Programma

Alban Berg (1885 – 1935)
Konzert für Violine und Orchester »Dem Andenken eines Engels«
Concerto per violino e orchestra "Alla memoria di un'angelo"
Frank Peter Zimmermann Violine

Antonín Dvořák (1841 – 1904)

Symphonie Nr. 5 F‑Dur op. 76
Sinfonia n.5 in fa maggiore op.76 

Berliner Philharmoniker
Kirill Petrenko, direttore

Berlino, Philharmonie, Sabato 19 settembre 2020

Per questo concerto il loro secondo e ultimo programma alla Musikfest di Berlino di quest'anno, i Filarmonici avevano programmato di eseguire Empreintes di Xenakis, seguito dal concerto per violino di Berg e dal poema sinfonico di Suk Pohádka léta (Racconto d'estate), op. 29, nella seconda parte, continuando così il ciclo di Suk iniziato con la Sinfonia Asrael a gennaio. Vittime della pandemia o più specificamente delle restrizioni in vigore per quanto riguarda il numero di musicisti che possono essere presenti contemporaneamente sul palco, Xenakis e Suk sono stati cancellati ; il programma viene abbreviato ed eseguito senza pausa ; il colore ceco viene mantenuto con una composizione sinfonica almeno altrettanto poco ascoltata di quanto originariamente previsto ; e Berg viene mantenuto, con la presenza solista di Zimmermann, partner preferenziale dell'orchestra negli ultimi decenni. Una prova di equilibrio, tanto doloroso quanto necessario in questi tempi, tra amore e potere. 

 

La memoria e la sensibilità sono ancora forti, non importa quanti anni siano passati dall'esecuzione di questo stesso Violinkonzert di Alban Berg (1935), in questa sala e con questa orchestra, eseguita da Isabelle Faust e Claudio Abbado nel 2012, intensamente commovente, di un lirismo doloroso, aereo e sottile come solo Abbado sapeva far respirare la musica, tutta musica ma in particolare quella di Berg, che nelle sue mani era una forma d'avorio, al tempo stesso luminosa e con una forza di persuasione travolgente.

Ciò che Petrenko e Zimmermann propongono è completamente diverso. Tanto per cominciare, perché laddove Faust e Abbado stabilivano un rapporto dialettico in cui il solista e l'orchestra venivano sfidati, ciascuno dall'affermazione risoluta della propria personalità, fino a raggiungere uno stato di sintesi alla fine del secondo movimento, la versione odierna sarebbe stata chiaramente segnata dal punto di vista del direttore d'orchestra, al punto che il solista non svolge più rigorosamente le funzioni di direttore d'orchestra, ma assume piuttosto un ruolo di primus inter pares, di strumento obbligato con momenti occasionali di protagonismo, comunque inserito nel continuum del discorso musicale. Questo è possibile grazie alla personalità discreta di Zimmermann, sempre musicista molto intelligente piuttosto che virtuoso, che dà sempre la priorità alla coerenza dell'esecuzione nel suo insieme piuttosto che all'esecuzione stessa. E questo ci permette di vedere fino a che punto la linea del solista si inserisce all'interno di un discorso orchestrale di raro fascino, tra l'assorto e il suggestivo nel primo movimento, di potente dramma all'inizio del secondo, e gradualmente trasceso man mano che l'opera si muove verso la sua fine, un arco espressivo ed emotivo che in una certa misura può essere paragonato a quello che percorre la Nona Sinfonia di Mahler, almeno nella misura in cui le ultime battute di entrambe le partiture sembrano essere collocate in un palcoscenico al di là della terra.
Zimmermann ha dichiarato che questo concerto è il suo biglietto da visita artistico, e ascoltandolo si ha la sensazione o meglio la certezza di aver interiorizzato l'opera a tal punto da poterla suonare in cento modi diversi per cento direttori d'orchestra diversi. Il cammino di Petrenko parte da terra, dalla rigorosa osservanza della parola scritta. Una volta che le testure sono state chiarite, i ritmi chiaramente definiti, l'ascoltatore ha una visione chiara, oggettiva e raffinata. Nient'altro che il ricordo di un angelo, e tutto il ricordo di un angelo. Il tono, tra la suggestione e la narrazione, dell'iniziale Andante – Allegretto è sensibilmente modificato dallo scossone che dà origine al successivo Allegro – Adagio. L'elemento drammatico penetra la musica, la prende nell'agitazione tra il disperato e l'insubordinato del violino (superbo Zimmermann) e cederà progressivamente il passo a un'atmosfera più domata, più trascesa, alla risoluzione finale in chiave atarassia, calma come fase finale di ogni sofferenza. È nel tracciare questo percorso emotivo e spirituale che si raggiungono i momenti più immediatamente toccanti della performance, ed è qui che Petrenko sviluppa il lirismo ineffabile che ha determinato la versione di Abbado, e che in questo caso non è tanto un clima o un punto di partenza quanto una conseguenza del percorso intrapreso dall'opera stessa. Dalla terra al cielo, con una stazione intermedia in tutte le gioie e le sofferenze. E questo cielo rigoroso, concentrato, austero, Zimmermann sa come prolungarlo con l'opera che offre come suggerimento, per corrispondere all'applauso entusiasta del pubblico, il Largo della Terza Sonata di “Meister Johann Sebastian”, come lui stesso, con voce, annuncia.

