Confesso che chi scrive generalmente non ama ascoltar musica all’aperto, non prenota con un anno di anticipo il solito posto in qualche arena affollata e non sopporta di dover attendere l’imbrunire o di scrutare il cielo per scoprire se ha percorso i soliti (tanti) chilometri per riuscire ad ascoltare nuovamente i suoi artisti preferiti.
Eppure, quasi ovunque si guardi, d’estate l’Europa è tutta una sede di festival, rassegne, settimane e quant’altro alla caccia di ogni luogo che si presti a trasformarsi in palcoscenico, sia esso un tempio romano, un cortile di qualche improbabile castello ottocentesco, il giardino di una villa.
I ghiacciai, già messi a dura prova dalla mano dell’uomo, si salveranno dall’assalto finale di turisti musicofili alla ricerca di un Rossini d’alta quota, meglio se notturno e con menù alla carta ?
L’occasione di un ascolto en plein air viene questa volta dalla 68esima edizione del Festival de Musique di Mentone. Creato dall’ungherese André Böröcz, che arrampicatosi in cima al borgo vecchio della città se ne innamorò e diede vita ad una rassegna di prestigio internazionale, il festival dal 1950 ad oggi presenta programmi di musica da camera interpretati da solisti di fama : Wilhem Kempff, Marguerite Long, Aldo Ciccolini, Sviatoslav Richter, Jacques Thibaud, Jean Pierre Rampal, Isaac Stern, Mstislav Rostropovitch se proprio bisogna nominarne alcuni….
Se questi Artisti si sono innamorati del posto, mi dico, ci sarà ben stata una ragione…ed in effetti l’atmosfera e la bellezza del luogo mi conquistano sin dall’ultima rampa di scale.
A prima vista, la scalinata acciottolata che porta al parti della Basilica è un’opera d’arte urbanisticamente felice. In un tratto di costa già percorso dai Romani e noto dai secoli per il clima più temperato dell’intera Costa Azzurra, vi sono tracce del borgo sin dal ‘200 e per quasi tutta la sua storia il paese rimase di proprietà dei Grimaldi di Monaco.
La loro mano si fece sentire in particolare nel seicento quando si diede avvio alla costruzione della Basilica, terminata all’inizio dell’ottocento con la definizione dell’attuale facciata baroccheggiante.
Lassù in alto, al termine della scalinata tutto sommato agevole si raggiunge questa piccola piazza sospesa tra terra, mare e cielo e si spiega il fascino del posto nell’eleganza intima e raccolta del sagrato che alle prime note si trasformerà in una sala da concerto senza pareti dall’acustica asciutta e nitida, avvolta da un imprevedibile silenzio sospeso sopra la confusione rumorosa che la mente si immagina provenire dai ristoranti allineati lungo la via pedonale della città bassa.
Mozart e Brahms in cartellone la sera dell’8 agosto, con Jörg Widmann al clarinetto e l’Hagen Quartett che hanno eseguito due punti fermi della letteratura per clarinetto e quartetto d’archi, rispettivamente il quintetto K. 581 e l’opera 115.
Sulla carta un programma che prevede due composizioni intimamente legate tra loro : Mozart scrisse nel 1789 il quintetto traendo ispirazione dall’abilità del clarinettista della corte viennese Anton Stadler (seguirà un altro capolavoro nel concerto K. 622), Brahms un secolo dopo si decise a scrivere l’op. 115 dopo aver ascoltato Richard Mühlfeld (virtuoso della celebre orchestra di Meiningen) eseguire il quintetto mozartiano.
Momento più felice della serata l’esecuzione del quintetto del salisburghese suonando il quale Jörg Widmann, clarinettista e compositore nato a Monaco di Baviera, classe 1973, ha restituito con suono morbido ma netto la serena classicità del brano. Le note fluiscono piene e nette, senza accenti di maniera e si percepisce il talento dell’artista che non si limita a riproporre schemi consolidati. Con tecnica sicura il clarinetto sostiene il dialogo con gli archi, in particolar modo col suono preciso del violino di Lukas Hagen dando vita ad un larghetto dolce nel tono ma deciso nei modi. Se nel minuetto fatica a imporsi la dinamica della popolaresca danza (bassa Baviera in salsa viennese…questa volta però l’acustica non aiuta troppo), il virtuosismo delle variazioni dell'allegretto finale è reso al meglio anche per merito degli Hagen.
