Daniele Gatti ha affrontato il tema della Natura con un programma il cui pezzo forte è stata l'esecuzione della Sinfonia n. 6 in fa maggiore, op. 68, "Pastorale" di Beethoven, opera a lui particolarmente cara. Per buona misura, se la seconda parte era una “Pastorale”, cioè una celebrazione terrena della natura, ha posto la prima parte sotto il segno del mare, proponendo due descrizioni, o meglio due visioni dell'universo marino, l'ouverture sinfonica Meeresstille und Glückliche Fahrt (Mare calmo e viaggio felice) op.27 di Mendelssohn e La Mer, trois esquisses symphoniques pour orchestre (La mer, tre schizzi sinfonici per orchestra) CD 111 di Debussy.
Nessuno dei programmi è stato composto a caso, e se il tema comune è la natura, la variazione è ovviamente nel modo in cui la musica traduce un universo visivo. Inoltre, aprendo con Mendelssohn e chiudendo con Beethoven, Gatti sa perfettamente che Meeresstille und Glückliche Fahrt sono due poesie di Goethe che Beethoven tradusse in una cantata composta nel 1815 e che dedicò al poeta che ammirava particolarmente offrendogli la partitura durante un incontro nel 1822. L'ombra di Beethoven incombe su questo Mendelssohn del 1828 (Beethoven morì nel 1827, pochi mesi prima), che apre il concerto il cui culmine è Beethoven.
Tra i due, Debussy, circa un secolo dopo la Pastorale, ha creato questi tre schizzi sinfonici di portata quasi sinfonica.
Ma la parola esquisse (squizzo), intesa da Debussy, invita ovviamente a un confronto tra musica e pittura, forse non solo per questo brano ma anche per gli altri due.
Infatti, Berlioz, descrivendo la Pastorale, cita Poussin, Lebrun e Michelangelo, il che dimostra quanto questo programma sia vicino alla relazione musica e arti visive, e quanto il modo in cui i colori sono disposti sarà centrale in questa riproduzione sonora della natura, in una rete di Corrispondenze.
Per capire cosa vuole trasmettere questo programma, dobbiamo ripartire da Baudelaire, maestro in materia “Correspondances”:
La Natura è un tempio dove colonne viventi
Talvolta lasciano uscire confuse parole ;
l’uomo vi passa attraverso foreste di simboli
che l’osservano con sguardi familiari.
Come lunghi echi che si confondono in lontananza,
in una cupa e profonda unità,
vasta come l’oscurità e come la luce,
profumi, colori e suoni si rispondono.
Baudelaire, Les Fleurs du Mal, Spleen et Idéal, IV
Quest'ultimo verso definisce un approccio non riducibile a una scuola o a un'altra, ma che parte dall'idea che il mondo sia fatto di queste corrispondenze in cui i suoni rimandano ai colori o agli odori, in una sorta di valzer vertiginoso : la musica diventa allora espressione di una totalità, non riducibile a una scuola, a un'epoca o a teorie. Beethoven, Mendelssohn e Debussy dipingono a loro volta un quadro di un universo a cui Daniele Gatti cerca di dare quella stessa "unità oscura e profonda" baudelairiana, senza mai cercare di annacquare gli stili, mantenendo ogni brano con il suo o i suoi caratteri, ma cercando di costruire un percorso sincretico, perfettamente consapevole dei fili che sono stati intrecciati : Beethoven ha ispirato il giovane Mendelssohn, ma ha anche suscitato i commenti (contrastanti in realtà) di Debussy in Monsieur Croche sulla "Pastorale", e così tra visioni della natura (Debussy) e sentimenti della natura (Beethoven), si costruisce un programma, dove in un certo senso l'occhio ascolta.
Meeresstille und glückliche Fahrt op.27
Un'ouverture come primo brano di un concerto, niente di più canonico, tanto più che questa ouverture piuttosto breve e relativamente poco conosciuta (la sua lunghezza permette di inserirla in un programma che manca di qualche minuto di musica) ha qui una vera e propria funzione di « apertura », perché questo giovane Mendelssohn (aveva 18 anni quando la compose nel 1828, e la pubblicò nel 1832) in questi dieci minuti circa accenna a una delle sue "funzioni" nella storia della musica, quella di essere un ponte tra l'immediato passato e un grande futuro.
