oggi eseguite, non è indubbiamente musica per l'eternità, ma merita attenzione, e anche interesse, perché se è evidente che la memoria di Rossini è molto presente in tutta l'opera, in particolare nella costruzione delle scene finali degli atti, o di certe arie (il rondò finale di Amalia), senza dubbio non è assente anche quella del suo maestro Mayr e, infine, più alla lontana, quella di Cherubini, di cui si dimentica solitamente l'influenza decisiva sull'opera del primo Ottocento, in particolare quella di Lodoïska (1791, il più grande successo della Rivoluzione francese con 200 rappresentazioni a Parigi, da cui Beethoven trasse ispirazione per il Fidelio e che Brahms adorava), scandalosamente ignorata dai teatri di oggi. Il ritmo, gli aspetti bellici, i sussulti, una certa epicità, la stessa trama (Lodoïska è una cosiddetta “opera di salvataggio”, e Tottola inserì il rapimento di Amalia da parte di Atkins a metà del secondo atto, dopo il quale viene salvata dagli inglesi), sono tutti ingredienti del mondo operistico e sinfonico di Cherubini.
Ma ciò che Donizetti riesce a fare è soprattutto dimostrare all'ascoltatore che non copia mai, ma arrangia, organizza, e lavora anche per creare uno stile singolare : ci può essere molto di Rossini, un po' di Mayr e Cherubini, ma tutto suona come Donizetti, in particolare nel modo in cui costruisce il ruolo delle voci negli ensemble, e crea la sua musica, una musica con un futuro, se non una musica del futuro.
C'è ancora di più da divertirsi : nella scena finale si sentono alcune note di God save the King, e poi l'inno d'ingresso del re, che Donizetti prende in prestito dalla canzone "Vive Henry IV, vive le roi vaillant", che lo stesso Rossini ripeterà (dopo aver citato ampiamente God save the King in precedenza) nel finale di Viaggio a Reims per segnare l'ingresso di Carlo X e il corteo dell'incoronazione, come a dire che i prestiti si fanno in tutte le direzioni…
Rovaris rende giustizia a questa partitura, che non è una curiosità estetica, con la chiarezza della sua lettura, con il modo in cui crea le dinamiche ed esalta i momenti più originali, come quelli in cui è in scena una banda (qui la Banda del Politecnico delle Arti di Bergamo), ma anche dove le scene militari suonano con percussioni chiare, ma mai fragorose o invadenti. Rovaris riesce a mantenere l'ensemble in un equilibrio che rispetta le voci e l'intero palcoscenico, pur permettendo all'orchestra di farsi sentire perfettamente, molto presente, con un suono carnoso e che si stacca quasi privo da una certa sonorità rossiniana, che già annuncia i colori del Romanticismo donizettiano.

Per tutti questi motivi, sembra un errore non aver proposto una terza esecuzione di quest'opera, che merita di essere riportata alla luce alla stregua delle prime opere rossiniane, tutte registrate.
E per farsi un'idea, consiglio vivamente ai lettori di registrarsi sul sito del Festival Donizetti, alla voce "Donizetti Opera Tube", per scoprire lo streaming (a lieve pagamento) delle opere presentate al Festival 2023, tra cui questo sorprendente Alfredo il Grande.

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