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danielegatti-zaal-credits-marcoborggrevePer l'apertura di stagione, Francesca Gentile Camerana, instancabile animatrice di Lingotto Musica  ha invitato il Royal Concertgebouw Orchestra per una sola tappa in Italia, nella cornice dei suoi giri " RCO meets Europa" dove l'orchestra gioca una piccola parte del suo programma con giovani musicisti locali. A Torino, all’onore sono stati i giovani borsisti della De Sono, associazione animata  anche lei da Francesca Gentile Camerana dal 1988,  poiché l'orchestra del Concertgebouw ne accoglieva undici, come l'ha sottolineato Francesca Gentile Camerana in un piccolo discorso molto commovente prima del concerto, per interpretare con tutta l'orchestra il preludio del terzo atto dei Meistersinger von Nürnberg di Wagner, non una delle pagine più facili, e dove gli undici giovani si sono fusi con brio nell'insieme dei professori dell’orchestra.

Daniele Gatti che presiede oramai ai destini musicali della Royal Concertgebouw Orchestra, torna in Italia in un luogo simbolico della musica sinfonica : non ce ne sono tanti in questo paese dedicato all'opera :  l'auditorium Parco della musica a Roma, dovuto anche lui a Renzo Piano, come l’auditorium Giovanni Agnelli del Lingotto. Milano infatti non ha auditorium degno di questo nome, anche se alcune sale accolgono le orchestre locali. Ma quando un'orchestra di fama internazionale si esibisce, va alla Scala. Non è un caso dunque se la Concertgebouw si ferma a Torino, e solamente a Torino .

Invece di una serata Wagner/Berg come annunciava il programma, abbiamo ascoltato un programma Wagner/Berg/Mahler  (adagio della 10a sinfonia di Mahler). Composto così, il programma aveva ancora più senso perché era un vero esempio di arco musicale coerente, con opere che tessono tra di loro legami profondi.

Si conosce il Wagner di Daniele Gatti di cui si è sentito Lohengrin (Scala), Parsifal (Bayreuth, New York), Tristan und Isolde (Parigi e Roma) e Die Meistersinger von Nürnberg (Zurigo, Salisburgo e fra poco Scala), un Wagner pieno di rilievo e di corpo, con forti contrasti ed un senso acuto del teatro e del tragico. L'introduzione del 3 atto è un esempio di introspezione in contrasto con la pazza scena finale del 2 atto. Su ritmo molto lento, malinconico, la musica riprende i grandi motivi dell'opera anticipando il monologo di Sachs .. Fluidità, presenza viva del sentimento, umanità profonda sono i caratteri della scrittura wagneriana in una delle pagine più sublimi della partitura, espressione intima dell'anima di Sachs e probabilmente dell'anima stessa di Wagner.

Gatti dà a sentire questo momento di arresto o di desiderio di arresto con un'orchestra che è la perfezione stessa, in un'esecuzione senza scorie, producendo un suono abbagliante nell'atmosfera molto riverberata della sala di Renzo Piano, particolarmente nei celli intensi in un colore che rende perfettamente l’essenza stessa di una partitura che la gente pensa in generale più superficiale e che è per me la più grande di tutto l'opera wagneriana.

Il secondo momento wagneriano era composto dai due brani sinfonici più importanti di Götterdämmerung, il " Viaggio di Sigfrido sul Reno ", e la " Marcia funebre ", con le loro lunghe introduzioni rispettive, " l'alba”  da un lato e la " morte di Sigfrido " dall'altro. Dalle grandi opere wagneriane, rimane a Daniele Gatti a dirigere la saga del Ring, probabilmente tra alcuni anni. Queste pagine anche sinfoniche, ci commuovono molto perché c’è nell'approccio di Daniele Gatti una chiarezza, una volontà di segnare l'espressione e di trasmettere qualche cosa della teatralità del momento. È un approccio abbastanza grave, sempre impresso da questa tristezza inerente al Götterdämmerung che segna anche la fine dei sogni. Queste pagine che riprendono i momenti essenziali della saga di Sigfrido, speranza, conquista, tradimento e morte, si manifestano nell’interpretazione di Gatti grazie alla duttilità  estrema dell'orchestra, capace dei più impalpabili suoni o invece di esplosioni ma senza fracasso, con legni a dannarsi, archi stupefacenti in particolare nel registro grave :  credo non avere sentito mai contrabbassi cosi corposi. L'orchestra dove sono arrivati molti giovani eccelsi (trombe)  dimostra sempre una gioia di suonare visibile.
“L’alba” emerge dal silenzio come la luce dalla notte, con sordine incredibili, ed con una dinamica progressiva fino all'abbastanza danzante Viaggio di Sigfrido sul Reno. La morte di Sigfrido, coi sublimi accordi degli archi, con stupefacente fluidità malgrado la volontà segnata di scandire il dramma apre sulla  Marcia funebre, che lega il solenne con l'intimo, senza spaccatura : Gatti grandissimo concertatore mantiene l'omogeneità dell'insieme, e l'orchestra dimostra incredibile maestria.