E l'interpretazione di Daniele Gatti tratteggia le caratteristiche di una musica già molto consolidata, molto sicura, che non è una pallida imitazione dei suoi grandi predecessori, essenzialmente Beethoven, ma che contiene un vero colore personale…
Il carattere dei due poemi di Goethe, sempre pubblicati insieme fin dalla loro prima pubblicazione nel 1796, è il modo in cui il poeta cura un ritmo, un metro, un respiro del testo che ha motivato Beethoven, ma anche Reichardt, Schubert e quindi Mendelssohn. Nella stessa poesia di Goethe c'è una forte valenza musicale nella prosodia che i musicisti ovviamente coglieranno ed estenderanno.
L'approccio di Gatti all'opera mostra come essa ricordi fortemente Wagner : all'inizio c'è una lunga frase melodica continua, un po' enigmatica o nebbiosa, che sembra preludere a una tempesta che non arriva mai. È subito chiaro come Wagner, nato a Lipsia, città natale di Mendelssohn, si rifaccia alla musica del suo predecessore. Certo, Wagner non fu sempre benevolo con Mendelssohn, ma lo esplorò molto, lo imitò e a volte lo saccheggiò… E quando si ascolta questo incipit, si capisce perché, tanto più che Gatti, riconosciuto interprete della musica post-romantica e del primo Novecento, esalta subito questa parentela, senza premere o insistere, ma con un respiro che fa subito pensare a cosa Wagner avrebbe potuto farne.
L'altra ispirazione per questo primo Mendelssohn è stata ovviamente Beethoven, nel senso che ho citato il suo ruolo di ponte. Tutti i compositori di sinfonie del periodo romantico avevano ovviamente in mente Beethoven ; e Mendelssohn, che era ancora molto giovane, un anno prima della morte del grande maestro, ne fu influenzato, così come tutti gli altri musicisti del suo tempo. È nel secondo momento, più vivace e pieno di fervore, quando viene esposto il tema del brano, che si sentono echi beethoveniani, il Beethoven sinfonico e soprattutto quello del Fidelio, che richiama irresistibilmente alla mente. Gatti riesce a mettere in evidenza questi echi, ma con una fluidità che non riguarda tanto la marcatura delle influenze quanto il modo in cui Mendelssohn le tratta. Ed è nelle sezioni finali che Gatti fa respirare il Mendelssohn del futuro, che è già Mendelssohn nel presente, con un respiro arioso, con una leggerezza di sequenza che rivela alcune caratteristiche delle sue sinfonie. Se alcuni hanno accusato il direttore di essere a volte troppo pesante o troppo contrastato, qui – e sarà così per tutta la serata – c'è una sorta di equilibrio, una specie di acquietamento per cui anche i momenti più folgoranti, come il finale di tromba che annuncia l'arrivo della "Glückliche Fahrt" (viaggio felice), non fanno mai esplodere i volumi. È come se la visione rasserenante della Sinfonia Pastorale fosse destinata a irradiare tutta la serata. La serata si apre con una felicità che non se ne andrà mai.
L'acustica della Victoria Hall favorisce una sorta di immersione nell'opera, tanto il suono è vicino, quasi troppo vicino, e anche se rimane chiaro, ci sembra che Gatti cerchi di limitare i volumi per evitare effetti sonori troppo violenti in uno spazio che oggi ci sembra poco adatto a suonare in modo ampio e arioso. Ma questo dimostra quanto l'orchestra sia impegnata e quanto sembri felice di suonare, con attacchi precisi, suono pulito e nessuna scoria.
La Mer, trois esquisses symphoniques pour orchestre
La visione poetica di Goethe e il ritmo dei suoi versi hanno spinto diversi compositori a mettere in musica questi due poemi.
L'approccio di Debussy invece non si basa su un testo, ma sulla pittura : questo è il significato della parola "schizzo", qui usata in termini pittorici per creare una corrispondenza tra immagine e suono, simbolismo, impressionismo (dove ci viene anche Baudelaire in mente, naturalmente) .
Come in un quadro impressionista di Monet, il mare viene catturato dall'occhio del musicista in momenti diversi e sotto diverse influenze, da cui le tre parti :
- 1. Dall'alba a mezzogiorno sul mare
– 2. Giocare con le onde
– 3. Dialogo tra vento e mare
Debussy confidò in una lettera che avrebbe dovuto diventare marinaio, ma che cambiò rotta per caso. Ma ha sempre mantenuto il suo amore per il mare, che senza dubbio gli ha riportato alla mente i ricordi della sua infanzia a Cannes, i giorni felici in cui stava con il suo padrino.
L'amore di Debussy per l'acqua è ben noto, quindi non deve sorprendere che abbia scelto il mare come tema per quella che è senza dubbio la sua opera sinfonica più sviluppata, che viene spesso eseguita oggi, anche se all'inizio non è stata accolta bene. Senza dubbio ci aspettavamo le atmosfere vaporose e misteriose dei Notturni o addirittura il Pelléas. Invece Debussy torna chiaramente a un linguaggio più luminoso e improntato alla forma quasi tradizionale di una sinfonia. Un passo indietro, per così dire.