Precede di sei decenni il lavoro concertistico di Berg, collocato ai margini del repertorio come molte altre composizioni che Petrenko sta riesumando per i “suoi “ berlinesi (vedi le opere orchestrali di Suk, quelle dell'ancor più sconosciuto Rudi Stephan, la Prima Sinfonia di Mendelssohn dei concerti di apertura di questa stagione, la Quarta Sinfonia di Schmidt proposta nel 2018, o la Sinfonia in fa diesis maggiore di Korngold prevista per il prossimo gennaio), la Sinfonia in fa maggiore di Dvořák (1875), considerata oggi la Quinta del suo genere anche se originariamente pubblicata come Terza, agisce nel contesto di questo programma come un potente contrasto con l'atmosfera tragica, raccolta e tesa della composizione precedente.

Fin dall'apertura dell'iniziale Allegro ma non troppo, l'ascoltatore vede che si trova in un mondo diverso, luminoso e fresco. Più che un'atmosfera pastorale, si ha l'impressione di trovarsi di fronte a un ritratto in suoni di uno stato di natura, in un certo senso un mondo nuovo come quello della famosa Sinfonia del nuovo mondo, ma un mondo nuovo idilliaco, che precede il cataclisma dell'opera berghiana. Lì come qui, si verificano le costanti della personalità musicale di Petrenko, e il risultato è, come la Prima di Mendelssohn di qualche settimana fa, un discorso musicale di particolare vigore, chiarezza e tensione, in cui l'esattezza espositiva ha un effetto intensificatore sulle emozioni. Essenziale nel caso di questa musica è, come dimostra la registrazione di riferimento di Karel Šejna a capo dell'Orchestra Filarmonica Ceca (1952), il fattore di fluidità dell’esecuzione, perché la natura del discorso costruito da Dvořák è organica, tanto da produrre l'effetto che gli è proprio solo se considerato in modo globale, un po' agli antipodi del puntinismo musicale.  Alla guida di un gruppo di virtuosi, nel caso di Petrenko, mago del suono, e dell'orchestra berlinese non c'è mai dubbio sulla capacità di evidenziare la sfumatura più improbabile, il più sottile cambiamento di colore. E infatti il direttore d'orchestra è impegnato, con gioia quasi visibile, a mostrare come la scrittura sia policroma, come le diverse combinazioni di toni determinino un paesaggio sonoro di inesauribile ricchezza, sostenuto dai grandi solisti del gruppo (Albrecht Mayer all'oboe e Andreas Ottensamer al clarinetto), come una tastiera integrata nel lucido impulso della lettura. L'Andante con moto, le cui note iniziali presentano un sorprendente parallelismo con quelle del primo movimento del Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 di Čajkovskij (come sottolinea il già citato Albrecht Mayer nell'intervista offerta dalla Digital Concert Hall dell'orchestra), possiede nel suo limpido decorso un tono forse meno elegiaco che dolcemente evocativo, un'evocazione che non cessa di avere qualche parallelismo con quella dell'apertura di Berg, ma qui con un segno decisamente meno carico di presagi. Per evidenziare il modo in cui Petrenko collega questo movimento al successivo Scherzo, rispettando scrupolosamente l'indicazione del compositore per una pausa dell'ottavino. La pagina corre tra il ballabile e il contemplativo, Allegro scherzando, ancora nel mondo pastorale, così che per coloritura orchestrale e per clima emotivo si disegna un certo grado di parentela con la Seconda Sinfonia di Brahms, di due anni posteriore. Molto diversa dalla Seconda Sinfonia di Brahms è però l’Allegro molto conclusivo, introdotto dal gesto imponente degli archi gravi a cui il direttore d'orchestra fa imperativo appello, indubbiamente la pagina più drammatica e strutturalmente densa dell'opera, come se il compositore fosse passato dal suo stato iniziale di innocenza alle incertezze dell'essere umano di fronte alle verità ultime. Se ci fosse un parallelo brahmsiano in questo caso (non, ovviamente, in senso formale), sarebbe forse con il Finale della Quarta Sinfonia ; e l'interpretazione di Petrenko e dei suoi Berliner ha tutta l'energia, il coinvolgimento e la forza che si può desiderare, uno splendido sviluppo sinfonico in cui il tema principale si metamorfosi, in un certo senso mostrandosi da mille punti di vista diversi, a volte giubilante, a volte eroico, fino ad assumere un colore quasi tragico a volte, un discorso che i musicisti sanno esporre in tutta la sua affascinante complessità, fino a terminare brillantemente con la coda in cui Petrenko permette finalmente di liberare la dinamica. Ed è un trionfo, un'esplosione di gioia per un pubblico che, in questi giorni difficili più che mai, trova nella musica la possibilità, anche effimera, di un mondo migliore.

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