Dopo queste pagine conosciute e spettacolari, l'apertura della seconda parte segnava la continuità : l'adagio della decima sinfonia è per Mahler un canto del “male amato”: lacerato dall'amore di Alma e di Walter Gropius, rinvia evidentemente a Tristano. L’inizio ai limiti della tonalità sembra annunciare la modernità viennese, ma lascia il posto ad un lirismo che ricorda certi echi tristaneschi . Questo momento mahleriano è stato forse l’apice della serata, tanto Gatti al tempo stesso da libero corso alla sua sensibilità, senza mai dimenticare la sarcastica ironia di Mahler che mette in suono il grottesco.
Ma quello che colpisce è soprattutto la continuità messa in evidenza col movimento finale della nona sinfonia, con questi suoni che sembrano soffocarsi a poco a poco, che si svegliano e poi si spengono. Si sente anche il legame con l'inizio del terzo atto di Meistersinger, l'amarezza in più :  si tratta anche di un momento di rinuncia : la musica non smette di tessere dei fili che segnano una certa unicità, l'unicità dei “malamati”, da Sachs a Mahler, l'unicità del dolore urgente e della solitudine. L'orchestra è sublime : evidentemente per eccellenza l'orchestra mahleriana, con la sua chiarezza, i suoi diversi livelli tessendosi gli uni gli altri in crescendi meravigliosi, archi e ottoni si rispondono in modo quasi lacerato, particolarmente le viole e i celli, straordinari. Il ricordo della Nona e delle sue esitazioni tra speranze ed amarezze è talmente pregnante che l'inizio di questa Decima incompiuta pare  essere un prolungamento e nello stesso tempo una fine, come l'infinito lamento del male-amato e dell’ infelice.

Al nome di Berg, alcuni elementi del pubblico hanno abbandonato l'auditorium : questa musica ha cento anni, ma è vissuta da certi come musica contemporanea e dunque inascoltabile. Che pietà.

E tuttavia che somiglianze tra Berg, probabilmente il meno radicale della seconda scuola di Vienna, e Mahler, tanto ammirato. Non c'è dunque rottura in questo programma relativamente frequente nei concerti, con questi pezzi dedicati ad Arnold Schönberg e creati più tardi nella loro totalità (da 1930 ad Oldenburg).
Dai tre pezzi, i due primi sono più brevi dell'ultimo, più sviluppato e con respirazione più larga. Dal suo splendido Wozzeck scaligero, si sa l’amore di Gatti per Berg, e questi tre pezzi scritti nel 1914 sono tra i più interessanti per mettere in evidenza le capacità dell’orchestra, nel suo insieme et nelle sue individualità. Gatti, le inserisce alla fine del percorso, per far vedere la loro importanza, la loro spettacolarità, ma anche la loro profondità.
Nell'opera omnia di Berg, è l’opus che chiede il più grande organico, e che prefigura le sue opere, Wozzeck in primo luogo con il quale ci sono  forti parentele. E’ anche nel 1914 che Berg scopre l'opera di Büchner e decide di farne un'opera, ma l'insieme ricorda anche tanto Mahler, morto tre anni prima, particolarmente nella parte finale, Marsch  con le allusioni chiare alla Sesta, e l'uso del martello nelle due opere. È anche un'opera così difficile che solo orchestre e direttori di spicco ci provano.