In effetti, Debussy non voleva comporre una descrizione "clinica" o oggettiva del mare, ma costruire un'evocazione basata su sensazioni e ricordi, il mare come percezione piuttosto che come descrizione. Che l’importanza sia nello sguardo e non nell’oggetto guardato, diceva il francese André Gide.
Non ci sono tempeste che si conoscono dalle opere barocche o rossiniane, ma tocchi "impressionistici" (anche se la parola lo infastidiva).
La prima parte, De l'aube à midi sur la mer (Dall'alba a mezzogiorno sul mare), colpisce nell'interpretazione di Gatti per il rifiuto di tutto ciò che potrebbe apparire vaporoso o privo di nitidezza o disegno. Ci sono linee chiare, è evidente, ma nello spirito del Mendelssohn precedente, un respiro, una circolazione del suono che appare naturale, facendo quasi dimenticare la complessità della composizione in cui un motivo si sussegue all'altro, mentre si sovrappone, si allunga o si infittisce, pur conservando un substrato misterioso, vagamente oscuro, e un chiaro equilibrio nel passaggio da un motivo all'altro. C'è una sobrietà che non rinuncia mai al colore, che rifiuta una sorta di linearità, ma che crea una sorta di piccolo teatro dell'incanto, con gli interventi successivi degli strumenti, in particolare dei legni (notevole il flauto, tenero il corno inglese) che finiscono per far emergere i temi più noti, ma dove Gatti evita ogni sottolineatura o eccesso di enfasi, come se tutto facesse parte del movimento naturale del mare, con le sue bonacce e i suoi risvegli, facendo emergere le sovrapposizioni ritmiche e le opposizioni tutti/strumenti singolari in successione da cui alcune delle frasi più incisive risultano quasi sorprendenti, come un mare un po' capriccioso ma globalmente unitario.
Questo dialogo tra unità e diversità è ciò che colpisce dell'approccio di Gatti, con il suo acuto senso del colore e l'attenzione al controllo dei volumi strumentali, con le sue accelerazioni gioiose, aperte, quasi solari, sontuose nella sezione finale, pur mantenendo sempre una delicatezza che è il segno distintivo dell'intera serata.
Jeux de vagues è un momento più sorprendente e innovativo della composizione, un mosaico frammentato di incredibile trasparenza, senza un vero punto a cui l'ascoltatore possa aggrapparsi, sballottato dal flusso apparentemente disordinato dei suoni. Debussy gioca con la rottura, con i ritmi di danza che sono allo stesso tempo sincopati, e Gatti gioca con le interruzioni, le rotture, i suoni che appaiono e poi scompaiono, i ritmi di danza che vengono percepiti e poi diffratti. Anche qui domina l'impressione di trasparenza, il desiderio di trattenere da questo momento vorticoso e disordinato una sorta di idea di chiarezza, una chiarezza oscura che cade dal suono.
Egli è seguito nelle sue pause, nei suoi sfoghi da un'orchestra che lo segue ad ogni respiro, il cui lavoro è chiaramente udibile ed esposto in ogni momento. Dall'ensemble emerge una luce particolare, un desiderio quasi giocoso di trascinare l'ascoltatore in una "languida vertigine", come direbbe Baudelaire. Gatti riesce a trasmettere questa idea di vertigine senza mai perdere l'equilibrio, cercando sempre di far emergere le architetture o le sezioni di architetture. Ammiriamo il gioco di arpe e fiati nell'eco finale, intimo e sospeso al tempo stesso. Un momento magnifico.
Dialogue entre le vent et les vagues (Dialogo tra il vento e le onde) inizia con la sensazione di una minaccia, di una rottura imminente, ma a differenza di Jeux de vagues (Giochi di onde), non si tratta di espressioni apparentemente disordinate ma di un dialogo, cioè di un confronto tra forze che si misurano tra loro, il vento e le onde, del gioco di forze che si scontrano in un giro apparentemente infernale. Qui vediamo un Gatti che sa mettere in scena la musica in una sorta di teatralità. Compone un tableau quasi ciclico in cui gli elementi si scontrano, senza mai abbandonare la chiarezza delle esposizioni, rendendo i singoli strumenti quasi dei personaggi. Gatti sa come rendere il dramma, come costruire lo spazio dello scontro, ma senza mai lasciare che il suono travolga, tornando periodicamente al contenimento, alla pacificazione, al mistero attraverso echi del primo schizzo che sa mettere in evidenza. C'è una sorta di vita interiore che dà quasi luogo a una magia sempre più vertiginosa che accelera : in questo approccio c'è forza, c'è qualcosa di ruvido, ma che non abdica mai alla morbidezza, agli angoli più arrotondati, unendo danza e teatro, dramma e immagine in un crescendo che sorprendentemente lascia respirare fino a espandersi in una sorta di paesaggio che non è mai apocalittico, che conserva la sontuosità di un ampio affresco che abbraccia un universo.
