Un concerto può non essere solo una fonte di piacere e interesse per il pubblico, o magari anche di esaltazione di fronte a un'esecuzione particolarmente ben riuscita e coinvolgente : può costituire in casi privilegiati – come quello dell'inaugurazione della stagione 2022–2023 della Filarmonica Laudamo di Messina – un evento culturale tale da rendere manifesti i mille fili che legano la musica alle altre arti, l'arte stessa alla filosofia, la puntuale resa interpretativa alla storia della cultura. Zoltán Fejérvári, giovane ma consapevole pianista ungherese, ha lasciato affiorare nella sua esecuzione delle Valses nobles op. 77 di Schubert, del Carnaval op. 9 di Schumann e dei Preludi op. 28 di Chopin gli assunti estetici che lo hanno guidato prima nella scelta del programma – evidente l'affinità strutturale dei brani impaginati –, poi in un'esecuzione quanto mai congeniale e simpatetica. Una tale consapevolezza culturale, come accade talvolta, avrebbe potuto gravare l'esecuzione di un tratto intellettualistico, rendendo l'esecuzione mera dimostrazione di un teorema volto a tematizzare i legami fra le opere proposte. Invece Fejérvári coniuga felicemente il tratto della complessità intellettuale, che gli consente di radicare le singole scelte interpretative in una minuta stratificazione di conoscenze, con un pianismo travolgente, di pura e immediata felicità comunicativa. Così l'hic et nunc del suo recital messinese ha avuto, allo stesso tempo, l'incanto di ciò che nasce per quella esatta contingenza, imprevedibile e imprevisto, come ricevuto in un'improvvisa illuminazione, e la forza della motivazione intellettuale che lo giustifica inquadrandolo in una rete di implicazioni.
Già la scelta di un programma fatto tutto di cicli di brevi brani – le Valses di Schubert e i Preludi di Chopin – o a forma di polittico come il Carnaval schumanniano, rivela che lo scandaglio interpretativo di Fejérvári intendeva percorrere la strada del “frammento”, cioè quella forma amatissima da letterati e musicisti romantici (e più tardi anche da un filosofo come Nietzsche) che si presenta allo stesso tempo aperta e chiusa, perfettamente autonoma dal punto di vista del significato che si chiude su sé stesso, e tuttavia incompleta. Geneticamente diversi, però, i frammenti schubertiani da quelli dei due romantici. I valzer di Schubert, quintessenza di una città che si osserva danzare, stordendosi del proprio splendore mentre il mondo attorno a lei comincia il suo lento declino, sono compiuti nella loro perfezione formale : la grammatica stilistica classica permette a Schubert di catturare volta per volta uno spicchio di quel mondo che amava tanto, eternandolo in una istantanea dove palpita la vita splendida ed effimera dei salotti viennesi. Fejérvári ha osservato da Budapest, sorella e rivale di Vienna, la filigrana del mito asburgico che si sgrana nelle piccole e sublimi Valses schubertiane con lo sguardo incantato di chi ne ha goduto a distanza i barbagli : assolutamente mirabile è l'equilibrio ottenuto tra costruzione della forma – le Valses, sotto l'amabile semplicità, sono raffinatissimi congegni formali – e l'idiomaticità viennese, che si traduce in un'esatta calibratura del rubato e in una mimesi del movimento dove pare di udire il fruscio delle gonne sollevate nella danza.
Diverso il discorso per i frammenti schumanniani : un po' maschere, un po' personaggi, un po' eteronomi di una personalità scissa e madida di filtri letterari. Qui le tessere del polittico, per quanto costruite a partire da un motto musicale unitario, soggiacciono a una logica centrifuga molto più che centripeta, e le visioni si moltiplicano in modo febbrile, accavallandosi le une alle altre. Nel caso schumanniano l'ipotesi interpretativa da cui muove Fejérvári è particolarmente interessante. Puntare a contenere le spinte centrifughe dei numeri del Carnaval, imbrigliandoli in una logica unificatrice, avrebbe significato prendere per buona l'appartenenza di Schumann al tranquillo (fino a un certo punto) romanticismo letterario tedesco, che raggiunge la punta della sua audacia prima con Jean Paul e poi, definitivamente, con E. T. A. Hoffmann. Ma Fejérvári non pare radicare la poetica di Schumann nel romanticismo tedesco, quanto nel molto più sfrenato primo romanticismo inglese e francese : quello dei romanzi di Ann Radcliff, delle poesie di Théophile Gautier, dei romanzi di Byron, del Monaco di Lewis, del Frankenstein di Mary Shelley, del Gaspard de la Nuit di Aloysius Bertrand (ripreso all'inizio del Novecento da Ravel). Insomma, il romanticismo cosiddetto “frenetico” che, rotto a tutti gli eccessi e spesso fatale ai suoi stessi protagonisti, tanto convinti da applicare nelle loro vite quello che raccontavano in letteratura, troverà in Charles Baudelaire alla metà del secolo un punto di confluenza e di nuova diramazione. L'allusione a un possibile riferimento anglo-francese per la poetica di Schumann, collegando la sua tendenza visionaria a correnti letterarie che avevano nelle visioni d'incubo il loro pane quotidiano e prendevano per buono e sano ciò che per Schumann doveva costituire la sua maledizione e la sua malattia, è geniale. Il prezzo pagato dal pianista ungherese per una lettura così radicale del Carnaval è un aumento vistoso degli scarti agogici e timbrici, e un suono vibratile che mette in evidenza gli spigoli espressivi in una partitura già di suo irta di particolari che solo a fatica si riescono a commisurare. Ma se si parte, come Fejérvári, dall'idea che le spinte centrifughe schumanniane vadano assecondate e non imbrigliate, le sue visioni valorizzate come il frutto di un delirio prodotto dall'oppio o da uno spleen precoce e non compatite come il frutto di una patologia mentale già in cammino – in fondo, il modo migliore per disinnescarle –, si può rinunciare alla rotondità della forma a vantaggio di un contenuto lasciato libero di rincorrere tutti i suoi fantasmi.
Splendida, fantasiosa, pianisticamente magistrale e inesauribile dal punto di vista dell'invenzione espressiva la lettura dei Preludi chopiniani. Ascoltando Fejérvári inseguire ogni particolare nel suo tesoro di significato, con dedizione assoluta, senza stancarsi mai, rendendo giustizia a pagine celeberrime che tuttavia riescono ancora a sorprendere come se fossero state scritte ieri, e anzi paiono gettare sulla nostra contemporaneità ferita e attonita uno sguardo di comprensione e compassione, si capisce come un concerto come quello messinese presupponga una resistenza nervosa eccezionale, una davvero non comune capacità di mantenere in tensione le facoltà spirituali e sempre aperta la comunicazione con l'ascoltatore : uno sforzo riconosciuto e adeguatamente festeggiato dal pubblico.