Il primo pezzo, Präludium, comincia da un insieme di suoni che emergono, a poco a poco allargati a tutta l'orchestra che assomiglia già ad un'intermezzo di Wozzeck : il colore è inquietante e tragico e compone un crescendo impressionante che rimane di un'incredibile chiarezza. C'è energia e nefandezza che spiccano insieme alla malinconia tragica ed amara del Mahler precedente. Il movimento crescendo-decrescendo installa poi un ambiente quasi notturno, con ritmo rallentato molto teatralizzato da Gatti, coi legni stupefacenti che finiscono da un silenzio finale molto pesante. La successione esplosione-silenzio è abbastanza brutale visto la concisione del pezzo, ma riesce tuttavia grazie all'estrema duttilità dell'orchestra a sembrare molto fluida, quasi naturale.

Il secondo pezzo Reigen (ronda) è un schizzo della scena della locanda di Wozzeck. In effetti, è un valzer, con gli echi in sottofondo a Johann Strauss sempre più veloci per finire in decostruzione ; Berg il viennese conosce il valzer, ma questo valzer diventa un poco meno civile, più veloce più brutale con suoni più cupi : la dinamica dell'orchestra, il grottesco ne fanno anche un movimento vicino a Mahler in particolare nella parte finale.
Si rimane da una parte stupefatto dalla chiarezza dell'orchestra che permette di isolare ogni strumento, e d’altra parte dall'estrema raffinatezza della scrittura qua particolarmente complessa. Il ritmo del valzer è attraversato da tratti abbastanza violenti sia negli archi  che nei corni, e Gatti sa rendere anche con un incredibile naturale la finezza estrema di questa orchestrazione che non è mai confusa sotto la sua bacchetta. Ad un'evocazione piuttosto popolare, Berg applica un'orchestrazione di singolare raffinatezza. E Gatti riesce a cogliere quest’apparente contraddizione per farne una carta vincente, e darne una lettura di rilievo particolare.

Il terzo pezzo, Marsch, lungo quanto gli altri due, è forse il più dimostrativo. Si tratta di sbrogliare l'apparenza di disordine di motivi, di temi, di ritmi per offrirne una visione organizzata. Cominciando con suoni cupi e lenti, il ritmo è subito più vivo che nei due pezzi precedenti, scandito dai legni (oboe), un ritmo arzillo ma allo stesso tempo una successione dei dialoghi tra legni e ottoni, poi legni e archi. La fluidità dell'orchestra è singolare, in un movimento che non ha nulla di coerente né di unificato ma molteplice, diverso come gli urti di forze telluriche contraddittorie.

Solo elemento permanente, la tensione che Daniele Gatti sa  dare questa parte, ricordandosi probabilmente dell'ansito della Sesta di Mahler. Siamo alla soglia di certi intermezzi di Wozzeck con urti tra un orchestra forte, seguiti improvvisamente da alcuni momenti al flauto o al clarinetto che rispondono quasi in eco, in un tipo di ballo inquietante e macabro perché tutto resta tuttavia danzante, come in un sabbat scandito dal triangolo e percussioni, al ritmo di marcia. Ogni esplosione dell'orchestra è seguita da un momento più esile, spesso ai legni ma il ballo infernale va crescendo, implicando poi la totalità degli strumenti con una dinamica sempre più marcata fino al colpi di martello. Quel succedersi di ritmi urtati è nello stesso tempo di una raffinatezza estrema nella resa della complessità dell’orchestrazione. Un momento orchestrale eccezionale, sorprendente, scombussolando anche lo spettatore,  tanto l'orchestra, fiati, archi, e tutti gli altri, si dimostra virtuoso e attento alla minima indicazione del direttore. Il colpo di martello finale sorprende il pubblico, visibilmente poco abituato a questa musica.

Concerto eccezionale, dove si può misurare il profondo dialogo tra il direttore e la sua orchestra, e la particolare agilità di questi musicisti che riescono ad ordinare ed a chiarificare questi pezzi di particolare complessità, grazie alla loro lunga tradizione e storia e grazie al gesto molto attento e sensibile del suo neo-direttore.

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