Un'esecuzione assolutamente magistrale, uno dei momenti debussyani più forti di Gatti.
Symphonie n°6, op.68, « Pastorale »
Va ricordato che il titolo della sinfonia, "Pastorale", è stato aggiunto da Beethoven stesso. Questa celebrazione della natura avrebbe potuto prendere posto tra le molte evocazioni della natura « gentile » che si trovano nella pittura e persino nella musica lirica.
Infatti, Beethoven descrive la sua sinfonia come "Sinfonia pastorella – mehr Ausdruck der Empfìndung als Malerey" (Sinfonia pastorale, più espressione del sentimento che della pittura).
Potremmo discutere all'infinito questa definizione e collegarla agli altri due brani, poiché qui Beethoven vuole concentrarsi non sulla descrizione di un paesaggio, ma sul sentimento suscitato dal paesaggio, in un modo che riecheggia la famosa definizione del francese Amiel "un paesaggio è uno stato d'anima".
Allo stesso tempo, si tratta di una sinfonia a programma, cosa non rara nel Settecento (più rara nell'Ottocento), e di un programma pastorale, cosa che non stupisce vista la fortuna del genere pastorale nel teatro, nell'opera e nel balletto a partire dal Seicento. È facile capire che Beethoven era combattuto tra un genere del passato, il classico, e un nuovo sentimento per la natura che avrebbe permeato il Romanticismo e tutta la prima metà dell'Ottocento.
Non so perché, ma ho sempre visto La Tempesta di Giorgione (esposta alla Galleria dell'Accademia di Venezia) come una sorta di metafora di questa sinfonia. Lo sento ancora di più quando guardo questo dipinto.
Sia La Tempesta che la Pastorale sono motivi abbastanza tradizionali nella musica, ma in questa sinfonia la Tempesta è per così dire messa in scena : un raduno di contadini, la tempesta, poi il rasserenamento. Nel dipinto di Giorgione c'è qualcosa di inquietante – la tempesta, il lampo – e di rassicurante, come un gioco tra l'angoscia (il cielo, gli alberi vagamente minacciosi) e uno strano senso di pace, con la presenza di una figura a sinistra, probabilmente un pastore, e di questa donna con il bambino che sta allattando, con lo sguardo preoccupato ma non ansioso, e un ruscello tra loro. È chiaro che anche qui il riferimento è alla poesia pastorale, in un paesaggio che possiamo immaginare prima della tempesta, come quello dei primi due movimenti della sinfonia di Beethoven.
Il discorso della sinfonia si articola in due parti : i primi due movimenti, più descrittivi, come una sorta di ouverture rasserenata, stilisticamente vicina, e gli altri tre movimenti, in continuità, in cui la tempesta è il perno che costituisce lo slancio dell'opera (Allegro, Gewitter – Sturm/Orage – Tempête). Paradossalmente, è proprio attraverso la tempesta che ci avvicineremo al lavoro di Daniele Gatti, che ha riscoperto lo stile "teatrale" di Beethoven, con la ricchezza descrittiva degli effetti dei lampi e del vento che Wagner ha (di nuovo) ricordato in Der Fliegende Holländer.