Fondato nel 1981, il quartetto costituito da fratelli e sorelle (Rainer Schmidt prese il posto ben presto di Angelika che decise di intraprendere altri studi) è un punto di riferimento internazionale, dall’abbondante e prestigiosa discografia. Precisione dell’assieme, nitidezza, classicità che deriva dalle radici salisburghesi e dai tanti anni di studio in comune si impongono sin dall’inizio. Suonano per la prima volta a Mentone e, non guasta, tutti e quattro hanno tra le mani uno strumento costruito da Stradivari.
Dopo l’intervallo, la lettura del quintetto di Brahms lascia meno spazio del solito alla struggente malinconia autunnale con cui si identifica la composizione. Molti passaggi suonano piuttosto sofferti e contrastati, anche laddove vi sarebbe spazio per una lettura più fluida e distaccata come in parte dell’adagio e, soprattutto, dell’andantino, quintessenza dello stile cameristico brahmsiano.
Con il movimento finale l’Autore rende estremo omaggio a Mozart riproponendo cinque variazioni su tema seguendo lo schema del quintetto K. 581, chiudendo poi la composizione con l’inconfondibile firma costituita dalla ricomparsa dell’incipit iniziale del primo movimento che funge ormai da congedo di un’intera esperienza musicale in un clima di struggente dissolvenza.
Al termine un caloroso e meritato successo per gli interpreti.
Sabato 12 è la volta di un recital che vede il ritorno a Mentone del pianista Nelson Freire, un protagonista solitario e discreto della scena concertistica europea da oltre cinquant’anni, meno noto in Italia ma artista acclamato nelle sale transalpine. Nato nel 1944 in Brasile, da bambino prodigio la sua formazione si consolidò a Vienna, qui divenne amico fraterno di Martha Argerich con cui ancora oggi si esibisce.
La serata si apre con trascrizioni di opere per organo di J. S. Bach ad opera di Siloti e Busoni e con la cantata BWV 147 trasposta da Hess.
Dalle prime note si coglie l’essenza del pianismo di Freire. Il suono non oscilla nevroticamente tra estatiche ricercatezze, impalpabili ppp o fff eclatanti ma, piuttosto, con nettezza modula continuamente per variazioni della dinamica, non dimenticando mai la pulizia del disegno complessivo. Freire coglie perfettamente il senso di queste trascrizioni, dove il pianoforte reinterpreta onestamente l’organo adattandolo alle proprie possibilità espressive, non immemore dell’originale scrittura. Bellissimo, in questo senso, il Preludio BWV 535 ed esemplare la resa della serena spiritualità della celebre cantata BWV 147.
Al centro della serata, la Fantasia op. 17 ne esce scolpita nell’alternanza di momenti impetuosi e sospensioni malinconiche, culmine il terzo movimento Langsam getragen. Durchwegleise zu halten (Lento. Sempre piano), un ampio notturno vertice della delicatezza schumanniana e della letteratura romantica per pianoforte. Se l’impeto del primo movimento non suona monumentale, la spontaneità dell’esecuzione ci restituisce l’opera in una dimensione poetica, dolce e cantabile.
Dopo la pausa e un omaggio non folcloristico al compatriota Villa-Lobos, il programma si chiude con la terza sonata op. 58 di Chopin, coronamento del percorso stilistico di Freire che con la medesima coerenza della prima parte ci restituisce i momenti d’impeto e di dolcezza senza scadere nell’effettismo da una parte e nelle sdolcinatezze dall’altra.
Con quattro bis si chiude una piacevole serata, protagonista un glorioso pianista dalla coinvolgente umanità.
La 68esima edizione del Festival de Musique di Mentone si è svolta dal 29 luglio al 13 agosto. Oltre ai due concerti di cui si è riportato in precedenza, si ricordano almeno le presenze di Fazil Say per il concerto di inaugurazione, Renaud Capuçon, Christian Zacharias, Jean-Christophe Spinosi con un omaggio a Monteverdi, Christian Tetzlaff, Leif Ove Andsnes, Lars Vogt, Marie-Nicole Lemieux per la serata conclusiva protagonista musica operistica di Vivaldi.
Nello stesso periodo, sette ulteriori concerti si sono svolti al museo Jean Cocteau.