Il contrasto tra la tempesta e l'atmosfera calma che la precede è marcato, ma non in modo così brutale. La chiarezza dell'approccio ci permette di sentire sia il vento (i contrabbassi e i violoncelli) sia gli esseri umani (i violini), come persi nell'angoscia. C'è un teatro dell'umanità qui, e non solo della natura, che Gatti sottolinea in un approccio generale alla sinfonia completamente dominato da una sorta di volontà rasserenante, senza l'urgenza che a volte si sente : ricordo un quarto movimento terribile e angosciante di Rattle (molto tempo fa con Birmingham – la CBSO) che sembrava una sorta di danse macabre. Qui gli elementi si scatenano, ma in un universo che, come il mare prima di lui, sa accogliere la pace e sopportare crisi e rotture. – Quello che vedo nel quadro di Giorgione è la donna che allatta il suo bambino sotto un cielo minaccioso…
Questa è l'impressione generale di questa esecuzione, in cui la tempesta è solo un episodio e non una crisi insanabile, un'esplosione che si placa presto, perché l'impressione prevalente è quella della serenità, quella iniziale dei primi due movimenti, particolarmente luminosi, e quella conclusiva dell'ultimo movimento. Vi si ritrovano tutte le qualità dell'approccio di Gatti, prima fra tutte la suprema eleganza nella disposizione delle sequenze, nella totale assenza di rotture, ma al contrario nella continuità di una lettura fluida e limpida, seguita da un'orchestra di grande duttilità, mai incisiva o brutale, unito al suo direttore in un'interpretazione di estrema tenerezza e grande sensibilità, in particolare nei primi due movimenti, con i loro accenti contemplativi, quasi cameristici, soprattutto nella scena del ruscello (2° movimento, Andante molto moto Szene am Bach /Scène au bord du ruisseau), tradizionale concessione alla figura del Locus amoenus : non c'è natura senza il suo ruscello, senza il suo luogo spesso ombroso di frescura, un luogo fremente (meravigliosi qui gli archi leggeri) e soprattutto un luogo in cui la natura animale si rivela anche attraverso alcuni tratti strumentali (gli uccelli, il cuculo, l'usignolo) che non sono pura imitazione dei suoni della natura, ma anche qui un'armonia che si fa immagine, un'immagine estatica, addirittura, prima del movimento successivo (Allegro, Lustiges Zusammensein der Landleute / Gioiosa riunione di contadini), che è più umano, con questa riunione di contadini e l'arrivo della danza e dei Ländler, una concessione tutta umana alla natura contemplata che il primo movimento aveva già stabilito, e con quale poesia, una natura in pace e in armonia.
La lettura è così chiara che si sentono le gioie semplici senza alcun manierismo, con una linea sicura, attraversata da vari colori, in armonia con lo stile delle opere della prima parte. Ciò che colpisce è l'inizio della Sesta (1° movimento : Allegro ma non troppo, Erwachen heiterer Empfindungen bei der Ankunft auf dem Lande/Eveil d'impressions agréables en arrivant à la campagne), è la coerenza dell'approccio, chiaro, mai sfumato, con la melodia iniziale di indubbia origine popolare che Gatti lascia subito respirare, con pacatezza ma non senza una certa intensità, un certo impegno che traduce il gioioso incontro di Beethoven con la natura. Gatti sa come dosare i volumi, come marcare senza insistere, crea quella che chiamiamo atmosfera.
Questa atmosfera è ripresa nell'ultimo movimento (Allegretto, Hirtengesang. Frohe und dankbare Gefühle nach dem Sturm/Canto pastorale. Sentimenti gioiosi e grati dopo la tempesta), in cui, appena usciti dalla tempesta e dal temporale in una transizione elegante e magnificamente messa in scena, si passa quasi inosservati dalla tensione alla pacificazione, una pacificazione quasi religiosa in cui il corno, il clarinetto e i violini sembrano andare a cercare il cielo che non può più aspettare. Qui il suono non è alleggerito, è franco e diretto, ma respira una sorta di rinascita della natura e degli esseri in un finale discretamente solare.
È una Pastorale molto speciale, piena di sentimento, intrisa di una poesia mai ingenua, mai prodotta in una sorta di primo grado, ma estremamente raffinata. Semplicità, raffinatezza, eleganza, sensibilità ed emozione. Tutti gli ingredienti per una serata meravigliosa.
Una serata che ci ha permesso di ascoltare la cura e l'impegno con cui l'OSR ha seguito Daniele Gatti in questo percorso, con solisti di altissima qualità, e un suono chiaro, preciso, con una luminosità che non sempre si sente nella buca del Grand Théâtre. È vero che si suona qui a casa, in una piccola sala che suona benissimo e dà una sensazione di vicinanza al suono dell'orchestra che non sempre si ha nelle sale da concerto. L'altra faccia della medaglia è un podio di dimensioni ridotte che impedisce gli ampi gesti e il respiro che l'orchestra potrebbe avere su un podio con una superficie più adeguata. Certo, questa è la sala storica dell'OSR, che ha avuto il privilegio di esibirsi qui fin dalla sua creazione nel 1915. Ma non si può fare a meno di sognare come sarebbe stato per l'orchestra essere installata nella Cité de la Musique, che è nata morta in seguito a un referendum in cui la sua costruzione è stata rifiutata dai cittadini di Ginevra.
Quindi eccola qui, condannata a « fare buona musica a cattiva sorte », e questo è stato davvero il caso di questa sera.